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sabato 6 marzo 2021

VIAGGIO DI PAPA FRANCESCO IN IRAQ 5-8 MARZO 2021 - Baghdad: Cerimonia di benvenuto - Incontro con le Autorità - Incontro con i Vescovi, Sacerdoti, Religiosi/e ... (cronaca, testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN IRAQ

5-8 MARZO 2021


Venerdì, 5 marzo 2021

BAGHDAD

15:00 Cerimonia ufficiale di benvenuto presso il Palazzo Presidenziale a Baghdad
15:15 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica nello studio privato del Palazzo Presidenziale a Baghdad
15:45 Incontro con le Autorità, la Società civile e il Corpo Diplomatico nel salone del Palazzo Presidenziale a Baghdad
16:40 Incontro con i Vescovi, Sacerdoti, Religiosi/e, Seminaristi e Catechisti nella Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad


Papa Francesco è arrivato in Iraq dopo quattro ore e mezzo di volo: una visita storica e attesa. È il suo trentatreesimo viaggio apostolico, tra i più importanti perché è Bergoglio a incontrare la più grande figura dell'Islam sciita, un gesto che è stato molto apprezzato dal mondo islamico. Il Papa è stato accolto da canti e balli tradizionali iracheni nell'aeroporto di Baghdad. Il pontefice, sceso dall'aereo con la mascherina, si è poi tolto la mascherina per intrattenersi faccia a faccia con il primo ministro iracheno Mustafa Abdellatif Mshatat per un colloquio di alcuni minuti nell'area vip dello scalo internazionale alla presenza di un monsignore che fungeva da interprete. Il premier ha poi accompagnato il Papa all'ingresso dell'aeroporto, passando tra due ale di danzatori che ballavano sulle note di una orchestra tradizionale locale.


Attorno alle 14.30 (mezzogiorno e mezza in Italia) il Papa è entrato nell'auto blindata che, scortata da un imponente corteo di moto e auto delle forze di sicurezza, lo ha condotto al Palazzo Presidenziale, a 21 chilometri di distanza, dove si è tenuta la cerimonia ufficiale di benvenuto. Al suo arrivo è stato accolto dal Presidente della Repubblica d’Iraq, Barham Ahmed Salih Qassim, e dalla consorte all’ingresso del Palazzo Presidenziale. Dopo gli inni e la presentazione delle rispettive delegazioni, e dopo la foto ufficiale, il Papa si è diretto insieme al Presidente nello studio dove ha avuto luogo la visita di cortesia. Dopo l’incontro privato e la presentazione della famiglia, il Presidente ha accompagnato il Papa nella sala per lo scambio dei doni e, successivamente, nel grande salone del Palazzo dove il pontefice ha pronunciato il suo primo discorso in Iraq, rivolto alle autorità politiche e religiose, ai rappresentanti della Società Civile e ai membri del Corpo Diplomatico, incontrati nel Palazzo Presidenziale di Baghdad. 


 


 

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INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO



 


 



DISCORSO DEL SANTO PADRE

Palazzo Presidenziale a Baghdad
Venerdì, 5 marzo 2021


Signor Presidente,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità,
Rappresentanti della società civile,
Signore e Signori!

Sono grato dell’opportunità di compiere questa Visita, a lungo attesa e desiderata, nella Repubblica di Iraq; di poter venire in questa terra, culla della civiltà strettamente legata, attraverso il Patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza e alle grandi tradizioni religiose dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Esprimo la mia gratitudine al Signor Presidente Salih per l’invito e per le cortesi parole di benvenuto, che mi ha rivolto anche a nome delle Autorità e del suo amato popolo. Ugualmente saluto i Membri del Corpo diplomatico e i Rappresentanti della società civile.

Saluto con affetto i Vescovi e i presbiteri, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli della Chiesa Cattolica. Vengo come pellegrino per incoraggiarli nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società irachena. Saluto anche i membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, gli aderenti all’Islam e i rappresentanti di altre tradizioni religiose. Dio ci conceda di camminare insieme, come fratelli e sorelle, nella «forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, […] della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019).

La mia visita avviene nel tempo in cui il mondo intero sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia da Covid-19, che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma ha anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità. Questa crisi richiede sforzi comuni da parte di ciascuno per fare i tanti passi necessari, tra cui un’equa distribuzione dei vaccini per tutti. Ma non basta: questa crisi è soprattutto un appello a «ripensare i nostri stili di vita […], il senso della nostra esistenza» (Enc. Fratelli tutti, 33). Si tratta di uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima; di costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide.

Negli scorsi decenni, l’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse. Tutto ciò ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni e anni per guarire. E qui, tra i tanti che hanno sofferto, non posso non ricordare gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio. Pertanto, solo se riusciamo a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana, possiamo avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano. A questo riguardo, la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare. Oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile.

La coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto. Non è un compito facile: richiede fatica e impegno da parte di tutti per superare rivalità e contrapposizioni, e parlarsi a partire dall’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio e Creatore (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 5). In base a questo principio la Santa Sede, in Iraq come altrove, non si stanca di appellarsi alle Autorità competenti perché concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione. Apprezzo gli sforzi già intrapresi in questo senso e unisco la mia voce a quella degli uomini e delle donne di buona volontà affinché essi proseguano a beneficio del Paese.

Una società che porta l’impronta dell’unità fraterna è una società i cui membri vivono tra loro in solidarietà. «La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro […] come nostro prossimo, compagno di strada» (Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2021). È una virtù che ci porta a compiere gesti concreti di cura e di servizio, con particolare riguardo per i più vulnerabili e bisognosi. Penso a coloro che, a causa della violenza, della persecuzione e del terrorismo hanno perduto familiari e persone care, casa e beni primari. Ma penso a tutta la gente che lotta ogni giorno in cerca di sicurezza e di mezzi per andare avanti, mentre aumentano disoccupazione e povertà. Il «saperci responsabili della fragilità degli altri» (Enc. Fratelli tutti, 115) dovrebbe ispirare ogni sforzo per creare concrete opportunità sia sul piano economico sia nell’ambito dell’educazione, come pure per la cura del creato, nostra casa comune. Dopo una crisi, non basta ricostruire, bisogna farlo bene: in modo che tutti possano avere una vita dignitosa. Da una crisi non si esce uguali a prima: si esce o migliori o peggiori.

In quanto responsabili politici e diplomatici, siete chiamati a promuovere questo spirito di solidarietà fraterna. È necessario contrastare la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità, ma non è sufficiente. Occorre nello stesso tempo edificare la giustizia, far crescere l’onestà, la trasparenza e rafforzare le istituzioni a ciò preposte. In tal modo può crescere la stabilità e svilupparsi una politica sana, capace di offrire a tutti, specialmente ai giovani – così numerosi in questo Paese –, la speranza di un avvenire migliore.

Signor Presidente, distinte Autorità, cari amici! Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà e vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace. Quanto abbiamo pregato, in questi anni, per la pace in Iraq! San Giovanni Paolo II non ha risparmiato iniziative, e soprattutto ha offerto preghiere e sofferenze per questo. E Dio ascolta, Dio ascolta sempre! Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie. Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, basta estremismi, fazioni, intolleranze! Si dia spazio a tutti i cittadini che vogliono costruire insieme questo Paese, nel dialogo, nel confronto franco e sincero, costruttivo; a chi si impegna per la riconciliazione e, per il bene comune, è disposto a mettere da parte i propri interessi. In questi anni l’Iraq ha cercato di porre le basi per una società democratica. È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità e la concordia.

Anche la comunità internazionale ha un ruolo decisivo da svolgere nella promozione della pace in questa terra e in tutto il Medio Oriente. Come abbiamo visto durante il lungo conflitto nella vicina Siria – dal cui inizio si compiono in questi giorni ben dieci anni! –, le sfide interpellano sempre più l’intera famiglia umana. Esse richiedono una cooperazione su scala globale al fine di affrontare anche le disuguaglianze economiche e le tensioni regionali che mettono a rischio la stabilità di queste terre. Ringrazio gli Stati e le Organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando in Iraq per la ricostruzione e per provvedere assistenza ai rifugiati, agli sfollati interni e a chi fatica a ritornare nelle proprie case, rendendo disponibili nel Paese cibo, acqua, alloggi, servizi sanitari e igienici, come pure programmi volti alla riconciliazione e alla costruzione della pace. E qui non posso non ricordare le tante agenzie, tra cui diverse cattoliche, che da anni assistono con grande impegno le popolazioni civili. Venire incontro ai bisogni essenziali di tanti fratelli e sorelle è atto di carità e di giustizia, e contribuisce a una pace duratura. Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo, ma continuino a operare in spirito di comune responsabilità con le Autorità locali, senza imporre interessi politici e ideologici.

La religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Al contrario Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia. Anche in Iraq la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese.

Cari amici, desidero esprimere ancora una volta sentita gratitudine per tutto quello che avete fatto e continuate a fare al fine di edificare una società improntata all’unità fraterna, alla solidarietà e alla concordia. Il vostro servizio al bene comune è un’opera nobile. Chiedo all’Onnipotente di sostenervi nelle vostre responsabilità e di guidarvi tutti sulla via della sapienza, della giustizia e della verità. Su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie e sui vostri cari, e sull’intero popolo iracheno invoco l’abbondanza delle benedizioni divine. Grazie!

