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mercoledì 25 maggio 2022

Il Card. Matteo Zuppi è il nuovo presidente della CEI - Conosciamolo di più ...

Zuppi: "Grazie al Papa e ai vescovi. 
Camminiamo insieme per ascoltare le sofferenze di tutti"

Le prime parole del nuovo presidente Cei, dopo la nomina di questa mattina di Francesco: "Sinodalità, collegialità e carità mi accompagneranno. Importante camminare insieme nelle 'pandemie' e nelle sfide di oggi". L'appello ai giornalisti: "Siate clementi, voi aiutate a far comprendere alcune scelte della Chiesa"


Il cardinale Zuppi, nuovo presidente della Cei, nel breve incontro con i giornalisti all'Hilton Rome Airport

Sinodalità e collegialità, non dimenticando le sofferenze del mondo che vive due “pandemie”, il Covid e la guerra, e parlando “la lingua dell’amore, unica comprensibile nella Babele di questo mondo”. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, presenta così la sua missione come nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana. Incarico conferitogli questa mattina dal Papa, poco dopo aver ricevuto la terna dei vescovi riuniti nell’Hilton Rome Airport di Fiumicino per la 76.ma Assemblea generale. Proprio nella grande sala dell’albergo dove si svolgono i lavori dei vescovi, Zuppi incontra una rappresentanza di giornalisti. Non una conferenza stampa – quella è in programma il 27 maggio – ma un piccolo saluto da parte di “don Matteo”, come tutti continuano ancora a chiamarlo, ai media che, come dice, possono “aiutare a capire alcune scelte della Chiesa che a volte possono sembrare distanti incomprensibili”.

Il grazie al Papa e ai vescovi

Le prime parole che il neo eletto presidente pronuncia, appuntate su una vecchia agenda blu scuro, sono di ringraziamento. “C’è stata una accelerazione un po’ improvvisa, la prima cosa che volevo fare è ringraziare il Papa perché mi ha scelto nella terna e poi i vescovi perché mi hanno indicato. E questa fiducia del Papa che presiede nella carità il suo primato e della collegialità, insieme alla sinodalità, è la Chiesa”. Sono le “tre dinamiche” che, dice il porporato, “mi accompagneranno”.

La pandemia del Covid e della guerra

L’arcivescovo di Bologna guarda poi all’attualità e al “momento che stiamo vivendo, sia in Italia, in Europa e nel mondo, sia come Chiesa, perché le cose sono strettamente unite”. Quindi “le pandemie”: anzitutto “la pandemia del Covid con tutto quello che ha rivelato delle nostre fragilità e debolezze, con le domande che ha aperto, le consapevolezze e le dissennatezze che ha provocato”. E adesso “la pandemia della guerra” che Papa Francesco “con tanta insistenza” ha stigmatizzato in questi anni, parlando di una terza guerra mondiale a pezzi, cristallizzando poi il suo pensiero nella Fratelli tutti. Alle indicazioni del Papa Zuppi invita a guardare “in queste settimane e mesi terribili che stanno coinvolgendo tutto il mondo”, per “non dimenticare tutti i pezzi delle altre guerre”.

Una Chiesa in cammino

È “in questa sfida che si colloca il cammino della Chiesa italiana”, afferma il nuovo presidente dei vescovi. Chiesa che quest’anno, insieme alla Chiesa universale, si muove verso il Sinodo sulla Sinodalità: “Un cammino sinodale, non un Sinodo strutturato o organizzato, ma molto più coinvolgente” che ora “continua con l’ascolto”. Per Zuppi “è importantissimo” questo atteggiamento, perché “l’ascolto ferisce. Quando qualcuno ascolta si fa ferire da quello che vive, fa sua la sofferenza”. E “quello che stiamo vivendo – aggiunge - ci aiuta a comprendere le tante domande e sofferenze, a capire come essere una madre vicina e come incontrare i tanti compagni di strada”.

La vicinanza

La vicinanza è per Zuppi “una delle cose che mi solleva di più”. Il presidente Cei confida infatti di sentire sulle spalle la propria “piccolezza e inadeguatezza”: “Spero di restarne sempre consapevole”.

