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lunedì 9 maggio 2022

Peppino Impastato, 44 anni fa il delitto del giornalista che irrideva i boss.

Peppino Impastato,
44 anni fa il delitto del giornalista che irrideva i boss. 
A Cinisi un corteo per ricordarlo



Oggi la commemorazione a Cinisi. Dai microfoni di Radio Aut le sue accuse a Tano Badalamenti che lo condannò a morte

Sequestrato, pestato a morte, poi portato sui vicini binari e fatto saltare in aria con una carica di esplosivo. Quarantaquattro anni fa è morto così Peppino Impastato, giornalista, militante comunista, attivista, speaker di quella Radio Aut dai cui microfoni ridicolizzava il boss Tano Badalamenti, che ne ha ordinato la morte. Per le risate che provocava, minandone l'autorità, come per gli affari che gli rovinava, denunciando speculazioni e collusioni.

Veniva da una famiglia di mafia. Mafioso era il padre Luigi, cognato del capomafia Cesare Manzella, ucciso con un'autobomba nel 1963, mafiosi erano gli zii, i cugini, altri parenti. Ma di quei legami Peppino non ne voleva sapere. Conosceva i loro mondi e i loro metodi, per questo con cognizione e precisione li denunciava. E per il boss Badalamenti quello forse era un doppio smacco.

"Tano Seduto" lo bollava nella sua trasmissione Onda Pazza, che serviva anche per denunciare le colate di cemento che puzzavano di clan, organizzare i contadini che si battevano contro la terza pista dell'aeroporto di Cinisi, rivelare la vera origine dei fiumi di dollari che arrivavano dagli Stati Uniti, smascherare le collusioni fra politici e mafiosi che si facevano serenamente fotografare insieme.

Il 9 maggio del 1978 Peppino Impastato avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Era candidato per Democrazia Proletaria e tutti erano certi che sarebbe stato eletto. Anche questo faceva paura. Per ricordarlo e per rilanciare le sue idee e le sue lotte, sabato è iniziata a Cinisi una tre giorni di eventi e dibattiti - sulla lotta alla mafia, sulle battaglie dei lavoratori i cui diritti sono sempre più a rischio, sulla libertà di stampa, sulla pace - che si conclude oggi con un presidio di fronte al casolare in cui è stato ucciso e un corteo nel pomeriggio. Lo stesso che oggi è ancora in attesa di ristrutturazione a causa di inerzie burocratiche, mentre Casa Memoria - dopo la sua morte, dedicata a Felicetta, la madre di Peppino - è minacciata dalle pretese di Leonardo Badalamenti, il figlio di don Tano, che approfittando di un errore nelle procedure di confisca chiede la restituzione del bene.

Anche per questo, spiegano dal centro di documentazione Impastato - uno dei motori della battaglia per la verità sull'omicidio di Peppino - nella tre giorni di iniziative ed eventi organizzati per l'anniversario si intrecciano le battaglie di ieri e di oggi. Ci sono volute cinque inchieste e decenni di lotte per arrivare a una verità sull'omicidio Impastato. Vittima dei mafiosi e di decenni di depistaggi istituzionali che per lungo tempo hanno coperto le responsabilità degli assassini.

Peppino è stato ammazzato il 9 maggio '78, durante quella che è passata alla storia come "notte della Repubblica". A Roma veniva ritrovato il cadavere del segretario della Dc, Aldo Moro. Nel frattempo, rapidamente l'omicidio Impastato viene rapidamente derubricato a suicidio o attentato suicida e archiviato. Troppo rapidamente hanno sempre denunciato i familiari, la mamma Felicetta e il fratello Giovanni, così come i compagni di Peppino, Democrazia Proletaria e il centro siciliano di documentazione, poi a lui intitolato.

 
La manifestazione davanti al casolare 

Subito dopo l'omicidio, i carabinieri, coordinati dall'allora maggiore, più tardi generale Antonio Subranni, non vedono una pietra macchiata di sangue vicino alle rotaie e, quando i compagni dell'attivista la trovano, subito quelle tracce ematiche vengono attribuite a degli assorbenti sporchi trovati lì vicino. Non si interrogano su un'esplosione che devasta il corpo del giovane, ma lascia intonsi gli occhiali. Non indagano sulla provenienza di quell'esplosivo, né cercano i potenziali testimoni, a partire dalla casellante di turno, che abitava nella vicina Terrasini.

Però subito si precipitano a perquisire la casa in cui Peppino abitava, quella dei familiari, Radio Aut. Pescano in un vecchio diario un'amara riflessione risalente a mesi, se non anni addietro. E diventa una lettera d'addio. Quello di Impastato, stabiliscono, è stato un suicidio o un attentato suicida. E subito sono sicurissimi: "Anche se si volesse insistere su un'ipotesi delittuosa, bisognerebbe comunque escludere che Giuseppe Impastato sia stato ucciso dalla mafia", si legge in uno dei primi rapporti.

Gli esposti presentati dai compagni di lotta di Peppino e dai familiari cadono nel vuoto. Solo dopo l'inizio della collaborazione con la giustizia del braccio destro di Badalamenti, si bussa a casa del boss, all'epoca già detenuto negli Stati Uniti, ma fin da subito indicato dai familiari come possibile responsabile. Bollato come terrorista, per anni è stato coperto di fango. Ma per il depistaggio delle indagini, nessuno ha pagato. Quando si è iniziato a indagare, il reato era già prescritto.

"L'esperienza umana e culturale di Peppino Impastato è un invito a tutti a rifiutare i condizionamenti criminali. E' un inno alla libertà, al recupero della dignità umana. La storia di Impastato ci ha insegnato, anche, a non smettere mai di cercare la verità, a lottare per ottenerla", dice il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. "Una verità che per troppo tempo è stata allontanata da un depistaggio ordito da pezzi dello Stato. Impastato pagò con la vita l'avere sfidato la mafia in un territorio in cui si era stabilito un sistema di relazioni tra apparati dello Stato e mafiosi che governavano la Sicilia. La sua figura rimane un punto di riferimento per quanti hanno scelto di schierarsi contro la mafia e i suoi legami con la politica, facendo scelte di rottura senza compromessi".

"La mafia uccide. Il silenzio pure". Con questa frase di Impastato, il segretario del Pd Enrico Letta ha ricordato su Twitter il delitto di 44 anni fa. E ha voluto ricordarlo anche il deputato Erasmo Palazzotto, di recente passato al Pd. "Peppino Impastato ha raccontato la mafia nella sua Cinisi quando nessuno aveva il coraggio di nominarla. Irrideva i mafiosi, li ridicolizzava minando alla base il loro potere. Per questo l'hanno ucciso, perché stava insegnando ai siciliani a non avere paura".
(fonte: La Repubblica, articolo di Alessia Candito 09/05/2022)