Come sarebbero la Chiesa e il Mondo se Giovanni Paolo I non fosse morto dopo 34 giorni?
Se lo chiede Papa Francesco
In vista della beatificazione del prossimo settembre, la Fondazione Giovanni Paolo I, in collaborazione con il Dipartimento di Teologia dogmatica dell’Università Gregoriana, organizza una giornata di studi il 13 maggio, con la presenza del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. L’intento è quello di approfondire il pensiero di Albino Luciani, al di là del cliché del Papa del sorriso. sulla base degli interventi raccolti nel libro «Il Magistero. Testi e documenti del Pontificato» di Giovanni Paolo I. Un volume della Fondazione vaticana Giovanni Paolo I edito da Lev e Editrice San Paolo, che propone, oltre ai suoi appunti e riflessioni, le omelie, i discorsi, le lettere, le riflessioni alle udienze generali e all’Angelus pronunciati o scritti da Papa Luciani nei suoi 34 giorni di Pontificato, dal 26 agosto 1978 al 28 settembre 1978
Il convegno e il libro rileggono il magistero di Papa Luciani a partire dai sei «vogliamo» del discorso programmatico pronunciato all’indomani dell’elezione.
“Vogliamo continuare nella prosecuzione dell’eredità del Concilio Vaticano II, le cui norme sapienti devono tuttora essere guidate a compimento, vegliando a che una spinta, generosa forse, ma improvvida, non ne travisi i contenuti e il senso, e che forze, altrettanto frenanti e pavide, non ne rallentino l’impulso di rinnovamento e di vita”, afferma il primo dei sei “vogliamo” contenuto nel radiomessaggio Urbi et orbi pronunciato in latino da Giovanni Paolo I l’indomani della sua elezione, il 27 agosto 1978.
“Vogliamo custodire intatta la grande disciplina della Chiesa […] sia nell’esercizio delle virtù evangeliche sia nel servizio dei poveri, agli umili, agli indifesi […]. Vogliamo ricordare alla Chiesa intera che il suo primo dovere è l’evangelizzazione […]. Vogliamo continuare l’impegno ecumenico con attenzione a tutto ciò che può favorire l’unione […]. Vogliamo proseguire con pazienza e fermezza in quel dialogo sereno e costruttivo che Paolo VI ha posto a fondamento e programma della sua azione pastorale […]. Vogliamo infine favorire tutte le iniziative che possano tutelare e incrementare la pace nel mondo turbato”.
A far cogliere ricchezza e complessità di Albino Luciani contribuisce poi personalmente Papa Francesco con la prefazione al libro che pubblichiamo di seguito
Giovanni Paolo I-Albino Luciani è stato Vescovo di Roma per 34 giorni. Con lui, in quelle rapide settimane di pontificato, il Signore ha trovato il modo di mostrarci che l’unico tesoro è la fede, la semplice fede degli Apostoli, riproposta dal Concilio ecumenico Vaticano II. Lo attestano anche le pagine di questo volume, che raccoglie con puntuale e completa dicitura il suo magistero, tutti gli interventi scritti e pronunciati nel corso del suo pontificato. Nel tempo breve vissuto come Successore di Pietro, papa Giovanni Paolo I ha confessato la fede, la speranza e la carità, virtù donate da Dio, dedicando a esse le sue catechesi del mercoledì. E ci ha ripetuto che la predilezione dei poveri fa infallibilmente parte della fede apostolica, quando – nella liturgia celebrata a San Giovanni in Laterano per la presa di possesso della Cattedra Romana – ha citato le formule e le preghiere imparate da bambino per riaffermare che l’oppressione dei poveri e il «defraudare la giusta mercede agli operai» sono peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio».
