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sabato 5 ottobre 2019

Lasciarli andare è atto di Misericordia di Maria Frigione

Lasciarli andare è atto di Misericordia.
di Maria Frigione


Dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, il tema del “fine vita” è tornato di attualità in Italia. Come al solito ne è sorta tanta confusione e si sono succedute diverse posizioni sia rigoriste che possibiliste, molto spesso prodotte da ideologie di parte, che non hanno tenuto in nessun conto la situazione di sofferenza della persona. 

Ma che cosa ha stabilito di preciso la Consulta? La Corte Costituzionale ha deciso che non sia punibile" chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio" di un paziente affetto da una patologia irreversibile che gli causi sofferenze intollerabili, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ma in grado di prendere decisioni consapevoli. Il codice penale, infatti, punisce oggi (art. 580) chi convince al suicidio, ne rafforza la volontà di suicidio o "ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione" con la reclusione da 5 a 12 anni. 
Con la sentenza recente, i giudici costituzionali hanno però posto delle condizioni per la non punibilità. In particolare si chiede che vengano rispettate le norme sul consenso informato e che le modalità di esecuzione vengano verificate da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, "sentito il parere del comitato etico territorialmente competente." 
Il “consenso informato” è il presupposto delle Dat (Le disposizioni anticipate di trattamento), comunemente definite "testamento biologico" o "biotestamento", sono regolamentate dall’art. 4 della Legge 219 del 22 dicembre 2017

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Senza scendere nei tecnicismi queste sono grossomodo le regole giuridiche che regolano, nella sanità italiana, il gravoso capitolo della terapia del dolore, il periodo di fine vita e le possibilità decisionali che ha il singolo cittadino riguardo alla qualità della sua vita e quindi alle condizioni della propria morte. 
Personalmente credo molto nelle DAT cioè nella possibilità di decidere per tempo, in determinate situazioni di irrevesibilità della patologia, di non avvalersi di determinate metodiche di supporto vitale che avrebbero l'unico scopo di allungare la vita e quindi le sofferenze senza produrre alcun vantaggio benefico. Ancora tutto l'iter non è compiuto. Manca l'organizzazione a livello territoriale ma sopratutto una coscienza e una preparazione sociale al problema e le sue implicazioni. 

Padre Alberto Maggi, teologo di fama, che doveva essere operato per dissezione aortica , di fronte alla possibilità di riportare danni cerebrali o restare tetraplegico non ebbe dubbi: chiamò i suoi confratelli e diede disposizioni precise che se avesse riportato danni permanenti al cervello "dovevano staccare la spina". "Mi chiesi che senso potesse avere una vita del genere... resta il fatto che l'uomo ha la sua dignità e, allora ci si deve chiedere che tipo di dignità possa avere una persona che vede prolungarsi pene indicibili. E' in queste circostanze che si deve dire stop, altrimenti diventerebbe solo accanimento terapeutico, una specie di tortura e non ha senso. Papa Wojtyla nell'ultimo periodo disse - Lasciatemi andare alla casa del Padre... - rifiutò il prolungamento delle sue cure, e la stessa cosa fece il cardinale Martini". 

Ecco credo stia tutto qui il nocciolo del problema: il limite della sofferenza è proprio la dignità della persona. Sono medico anestesista ed ho lavorato in emergenza 42 anni e gli ultimi venti in terapia intensiva. Conosco bene la sofferenza e il dolore ed in tutta coscienza posso dire che ci sono dolori incoercibili, invincibili di fronte a cui l'uomo si deve arrendere. Penso ai malati tetraplegici per degenerazione neurologica (SLA e simili) o per trauma o per ictus, incarcerati in un corpo dolente senza alcuna possibilità di ripresa. Penso ai tanti malati di terapia intensiva soccorsi inizialmente con metodiche di supporto respiratorio ed emodinamico che non hanno superato l'evento e restano inchiodati a vita in un letto ed attaccati a delle macchine dove gli stessi strumenti di supporto diventano strumenti di tortura. Ricordo le lunghe notti di guardia quando al buio passavo tra i vari letti dei miei malati intubati, connessi al ventilatore, sostenuti emodinamicamente, monitorizzati ed altro. Povera umanità dolente molti senza alcuna speranza e che forse non dovevano neanche arrivare in rianimazione ma fermarsi molto prima proprio in rispetto della dignità della persona. 

Termino con le parole di un malato di SLA che scrive al Papa: "Quando il dolore fisico ti fa urlare ma non puoi perchè non hai voce e il dolore resta facendoti impazzire Caro Padre Francesco allora capisci che c'è una sola via di uscita, andartene. L'eutanasia o il suicidio assistito non sono soluzioni di comodo o sbrigative te lo assicuro. Il diritto di vita o di morte lo ha solo Dio? Ma Dio oltre il sopportabile non lo può permettere. La vita è sacra? Ma che sacralità c'è in questa sofferenza sempre non voluta o cercata? Solo il momento di scegliere, l'unica scelta". 

Lasciarli andare è atto di Misericordia.