Un ricordo dei predecessori

Infine, prima di concludere, un ricordo dei predecessori. In primis il cardinale Antonio Poma, come lui arcivescovo di Bologna e presidente Cei, che ha vissuto “periodi di grande cambiamento”. “Lo ricordo con riconoscenza. Anche se non l’ho incontrato personalmente, ho incontrato e incontrerò qui tante tracce”. Poi il cardinale Ugo Poletti, vicario di Roma dal 1972 al 1991 e presidente Cei dall’85 al ’91, “vescovo nei miei primi anni di sacerdozio” che “con coraggio diede a Sant’Egidio la chiesa di Sant’Egidio, dando fiducia a questi ragazzi”. Zuppi ringrazia poi “per la loro sapienza” i cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco: “Ho chiamato poco fa entrambi, chiedendo udienza”. In ultimo, un grazie al cardinale Gualtiero Bassetti, suo diretto predecessore, “che in questi anni con tanta paternità e tanta amicizia ha guidato la Chiesa italiana, creando una fraternità di cui io da vescovo ho goduto”.

L'affidamento alla Madonna

Da qui un affidamento della sua missione alla Madonna di San Luca: “A Bologna dopo il Padre eterno, o forse anche prima c’è la Madonna di San Luca. Chiedo a Lei e a Maria madre della Chiesa di accompagnarmi e accompagnarci in questo cammino della Chiesa italiana. “Tutta la Chiesa”, sottolinea il porporato. Quella che in questi giorni ha visto rappresentata nell’Assemblea generale: “Tanti referenti e tanti laici, un pezzo di sinodalità che è entrato dentro la collegialità. Questo mi incoraggia nelle sfide e difficoltà: credere che la Chiesa con tanti compagni di viaggio, consapevoli e non, farà risplendere la misericordia di Dio di cui il mondo ha bisogno”.

L'appello ai giornalisti

La stessa misericordia Zuppi la domanda ai giornalisti: “Siate clementi e misericordiosi, anche nel futuro. Sempre però con la chiarezza e l’immediatezza di persone che camminano insieme”. “Voi – ha aggiunto – avete il compito di dover raccontare e di camminare con noi, sicuramente con quella vicinanza indispensabile per il vostro mestiere e anche il nostro. Voi aiutate tanti a capire scelte della Chiesa che a volte possono sembrare distanti e incomprensibili”. “È la Chiesa – conclude il presidente della Cei - che sta per strada e che cammina nella missione di sempre: parlare a tutti e raggiungere il cuore di tutti”. E farlo con “quell’unica lingua comprensibile nella Babele di questo mondo che è la lingua dell’amore”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 24/05/2022)

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Zuppi presidente della Cei: 
“il cristiano deve diventare un artigiano di pace”

Dalle parole pronunciate appena eletto arcivescovo di Bologna a quelle di questi giorni, dedicate al dramma della guerra e all'urgenza della pace. Ecco alcuni stralci del "sentire ecclesiale" del nuovo presidente della Cei, il card. Matteo Maria Zuppi, che succede al card. Gualtiero Bassetti

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“La chiesa nella città non è un fortino distante dalla strada, ma è una presenza prossima, oserei dire materna, che si unisce al cammino, a volte tanto faticoso per molti in questi tempi di crisi e di paura”. In queste parole, pronunciate nel saluto rivolto alla città di Bologna subito dopo la sua nomina ad arcivescovo, sta la cifra del “sentire ecclesiale” che appartiene al card. Matteo Maria Zuppi, nominato dal Papa nuovo presidente della Cei, durante la 76ma Assemblea generale dei vescovi italiani, in corso a Roma fino al 27 maggio. “Io cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole”, aveva detto Papa Francesco alcune settimane fa tracciando una sorta di identikit della nuova guida dell’episcopato italiano, pur chiedendo ai vescovi di sentirsi liberi nell’indicazione della terna per il successore del card. Gualtiero Bassetti. “Il pericolo è l’indifferenza, il pensarsi isole, il guardare la realtà da spettatori, magari raffinati critici e attenti giudiconi”, le parole di Zuppi perfettamente in linea con la “Chiesa in uscita” auspicata da Francesco e delineata in particolare in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015:

“Chiudersi, per proteggersi o per banale egoismo, fa male a tutti, 
alla chiesa, alle singole persone e anche a questa casa comune che è la città!

