Terra Madre, sos di don Ciotti:
“Il cibo c’è ma si muore di povertà”
Don Ciotti e Willie Peyote a Terra Madre
«Si muore di fame non per la scarsità del cibo (quello c’è) ma per la povertà»: Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia, dà l’imprinting al dibattito, ecco la prospettiva da cui partire: obbliga a sentirsi responsabili, non è colpa della natura carente ma dell’uomo ingiusto. Nel giorno dell’Italia al voto e del silenzio elettorale, chi non smette di fare politica è Terra Madre Salone del Gusto. Sul palco don Luigi Ciotti si accalora: «Non è possibile, non è possibile, non è possibile» lo ripete tre volte al pubblico arrivato dal mondo (ieri c’era così tanta gente che nel pomeriggio sono stati momentaneamente chiusi gli accessi al Parco Dora). Ce l’ha con le tre multinazionali che da sole governano il 63% del mercato mondiale delle sementi e il 75% di quello degli agrofarmaci. Ce l’ha con la «povertà politica: negli ultimi anni siamo tornati indietro sul fronte dei diritti al cibo, anche a causa del Covid e di 59 guerre». Ce l’ha, soprattutto, con chi si gira dall’altra parte e delega la soluzione dei problemi, con i rassegnati, quegli ignavi che già Dante aveva messo all’Inferno: «Serve uno scatto - tuona - ci vuole senso di responsabilità, serve una politica più attenta, seria, credibile, che sappia parlare ai ragazzi: loro sono pronti».
Diritto al cibo: la strada è ancora troppo lunga. L’sos è in più lingue, attraverso più linguaggi, quello del sacerdote, ma anche quello del rapper. Il torinese Willie Peyote, che le battaglie le canta in rima, questa volta è qui per ricordare quanto proprio i più giovani siano in fondo, oggi, i più sensibili, attenti, disposti a cambiare. A 37 anni mette in guardia dalla deriva culturale e si dice convinto da «questi ragazzi che sono tornati a scendere in piazza, dopo il G8 di Genova ce l’avevano impedito. Ripartiamo da noi, eliminiamo la logica del profitto, lasciamo perdere i miliardari che fanno gli influencer», sembra di sentirlo rappare «capiamo fino in fondo quanto siamo tutti uguali; perché i diritti civili, senza diritti sociali, restano diritti individuali».
Antonio Augusto Mendes Dos Santos, «guardiano di semi» (c’è della poesia nel suo ruolo di attivista Slow Food) lo schiaffo lo dà in portoghese: «Mangiando a Terra Madre non ho ancora visto un convinto atteggiamento per evitare lo spreco: cambiamo passo». È arrivato a Torino dal Brasile per denunciare l’emergenza del suo Paese: «Trentatrè milioni di persone non sanno se riusciranno a mangiare il prossimo pasto» e accendere una luce sui bambini: «Molti mangiano una sola volta al giorno, ma il governo non ha approvato l’aumento della spesa per l’alimentazione scolastica». C’è anche Victoria Tauli-Corpuz, leader indigena del Kankana-ey Igorot, nelle Filippine (una comunità tanto piccola che non esiste nemmeno su Wikipedia, fa notare Marco Zatterin, vicedirettore de La Stampa, moderatore del dibattito), a chiedere «protezione e tutela dei popoli indigene, migliori custodi della biodiversità». Messaggi recepiti, dentro le cuffiette con la traduzione simultanea, arriva l’ultimo grido di don Ciotti: «La fame è criminale!».
(fonte: La Stampa -Torino, articolo di Miriam Massone 26/09/2022)