LAMPEDUSA, LO STRAZIO PER QUELLA MADRE ABBRACCIATA AL SUO BAMBINO
Dietro a quei corpi in fondo al mare ci sono le migliaia di altre mamme e bambini, donne e uomini, che in questi anni sono andati ad affollare il più grande cimitero marino del mondo. Quando fermeremo tutto questo?
La commozione non basta più. Non bastano più le denuncie, le parole listate a lutto, le commemorazioni. Suonano retoriche dinanzi a quella giovane madre, morta in fondo al mare di Lampedusa, abbracciata al suo bambino, da poco nato, in un disperato tentativo di proteggerlo. Era il 7 ottobre scorso, quando il barchino che doveva essere la loro salvezza, è diventato la loro tomba nel“naufragio delle donne”, così definito perché sono stati ripescati tredici corpi di donne.
E anche chi scrive, per dovere d’informazione, si sente fuori posto a dovere raccontare questo ennesima strage. Dietro all’”immagine sacra” di quella mamma e del suo bambino, ci sono le migliaia di altre mamme e bambini, donne e uomini, che in questi anni sono andati ad affollare il più grande cimitero marino del mondo. Allora una domanda incalza: “Come è possibile che per questo sconfinato dramma che da anni lambisce le coste italiane, con un costo di vite umane di molto superiore a quello conosciuto, non si sia ancora trovata una soluzione? Perché immagini, scritti, racconti, continuano a non lasciare un segno decisivo”?
“Le parole si fermano in bocca . E’ inutile che si continui a parlare a vuoto”, ha detto il Sindaco di Lampedusa, Totò Martello, chiamando in causa il Governo italiano e l’Europa dinanzi al susseguirsi angosciante dei naufragi. “E’ mai possibile che queste due istituzioni non riescano a sedersi attorno ad un tavolo per decidere come affrontare questa questione, che non è un problema, ma un fenomeno che deve essere affrontato al di fuori delle logiche politiche e soprattutto, non come avviene nel nostro Paese, come materia per spot, propaganda e campagna elettorale. Tutti parlano di numeri e si scordano che quei numeri sono esseri umani”.
Quei “numeri” sono la mamma abbracciata al suo bambino, sono i bambini finiti in fondo al mare di cui non sapremo mai nulla, sono i giovani dell’età dei nostri figli, che hanno subito la stessa sorte, sono donne e uomini al cui posto, soltanto per il sorteggio misterioso dei destini umani, non ci siamo noi.
Ma chi sono i morti di questo sconfinato cimitero sui quali non si potrà mai scrivere una “Spoon River” perché non ne conosciamo i nomi, l’età, le vite? Sono un’umanità che scappa da situazioni di guerre, di fame, di violenze, di schiavitù. Sono persone che hanno attraversato tutte le stazioni di una via crucis che ha i suoi carnefici nel deserto che hanno attraversato, dove sotto la sabbia sono seppelliti il doppio dei morti in mare. Sono persone rimaste mesi, a volte anni, nei centri di detenzione libici, veri e propri lager, dove l’orrore ha il volto quotidiano e spaventoso delle torture, degli stupri, delle violenze di ogni genere. Sono donne e uomini che hanno deciso di salire su fragili gommoni, barconi e barchini, pur sapendo il rischio mortale al quale andavano incontro. E che “non fermi neanche con il carro armato, perché non hanno paura della morte, avendola vista in faccia nei loro Paesi e in Libia”, ha detto Tareke Brhane, l’eritreo arrivato su un barcone che presiede il comitato “3 ottobre”, nato dopo la strage di Lampedusa del 2013.
Sono certa che chi guarda con indifferenza o invoca il respingimento di questi migranti, non ha mai assistito al recupero dei loro poveri corpi. Non ha mai guardato negli occhi coloro che si sono salvati, nei cui sguardi c’è il terrore di una morte scampata, ma anche la sconfinata sofferenza delle loro storie. Non ha mai ascoltato in diretta i racconti di quanto hanno vissuto nei loro calvari e visto i segni sui loro corpi delle sevizie subite.
Il medico Pietro Bartolo per anni in prima fila a Lampedusa ad accogliere i sopravvissuti e i morti, ora eurodeputato, dinanzi a queste ultime stragi ha raccontato a HuffPost: “Ho pianto quando ho saputo quello che era accaduto nella mia terra. Ero lontano, sul treno, non potevo stare lì, come avrei voluto. Chissà quante stragi vedremo ancora se nessuno comincia a riflettere su questa situazione vergognosa e disumana. Non abbiamo alibi, né giustificazioni, solo la nostra coscienza sporca. E’ inconcepibile che un’istituzione come l’Europa, la più grande mai concepita dall’uomo, che ha capacità impressionanti rispetto al resto del mondo, si faccia condizionare da bugie e distorsioni.”
E per quanto riguarda l’Italia, punta l’indice sui due decreti di sicurezza dell’ex ministro Matteo Salvini: “Perché non si riesce a cancellare quei due provvedimenti che vanno contro le leggi internazionali e la legge del mare , e fanno disonore all’umanità? Salvare le persone in mare è un obbligo, e invece, nel nostro Paese, caso unico al mondo, è diventato reato”.
La mamma abbracciata al suo bambino nei fondali di Lampedusa, è stata paragonata alla Pietà. Il dolore, la tenerezza, l’amore della Madonna michelangiolesca, con suo Figlio in braccio, è quello delle tante madri che cercano salvezza con i loro bambini su quei barconi che finiscono in fondo al mare, dopo avere vissuto martiri inenarrabili. Sono “le madonne” del nostro secolo, vittime di un’indifferenza che da individuale è diventata collettiva e complice di quelle Istituzioni che oggi parlano al vento e non riescono a fare un concreto passo avanti per arginare queste stragi.
I sommozzatori della Guardia Costiera si sono immersi a sei miglia a sud di Lampedusa per tentare il recupero delle vittime del naufragio del 7 ottobre scorso. Il relitto si trova a 60 metri di profondità e dopo giorni di lavoro incessante i corpi sono stati ripresi dal robot sottomarino a comando remoto della Guardia Costiera. Per il recupero di tutti i corpi occorreranno diversi giorni. Sarebbero almeno 12, tra cui quello di un neonato.
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