Chiudendoci nelle case o nei palazzi o in noi stessi ci ammaliamo! E camminare assieme è una straordinaria e appassionante avventura!”. Poi le parole dedicate specificamente al rapporto tra Chiesa e città, che da Bologna possono essere “esportate” anche in chiave nazionale: “Nel rispetto dei ruoli, con lo specifico dell’essere discepolo di Gesù, e nel comune impegno alla solidarietà, tra istituzioni e tra persone, tra religioni, tra sensibilità diverse, ecco con tutta la Chiesa di Bologna collaboreremo con le autorità e con quanti hanno a cuore questa piazza grande che è la città intera”. In quell’occasione, il neonominato presidente della Cei aveva proposto di sostituire il termine “stranieri” con “nuovi italiani”. Sono “i compagni di classe che crescono con noi”, aveva ammonito:

“Cominciamo da loro, dai nuovi italiani, da chi non ha casa, da chi è vittima della tortura della solitudine, da chi è smarrito nel mondo della disoccupazione, specialmente i più giovani, da chi cerca futuro e protezione perché scappa dalla guerra”.

E proprio al dramma della guerra, o meglio al suo contrario, sono dedicati gli interventi più recenti di Zuppi, nel deflagrare del conflitto in Ucraina.

“Il cristiano deve diventare un artigiano di pace”,

ha detto ad esempio il 22 maggio scorso, nella cattedrale di San Pietro gremita di folla per il pellegrinaggio annuale in città della Madonna di San Luca. “Dobbiamo chiedere a Maria il dono della pace e che ci insegni a vivere da ‘Fratelli Tutti’, perché lo siamo davvero”, ha scandito presiedendo la veglia di preghiera. In un’intervista sulla visita dell’Immagine della Beata Vergine di San Luca alla città e all’arcidiocesi di Bologna, in programma dal 21 al 29 maggio, Zuppi è tornato ancora una volta sulla tragedia della guerra e sull’interpretazione che ne dà il Santo Padre.

“Esiste – sostiene Zuppi – questo demone imprevedibile della guerra che contagia e spaventa tutti. Abbiamo capito quell’espressione di Papa Francesco della guerra mondiale a pezzi. 
Pensavamo, in fondo, che questi conflitti fossero soltanto problemi locali che non ci riguardavano, mentre la guerra in Ucraina ci fa capire che sempre, e questa in particolare, è un pezzo importantissimo del nostro futuro”.

E parla di pace anche il messaggio inviato alla comunità islamica a conclusione del Ramadan, con l’invito a “continuare a pregare per la pace, per disarmare i nostri cuori e le nostre mani, per avere nel cuore e sulla bocca quel ramoscello d’ulivo che dopo il diluvio della guerra rappresenta la pace tra le persone e i popoli. In un’ora del mondo segnata da grande dolore abbiamo bisogno di stringere più forti legami di amicizia, come segno tangibile della nostra volontà di pace.

Proprio mentre ci sembrava di uscire da una prova terribile, quella della pandemia, eccoci di fronte a una guerra sanguinosa, che bussa alle nostre porte e fa appello alle nostre coscienze, così come a quelle dei responsabili della politica. Dobbiamo unirci per chiedere con forza la cessazione dei combattimenti tra Russia e Ucraina e una soluzione pacifica delle controversie, nella ricerca del bene comune”.