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INCONTRO CON I VESCOVI, SACERDOTI, RELIGIOSI/E, SEMINARISTI E CATECHISTI

Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad
Venerdì, 5 marzo 2021


Appare il sorriso sul volto del Papa appena intravede nel cortile della Cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”, nel quartiere Karrada di Baghdad, un piccolo gruppo di disabili che lo attende. Una ghirlanda di fiori con i colori del Vaticano avvolge il suo collo, alcune sciarpe bianche lo arricchiscono e poi in italiano i presenti gli regalano parole di benvenuto e di affetto sincero alle quali Francesco risponde con una benedizione.
Entrare nella Cattedrale è come accarezzare una ferita che si è allievata solo con l’amore sanante per il Padre, con il tempo trascorso, con il riconoscere che il sacrificio di 48 vite non è stato vano. Qui Francesco arriva attraversando la navata, ricostruita dopo il grave attentato del 31 ottobre 2010, e che richiama la barca che portava Gesù e i discepoli nella tempesta. Quella stessa barca sulla quale il 27 marzo 2020, in piena pandemia, il Papa invitava a salire perché “chiamati a remare insieme”, perché “tutti fragili e disorientati”.
Unità è una delle chiavi del discorso che il Papa pronuncia nell’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi ed i catechisti. Le sue parole sono carezza e sprone per la Chiesa irachena, “piccola – dice – come un granello di senape” ma ricca e composita come “un tappeto”, immagine famigliare per chi lo ascolta, con i fili diversi e preziosi tessuti con pazienza e cura.


 

 


 


 

 


 DISCORSO DEL SANTO PADRE

Beatitudini, Eccellenze,
Cari Sacerdoti e Religiosi,
Care Suore,
cari fratelli e sorelle!

Vi abbraccio tutti con affetto paterno. Sono grato al Signore che nella sua provvidenza ci ha permesso di incontrarci oggi. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Ignace Youssif Younan e Sua Beatitudine il Cardinale Louis Sako per le parole di benvenuto. Siamo riuniti in questa Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa. Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano infatti è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese.

Come vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e responsabili laici, tutti voi condividete le gioie e le sofferenze, le speranze e le angosce dei fedeli di Cristo. I bisogni del popolo di Dio e le ardue sfide pastorali che affrontate quotidianamente si sono aggravate in questo tempo di pandemia. Tuttavia, ciò che mai dev’essere bloccato o ridotto è il nostro zelo apostolico, che voi attingete da radici antichissime, dalla presenza ininterrotta della Chiesa in queste terre fin dai primi tempi (cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Medio Oriente, 5). Sappiamo quanto sia facile essere contagiati dal virus dello scoraggiamento che a volte sembra diffondersi intorno a noi. Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace contro questo brutto virus: è la speranza. La speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato. Con questo vaccino possiamo andare avanti con energia sempre nuova, per condividere la gioia del Vangelo, come discepoli missionari e segni viventi della presenza del Regno di Dio, Regno di santità, di giustizia e di pace.

Quanto ha bisogno il mondo intorno a noi di ascoltare questo messaggio! Non dimentichiamo mai che Cristo è annunciato soprattutto dalla testimonianza di vite trasformate dalla gioia del Vangelo. Come vediamo dall’antica storia della Chiesa in queste terre, una fede viva in Gesù è “contagiosa”, può cambiare il mondo. L’esempio dei santi ci mostra che seguire Gesù Cristo «non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 167).

Le difficoltà fanno parte dell’esperienza quotidiana dei fedeli iracheni. Negli ultimi decenni, voi e i vostri concittadini avete dovuto affrontare gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo. Vi ringrazio, fratelli Vescovi e Sacerdoti, di essere rimasti vicini al vostro popolo – vicini al vostro popolo! –, sostenendolo, sforzandovi di soddisfare i bisogni della gente e aiutando ciascuno a fare la sua parte al servizio del bene comune. L’apostolato educativo e quello caritativo delle vostre Chiese particolari rappresentano una preziosa risorsa per la vita sia della comunità ecclesiale sia dell’intera società. Vi incoraggio a perseverare in questo impegno, al fine di garantire che la Comunità cattolica in Iraq, sebbene piccola come un granello di senape (cfr Mt 13,31-32), continui ad arricchire il cammino del Paese nel suo insieme.

L’amore di Cristo ci chiede di mettere da parte ogni tipo di egocentrismo e di competizione; ci spinge alla comunione universale e ci chiama a formare una comunità di fratelli e sorelle che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri (cfr Enc. Fratelli tutti, 95-96). Penso all’immagine familiare di un tappeto. Le diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte. Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Sia sempre nel nostro cuore l’esortazione di Sant’Ignazio di Antiochia: «Nulla esista tra voi che possa dividervi, […] ma vi sia un’unica preghiera, un unico spirito, un’unica speranza, nell’amore e nella gioia» (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno (cfr Gv 17,21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e catechisti condividono, anche se in modi diversi, la responsabilità di portare avanti la missione della Chiesa. A volte possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2) e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà.