E proprio per la fede del popolo cristiano, a cui egli apparteneva, ha potuto rivolgere uno sguardo profetico sulle ferite e i mali del mondo, mostrando quanto anche la pace stia a cuore alla Chiesa. Lo testimoniano, ad esempio, le numerose espressioni sparse nei suoi interventi pubblici di quei giorni, riportate in queste pagine, che esprimevano il suo sostegno ai colloqui di pace tenuti dal 5al 17 settembre 1978 e che impegnarono a Camp David il presidente statunitense Jimmy Carter, il presidente egiziano Anwar al-Sadat e il premier israeliano Menachem Begin. O anche le parole rivolte il 4 settembre a oltre cento rappresentanti di missioni internazionali, in cui esprimeva l’auspicio che «la Chiesa, umile messaggera del Vangelo a tutti i popoli della terra, possa contribuire a creare un clima di giustizia, fratellanza, solidarietà e di speranza, senza la quale il mondo non può vivere». Così papa Luciani ha ripetuto che la cosa più urgente, più all’altezza dei tempi, dei nostri tempi, non era il prodotto di un suo pensiero o un suo progetto generoso, ma il semplice camminare nella fede degli Apostoli. La fede da lui ricevuta come un dono nella sua famiglia di operai ed emigranti, che conosceva la fatica della vita per portarsi a casa il pane. Gente che camminava sulla terra, non tra le nuvole. Faceva parte di questo dono anche l’umiltà. Il riconoscersi piccoli non per sforzo o per posa, ma per gratitudine. Perché si può essere resi umili solo nella gratitudine per aver provato la misericordia senza misura di Gesù e il Suo perdono. E così può diventare facile anche fare quello che Lui chiede: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).
Quando papa Luciani morì, anche Óscar Arnulfo Romero – l’arcivescovo di San Salvador assassinato sull’altare e oggi venerato Santo dal popolo di Dio – celebrò, il 3 ottobre, una messa in memoria del pontefice scomparso. Con la brevità del suo pontificato – disse Romero – Giovanni Paolo I aveva avuto «solo il tempo di dare al mondo la breve ma densa risposta che Dio dà al mondo attuale». In così poco tempo, con la morte di due Papi e due elezioni pontificie – osservò l’Arcivescovo martire- l’attenzione del mondo era stata richiamata a guardare «in cima alla gerarchia della Chiesa cattolica», quella gerarchia che viene posta «sulle spalle di uomini fragili», eppure è chiamata a essere «il canale attraverso il quale la Chiesa è guidata e governata» e un «segno sacramentale» della «grazia che viene donata agli uomini». È il mistero di quella che sant’ Ignazio di Loyola chiama «Nostra Santa Madre Chiesa gerarchica». Nella Chiesa la gerarchia non è una entità isolata e autosufficiente. Essa è dentro un popolo riunito da Dio «al servizio del Regno e del mondo intero» – come sottolineava il vescovo Romero – perché la Chiesa «non è fine a se stessa e tanto meno la gerarchia: la gerarchia è per la Chiesa, e la Chiesa è per il mondo». In quella circostanza, nella circostanza della morte di Giovanni Paolo I – faceva osservare ancora il santo martire – venne facile riconoscere che la Chiesa non la costruisce il Papa né i vescovi: il Successore di Pietro è «la pietra di consistenza» sulla quale prende unità la Chiesa che Cristo stesso edifica, col dono della Sua grazia. E se le porte dell’inferno e la morte non prevarranno, questo non accade per le ‘spalle fragili» del Papa, ma perché il Papa «è sostenuto da Colui che è la vita eterna, l’immortale, il santo, il divino: Gesù Cristo, nostro Signore». E questo è il mistero che risplende anche nella vicenda e negli insegnamenti di Giovanni Paolo I.
Francesco
(fonte: Faro di Roma 09/05/2022)
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Falasca: un libro che riconsegna il magistero originale di Papa Luciani
S’intitola ‘Testi e documenti del pontificato’ il volume appena pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e da Edizioni San Paolo che ricostruisce il magistero integrale di Papa Luciani. «Giovanni Paolo I è stato il primo pontefice ad aver costantemente adottato nei suoi interventi uno stile colloquiale» afferma Stefania Falasca, Vicepresidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, illustrando il lavoro filologico curato dal Comitato Scientifico della Fondazione, mettendo in evidenza come le numerose discordanze riscontrate tra diverse versioni scritte dei suoi interventi abbiano reso doverosa un’indagine filologica e la trascrizione dalle registrazioni di tutto i suoi pronunciamenti e interventi. Il volume sarà alla base del convegno sui “I sei «vogliamo» del magistero di papa Luciani alla luce delle carte d’Archivio che si svolgerà il prossimo 13 maggio alla Pontificia Università Gregoriana
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