Torna in mente la memorabile omelia presieduta dal card. Zuppi per i funerali dell’amico David Sassoli, durante la quale il 14 gennaio scorso aveva attualizzato il messaggio delle beatitudini: “Beati sono gli operatori di pace, gli artigiani, cioè che non rinunciano a ‘fare la pace’ iniziando dai piccoli e possibili gesti di cura, sporcando le mani con la vita, con le contraddizioni del prossimo, con la fatica a stringere quella del nemico che se lo fai si trasformerà in fratello”.
(fonte: Sir, articolo di M.Michela Nicolais 24 Maggio 2022)

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Chi è Matteo Zuppi,
il cardinale rimasto col cuore sulla strada

Dalle periferie di Roma insieme alla Comunità di Sant'Egidio alla guida dell'episcopato italiano



Chi lo conosce bene racconta che non ci sperava più di tanto nella nomina alla guida della Cei, pur sapendo di essere insieme al cardinale Paolo Lojudice tra i favoriti. Eppure, il Papa l'ha scelto dopo che il suo nome è stato quello più votato dai confratelli vescovi nella terna. Matteo Zuppi, "don Matteo" per tutti, 66 anni, romano, arcivescovo di Bologna, è sempre rimasto fedele alla semplicità che ha contraddistinto il suo sacerdozio prima, l'episcopato poi. Quando nel 2019 Francesco lo creò cardinale non a caso disse: "Il cardinale è rosso perché deve testimoniare fino al sangue. Speriamo di essere buoni testimoni del Vangelo: quello di oggi è chiarissimo". E ancora: "Dobbiamo cercare di essere sempre ultimi nell'amore e mettersi sempre al servizio degli altri".

Appartenente alla Comunità di Sant'Egidio fin dagli Anni del liceo, al Virgilio di Roma (qui conobbe Andrea Riccardi, "un ragazzo poco più grande di me - ha raccontato - che parlava del Vangelo a tanti altri ragazzi in maniera così diretta e nello stesso tempo con tanta conoscenza"), una laurea in lettere, quindi la scelta del sacerdozio a Roma, per anni vicino agli ultimi e ai poveri, viene scelto dal Papa anche per la sua capacità di unire le differenti anime presenti nella sua comunità, da quelle più vicine al pontificato in corso, fra queste la scuola dossettiana, a quelle più conservatrici che avevano visto nei vescovi suoi predecessori una loro espressione. Ne sono un esempio, in qualche modo, gli attestati di stima che gran parte del mondo politico e religioso gli tributa in queste ore.

Zuppi, che è stato anche viceparroco di Vincenzo Paglia a Santa Maria in Trastevere, si è sempre distinto per l'instancabile azione a sostegno dei più poveri, degli immigrati, dei rom, senza escludere l'attività di diplomazia esercitata con Sant'Egidio. Arrivare a Bologna da Roma non era cosa scontata. Ancor più non lo era diventare cardinale e poi, oggi presidente dei vescovi italiani, tenuto anche conto che da anni sulla cattedra di San Petronio si erano succeduti vescovi non contigui alla linea conciliare messa in campo dall'innovatore Giacomo Lercaro dal 1952 al 1968. Significative, in questo senso, le prime parole che Zuppi rivolse alla diocesi. Disse, citando il Concilio Vaticano II, monsignor Oscar Romero e Giovanni XXIII, che la Chiesa deve essere "di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri".

A Bologna Zuppi sa interpretare al meglio quella Chiesa dei poveri che ebbe in don Paolino Serra Zanetti, in padre Marella e nelle Case della carità una sua espressione. Non fin dall'inizio Zuppi ha deciso di non vivere nell'arcivescovado, ma nella casa del clero. "Ho sempre vissuto insieme ad altri - disse tempo fa a Repubblica -. Abitare in una casa dove vivono altri sacerdoti è per me occasione di confronto in un cammino nel quale sento il bisogno di condividere". In lui Francesco rivede forse se stesso, negli anni di Buenos Aires. Come il Papa, infatti, Zuppi ha sempre valorizzato quella pietà popolare che altri sacerdoti faticano a comprendere. A Trastevere, i primi anni, fu tentato di considerare queste manifestazioni come sopravvivenze del passato. E invece, disse, "vi ho scoperto tanta profondità spirituale".
(fonte: La Repubblica, articolo di Paolo Rodari 24/05/2022)