Ora vorrei dire una parola speciale ai miei fratelli vescovi. Mi piace pensare al nostro ministero episcopale in termini di vicinanza: il nostro bisogno di rimanere con Dio nella preghiera, accanto ai fedeli affidati alle nostre cure e ai nostri sacerdoti. Siate particolarmente vicini ai vostri sacerdoti. Che non vi vedano come amministratori o manager, ma come padri, preoccupati perché i figli stiano bene, pronti a offrire loro sostegno e incoraggiamento con cuore aperto. Accompagnateli con la vostra preghiera, col vostro tempo, con la vostra pazienza, apprezzando il loro lavoro e guidando la loro crescita. In questo modo sarete per i vostri sacerdoti segno visibile di Gesù, il Buon Pastore che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr Gv 10,14-15).

Cari sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, seminaristi che vi preparate al futuro ministero: tutti voi avete sentito la voce del Signore nei vostri cuori e come il giovane Samuele avete risposto: «Eccomi» (1 Sam 3,4). Questa risposta, che vi invito a rinnovare ogni giorno, conduca ciascuno di voi a condividere la Buona Novella con entusiasmo e con coraggio, vivendo e camminando sempre alla luce della Parola di Dio, che abbiamo il dono e il compito di annunciare. Sappiamo che il nostro servizio comporta anche una componente amministrativa, ma questo non significa che dobbiamo passare tutto il nostro tempo in riunioni o dietro una scrivania. È importante uscire in mezzo al nostro gregge e offrire la nostra presenza e il nostro accompagnamento ai fedeli nelle città e nei villaggi. Penso a quanti rischiano di restare indietro: ai giovani, agli anziani, ai malati e ai poveri. Quando serviamo il prossimo con dedizione, come voi fate, in spirito di compassione, umiltà, gentilezza, con amore, stiamo realmente servendo Gesù, come Lui stesso ci ha detto (cfr Mt 25,40). E servendo Gesù negli altri, scopriamo la vera gioia. Non allontanatevi dal santo popolo di Dio, nel quale siete nati. Non dimenticatevi delle vostre mamme e delle vostre nonne, che vi hanno “allattato” nella fede, come direbbe San Paolo (cfr 2 Tm 1,5). Siate pastori, servitori del popolo e non funzionari di stato, chierici di stato. Sempre nel popolo di Dio, mai staccati come se foste una classe privilegiata. Non rinnegate questa “stirpe” nobile che è il santo popolo di Dio.

Vorrei tornare ora ai nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa Cattedrale dieci anni fa e la cui causa di beatificazione è in corso. La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi (cfr Enc. Fratelli tutti, 285). E voglio ricordare tutte le vittime di violenze e persecuzioni, appartenenti a qualsiasi comunità religiosa. Domani, a Ur, incontrerò i Leader delle tradizioni religiose presenti in questo Paese, per proclamare ancora una volta la nostra convinzione che la religione deve servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio. Questa sera voglio ringraziarvi per il vostro impegno di essere operatori di pace, all’interno delle vostre comunità e con i credenti di altre tradizioni religiose, spargendo semi di riconciliazione e di convivenza fraterna che possono portare a una rinascita di speranza per tutti.

Penso in particolare ai giovani. Ovunque sono portatori di promessa e di speranza, e soprattutto in questo Paese. Qui infatti non c’è solo un inestimabile patrimonio archeologico, ma una ricchezza incalcolabile per l’avvenire: sono i giovani! Sono il vostro tesoro e occorre prendersene cura, alimentandone i sogni, accompagnandone il cammino, accrescendone la speranza. Benché giovani, infatti, la loro pazienza è già stata messa duramente alla prova dai conflitti di questi anni. Ma ricordiamoci, loro – insieme agli anziani – sono la punta di diamante del Paese, i frutti più saporiti dell’albero: sta a noi, a noi, coltivarli nel bene e irrigarli di speranza.

Fratelli e sorelle, attraverso il Battesimo e la Confermazione, attraverso l’ordinazione o la professione religiosa, siete stati consacrati al Signore e inviati per essere discepoli missionari in questa terra così strettamente legata alla storia della salvezza. Siete parte di quella storia, testimoniando fedelmente le promesse di Dio, che mai vengono meno, e cercando di costruire un nuovo futuro. La vostra testimonianza, maturata nelle avversità e rafforzata dal sangue dei martiri, sia una luce che risplende in Iraq e oltre, per annunciare la grandezza del Signore e far esultare lo spirito di questo popolo in Dio nostro Salvatore (cfr Lc 1,46-47).

Nuovamente rendo grazie perché abbiamo potuto incontrarci. Nostra Signora della Salvezza e l’Apostolo San Tommaso intercedano per voi e vi proteggano sempre. Benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre comunità. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

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