"Sono assassini, non musulmani"
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Diverse decine di musulmani hanno preso parte anche a Madrid ad una manifestazione organizzata dal Centro culturale islamico di Fuenlabrada per dire "no al terrorismo" dopo gli attentati a Barcellona e a Cambrils. Diverse persone, fra cui alcune donne, si sono sono radunate alla piazza Puerta del Sol imbracciando cartelli e striscioni con su scritto: "Not in my name" (Non nel mio nome).
L’urlo dei musulmani
“Questo non è Islam”
Trafitta da raggi di luce colorata, in una basilica psichedelica dove si prega per le vittime della Rambla, c’è anche una fedele musulmana, Fatma Coskun, una donna di 47 anni che dice: «Prego anche io con tutti voi, per una pace comune ». Messa solenne e cantata, nella Sagrada Familia dove sono arrivati anche Filippo e Letizia, mesti come tutti, travolti dal caldo e dalla fatica di questi giorni, pur essendo i re di Spagna. I morti di giovedì sono ancora freschi, la botta è stata enorme e la stravagante meravigliosa chiesa di Gaudì è presidiata dentro e fuori per chilometri, soltanto polizia e ambulanze, metal detector, c’è paura. Ma Fatma è tranquilla, convinta che «Allah non vuole il terrorismo, non vuole che si uccidano i bambini e le famiglie. Questa violenza è inutile, l’odio non serve a niente».
« No en mi nombre », non nel mio nome, gridano i musulmani che manifestano sulla Rambla, che vogliono dissociarsi dai terroristi e che credono in quello che dice il cardinale Joan Josep Omella dal pulpito: «Bisogna stare tutti uniti, questo è un bel mosaico su cui si costruisce la società. Bisogna lavorare per la pace, il rispetto e la convivenza fraterna». Lo dice anche papa Francesco, che ha mandato la benedizione apostolica e un messaggio: l’attentato è «un’offesa gravissima al Creatore », comunque esso si chiami.
Ma ora molti, nel popolo musulmano catalano, hanno la paura addosso. Sono due milioni, in Spagna, il 57 per cento qui, nella fascia che va da Girona a Màlaga, e vedono spuntare le prime scritte sui muri, « Vais a morir, putos moros ». « Morireis », come ai tempi di Isabella la Cattolica. «Stop Islam!», « Asesinos, la vais a pagar », e via dicendo. Chi è stato? I cristiani, certo. E quindi, anche se il cardinale Omella ricorda di aver «visitato in questi giorni alcune famiglie musulmane, colpite dall’attentato, gente in lacrime, disperata», eppure si temono rappresaglie, che dalle scritte si passi ai fatti.
A pochi chilometri dalla Sagrada Familia c’è il quartiere El Clot, popolare, molti i musulmani, «non un ghetto, qui tutti lavorano, qui siamo tutti barcellonesi », racconta Walaa, 43 anni, ingegnere egiziano/spagnolo in città dal 1987, per 12 anni insegnante di materie tecniche nella scuola dei Gesuiti. Walaa dice che «i cristiani ci odiano dall’11 settembre. I terroristi della Rambla? Giovani pazzi, indottrinati da uno sciagurato imam. I ragazzini sono pericolosi, anche se cresciuti in famiglie normali come le nostre. Io li vedo, gli studenti. Non fanno niente, non giocano neanche a calcio o a basket. Hanno un cervello piccolo, vivono una vita parallela su Facebook, dove gira di tutto», e da un giorno all’altro «diventano ultrareligiosi, fanatici. Spesso usano droghe, e anche quello li aiuta a diventare aggressivi, feroci».
Al numero 1 del carrer Rafael Capdevila c’è il Centro Cultural Islamico Catalan. Davanti al portone di legno intarsiato sta Sheik Mahmud, l’imam. «Nella preghiera di venerdì ho detto a tutti che i terroristi sono il peggio del mondo. Loro distruggono, uccidono. Ma la prima parola dell’Islam è pace, e le armi sono proibite, l’ha detto il profeta Maometto: niente pugnali. E anche un van può essere un’arma».
