Enzo Bianchi
Perché serve un nuovo Concilio
A sessant'anni di distanza dall'ultimo, la necessità per la Chiesa di ripensare se stessa alla luce delle sfide contemporanee
La Repubblica - 17 Ottobre 2022
Si fa memoria in questi giorni, a sessant’anni di distanza, dell’inizio di quel grande evento (definito da Giovanni Paolo II “la grazia più grande che il Signore ha fatto alla chiesa nel xx secolo”) che è stato il Concilio Vaticano II. Papa Francesco non lo ha soltanto ricordato con una liturgia in San Pietro, ma ancora una volta ha invitato la chiesa a vivere dello spirito del Concilio, “a respingere la tentazione di chiudersi nei recinti delle proprie convinzioni”. La chiesa, infatti, appare molto lacerata, conosce divisioni e sconfessioni reciproche mentre sta con consapevolezza di fronte a sfide inedite, a nuove problematiche che la pongono nell’incertezza e nella confusione.
In ogni caso si può attestare un generale consenso al Concilio Vaticano II, anche se alcune frange restano refrattarie e non gli riconoscono l’autorità dovuta e anche se alcune intuizioni conciliari non sono state realizzate. Resta vero però che oggi le nuove generazioni non sanno né cosa sia né cosa abbia lasciato in eredità il Concilio, che appare lontano, un evento del passato, mentre la lettura del presente della storia e dei nuovi segni dei tempi sembra richiedere ben altro.
Tra gli anni del Concilio e il nostro tempo sono intervenute diverse rivoluzioni, a cominciare da quella antropologica, e sono molte le problematiche che si affacciano per la prima volta nella nostra storia.
Così siamo consapevoli che, pur riferendoci al Vaticano II, dobbiamo rinnovare la dinamica conciliare vissuta durante quei tre anni di celebrazione. Il sinodo in corso è sicuramente la strada adatta a questo “mutamento” richiesto da Papa Francesco, ma deve condurci – senza fretta, almeno io ne sono convinto – a un nuovo Concilio: un Vaticano III, o un concilio celebrato a Gerusalemme, o in altro luogo, poco importa.
Negli anni novanta, nei quali mi incontravo con assiduità con il cardinal Martini, ascoltai più volte questa ipotesi dalle sue labbra. Nel Sinodo dei vescovi del 1999 Martini la manifestò arrivando a esplicitare alcune urgenze: la carenza di presbiteri e dunque la mancanza di pastori per la chiesa, la legge del celibato legato al ministero, la posizione della donna nella chiesa, una revisione dell’etica sessuale tradizionale.
Sull’opportunità di radunare un concilio in quei tempi, segnati da reazioni e diffidenze verso il Vaticano II anche da parte di molti cardinali e vescovi, io non ero d’accordo con Martini. Ma da allora è passato un ventennio e ci sono stati grandi cambiamenti nella chiesa. Solo un concilio ecumenico può avere l’autorità di discernere e accogliere i mutamenti richiesti dal popolo di Dio e aiutare tutta la chiesa a crescere nella consapevolezza delle sfide che oggi si pongono. Il sinodo che si sta vivendo, e che ieri il papa ha prolungato prevedendo una ulteriore sessione nel 2024, può essere una preparazione.
Vi è poi da osservare che i problemi che diciamo “inediti” sovente in realtà non sono nuovi, ma in passato non abbiamo voluto prestarvi ascolto. Nel 1929, il 7 ottobre, Pierre Teilhard de Chardin scriveva in una lettera: “Mi sembra che nella chiesa attuale ci siano tre pietre d’inciampo e pericolose: la prima è un governo che esclude ogni forma di democrazia, la seconda è un sacerdozio che esclude la donna, la terza è una rivelazione che esclude per l’avvenire una profezia”. Teilhard, visionario e profeta, leggeva già cent’anni fa le urgenze che noi oggi ci troviamo ad affrontare.
(fonte: blog dell'autore)