Il maestro Franco Lorenzoni:
«Gli studenti disabili? Così la scuola li migliora»
Insegnante da 40 anni porta avanti una nuova visione di scuola con la Casa laboratorio Cenci e il Movimento di cooperazione educativa. «Le diversità possono essere una ricchezza»
«Lo studente disabile è un’opportunità, per tutta la classe, di crescere e imparare. Ciò che conta è avere cura e attenzione»: Franco Lorenzoni, 70 anni, maestro per 40 anni, ha una visione di scuola, che porta avanti con la Casa laboratorio Cenci e il Movimento di cooperazione educativa, che incanta. Dove tutto è «orizzontale, veloce, intermittente», lui cerca una didattica «lenta, verticale, attenta alle esigenze di ciascuno».
Professore, ma con una carenza di migliaia di insegnanti di sostegno, e le famiglie disperate, come si fa?
«L’educazione o è inclusiva o non lo è. È parte di un’educazione degna occuparsi di tutto e di tutti: anche perché se si ha attenzione alle fragilità, si lavora meglio con tutti. È sempre stato così. Montessori, Korczak, ci hanno dato contributi sull’educazione partendo dai più fragili. Si pensa che l’alunno più fragile, per una situazione sociale, o per una disabilità, o per condizioni psicologiche temporanee, sia un problema. E invece queste diversità possono essere una ricchezza».
In che senso? Non possono loro malgrado rallentare la classe?
Il punto chiave è la personalizzazione. Quando proponi un’attività o una ricerca devi sapere che ognuno può reagire in modo diverso. Certo che se si ha un programma standard, se non ci si mette in discussione, raramente si raggiungono tutti».
Franco Lorenzoni |
Ci sono insegnanti che riescono a farlo?
«Certo, e ho la sensazione che gli insegnanti più sensibili oggi siano quelli che stanno inventando una nuova professione, in cui l’elemento della cura è parte dell’elemento didattico. L’insegnante è un artigiano, devi lavorare con i materiali che ti trovi di fronte in quel momento, e le esigenze degli studenti possono portarti su una via migliore di quella che avevi pensato. Aprirsi ad altri interventi educativi è importantissimo, anche la dispersione scolastica si argina solo se c’è convergenza di tante energie».
Gli effetti del Covid?
«La pandemia, che tutti abbiamo rimosso, ha lasciato delle tracce profonde, soprattutto negli adolescenti e nei bambini: un trauma, una grande solitudine. Se poi consideriamo anche la guerra, che si è sommata nell’immaginario infantile, capiamo che il momento di crisi è forte. Ma in questa situazione l’insegnante deve capire che l’elemento di cura, di attenzione, alla diversità, allo stato psicologico, non è un di più, è il cuore della relazione educativa. Per fare questo lo strumento è l’ascolto, il dialogo. La cultura si costruisce, non è un oggetto, è una relazione, fatta di motivazione, di interesse, e parte dall’esempio».
Come un genitore?
«Sì, l’insegnante prima di tutto insegna come è lui o lei. Gli adulti spesso sono incoerenti, e i bambini sono recettori implacabili, non ci credono. E quindi è importantissimo che ciascuno riesca ad ammettere le sue fragilità. Purtroppo i genitori spesso hanno molto bisogno di controllare ma hanno una attenzione intermittente. Invece nella relazione educativa la continuità è fondamentale. Prendersi cura è esserci, accorgersi. Il bambino non ascoltato perde fiducia nel ritenere che i suoi pensieri sono importanti. Ed è difficile che mantenga alta la motivazione».
E quindi il fatto che manchino insegnanti di sostegno specializzati, capaci di ascoltare, è un problema?
«Sì ma non è solo un problema di insegnanti di sostegno. Bisognerà prima o poi fare un lavoro di formazione generale: la questione disabilità coinvolge tutti, è l’intera classe che si deve far carico. Tanti dati ci dicono che una classe con all’interno un ragazzo o una ragazza con disabilità, se lavora bene, sviluppa maggiori competenze. E questo vale anche per chi è arrivato da poco in Italia e parla male la lingua, o chi ha un background culturale diverso. La diversità è una fatica ma può arricchire tutti: il nodo è andare lenti, fare meno ma bene, tornare e tornare sulle stesse cose».
Abbiamo tutti bisogni educativi speciali?
«Attenzione, questa frase può diventare retorica. Certo che tutti li abbiamo, ma ci sono alcuni che hanno bisogno di più attenzione, ed è importante il processo per capire cosa serve a un bambino: se è più visivo, più relazionale, più timido, più capace di usare il linguaggio del corpo. Una scuola che sa includere parla tanti linguaggi diversi».
(fonte: Corriere - Buone Notizie, articolo di Valentina Santarpia 17/09/2023)