Al Centro si lavora per la manifestazione di stasera: oltre 40 comunità musulmane della Catalogna si troveranno per ripetere a tutti che loro non c’entrano, anzi condannano, « como humanos, españoles y musulmanes » e questo costa loro caro, perché «cominciano ad arrivare le minacce su Facebook», dice Walaa, e insomma non si sta tranquilli, neanche in un quartiere dove il mix funziona, da anni, si vive bene, «perché succedono queste cose?».
«Io volevo scusarmi per quello che era appena successo, per i morti, i feriti. Allora sono andata a donare il sangue in ospedale, nella notte», dice Azra. Bosniaca/ barcellonese, fuggita da Sarajevo 22 anni fa, dove ha visto di tutto, «ora mi ritrovo in un’altra guerra, più grande. Una nuova tragedia che non finisce più».
E Carolina, mamma di 38 anni che porta il bambino a spasso per El Clot, senza hijab, «me lo metto solo per pregare », dice che lei si vergogna, «per questi che credono nella violenza, che per noi non è un valore, sia ben chiaro».
Poco lontano passa Jeva, casalinga di 40 anni nata nel Sahara, in Marocco. Giovedì sera era a casa, «ho sentito tutto, i miei figli Mohamed e Raduan erano fuori, stavo impazzendo dalla paura». Poi sono tornati. «Piangevano, e io con loro», e al pensiero si rimette a piangere, la gente si gira a guardarla, è una povera donna che ha paura di morire.
Una quarantina di persone della comunità musulmana di Ripoll si sono ritrovate sabato davanti al comune della cittadina catalana, per condannare fermamente gli attacchi terroristici di Barcellona e Cambrils. ‘‘No en el meu nom’‘ (non nel mio nome) il messaggio lanciato dai partecipanti, tra i quali c’era anche Hannou Ghanimi, madre del ricercato numero 1, Younes Abouyaaqoub. “Deve recarsi al commissariato. Preferisco che vada in prigione piuttosto che sia morto. Non voglio che uccida, l’Islam non significa uccidere persone. L’Islam è pace e amore’‘, queste le parole della madre, accompagnata da una cugina di Younes. E’ sconvolta anche Halima, madre di Mohamed e Omar Hychami, entrambi uccisi giovedì notte dalla polizia a Cambrils: “Mohammed mi ha detto che era in vacanza fino al 27 agosto. Gli ho chiesto dove era e mi ha risposto che era al mare, con gli amici. Mi chiamava spesso’‘. E’ una comunità distrutta e che non si spiega come dei giovani come i propri figli, cugini o amici abbiano potuto compiere un atto così atroce da soli.
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"L'Islam vero non è questo, la violenza nasce dall'ignoranza"
A nemmeno un chilometro dalla grande Rambla di Barcellona c'è un'altra Rambla, quella del Raval. Ma è una Rambla molto diversa: questo è il quartiere più "multietnico" di Barcellona e quello con la più alta concentrazione di musulmani del centro storico, con ben cinque piccole moschee. L'attacco sulla Rambla rivendicato dallo Stato islamico suscita sgomento, rabbia e preoccupazione fra i molti commercianti della zona, che sono uniti nel rivendicare che il vero Islam non è quello dei terroristi.
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Le parole di Papa Francesco all'Angelus di domenica 20/08/2017
Cari fratelli e sorelle,
nei nostri cuori portiamo il dolore per gli atti terroristici che, in questi ultimi giorni, hanno causato numerose vittime, in Burkina Faso, in Spagna e in Finlandia. Preghiamo per tutti i defunti, per i feriti e per i loro familiari; e supplichiamo il Signore, Dio di misericordia e di pace, di liberare il mondo da questa disumana violenza. Preghiamo insieme in silenzio e, dopo, la Madonna.
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