La direzione
del nostro impegno
di Luigi Ciotti
L'EDITORIALE DI DON LUIGI CIOTTI SUL SECONDO NUMERO DEL 2017 DI NARCOMAFIE
Uno dei primi obiettivi di Libera si chiama trasformazione. In una società in rapido mutamento, abbiamo la necessità di trasformarci nella continuità dei nostri orientamenti. Necessità di aprirci alla vita, di accoglierne le diversità. È nel confronto continuo con le diversità che avviene la crescita. La storia di Libera è, in definitiva, una storia d'incontri e di confronti. Essere una rete di associazioni, un'associazione tra associazioni vuol dire in sostanza questo: ravvivare il nostro desiderio d'incontrarci e d'incontrare gli altri. Libera è un'aggregazione di soggetti diversi, ciascuno con una propria storia, una propria tradizione, una propria dimensione culturale e valoriale.
Questa differenziazione è vitale perché ci permette di non chiuderci, di non fossilizzarci. Perché ci aiuta a scoprire e intraprendere sentieri nuovi, ci chiama a metterci e rimetterci in gioco, ci obbliga a rifiutare la routine. Viviamo in un'epoca complessa. E in tutta questa complessità, in questo continuo pensarci e ri-pensarci, è essenziale non abbandonare mai la via della semplicità e dell'umiltà. E insieme evitare il rischio di diventare "specialisti della perplessità". Il dubbio, beninteso, è fondamentale: senza dubbio non c'è consapevolezza, non c'è crescita. Ma che non sia il dubbio per partito preso, che dice sempre "no" nella convinzione di saperla più lunga. Questa è presunzione.
Allora va bene dubitare, obiettare, ma poi anche proporre, cercare soluzioni, costruire possibilità. Non avere paura di lasciarsi sorprendere dalla vita. Seguire gli schemi è comodo, ma non porta lontano.
Ciascuna delle componenti di Libera (i soci, i presidi, i coordinamenti provinciali e quelli regionali, la segreteria nazionale e l'ufficio di presidenza) deve saper ascoltare, deve lasciarsi arricchire dalle ragioni degli altri.
Non in una semplicistica, incondizionata accettazione, ma in una condivisione di percorsi, in una ricerca di ragioni comuni. Perché la base di tutto resta il "noi", la condivisione e la corresponsabilità.
Si sprigioni "simpatia" dalle nostre attività. Si sprigioni simpatia dal nostro modo di fare. L'Italia, dal Sud al Nord, è una fabbrica in fermento di idee e di percorsi meravigliosi. Il nostro compito è di sostenerli, di accompagnarli. Dobbiamo gioire della riuscita degli altri, rattristarci delle loro difficoltà. Cercare di essere profeti: scorgere nel presente i segni del futuro.
Lasciarci guidare dall'intelligenza e dal "fuoco" della relazione, quella tra di noi innanzitutto. E metterci cuore, metterci coraggio. Non si tratta di fare cose straordinarie, ma di guardare ogni giorno nella coscienza. Coraggio è ascoltare la propria coscienza e assumersi le responsabilità che essa ci chiede di assumere. Questo rinnovamento del nostro percorso deve fondarsi su tre parole.
La prima, è "noi". Parola bellissima che però ci sta sfuggendo di mano. Perché c'è chi la usa in maniera distorta, chi ne altera il senso, chi ne fa un trampolino per ambizioni personali. Attorno al "noi" ci sono troppi abusivi, troppi incantatori. Libera deve riprendersi questa parola, ripulirla, bonificarla. C'è una responsabilità delle parole. Le parole sono azioni, sono impegni. Solo se riconosciamo loro questo peso, questo valore, diventano vie di accesso alla verità, non strumenti per occultarla o per distorcerla.
La seconda parola è "verità". La più difficile e esigente delle parole, tale da coinvolgere l'integrità delle nostre vite. Non si può essere ricercatori di verità a intermittenza, solo quando fa comodo, solo se c'è un interesse.
La verità non ammette calcoli, opportunismi. Richiede un'adesione totale e incondizionata.
La terza parola è "educazione". Da sempre Libera è impegnata nelle scuole, lavora con i giovani, al fianco dei docenti, dei genitori anche nelle parrocchie, nei circoli, in molti contesti formativi. Questo perché oggi, come mai, abbiamo bisogno di educare.
Danilo Dolci diceva che l'educazione è un sogno condiviso. Mi permetto di aggiungere che non è opera di navigatori solitari. Non si educa da soli e non ci si educa da soli. Si educa e, nel contempo, si viene educati. In questo senso l'educazione è un progetto corale: siamo tutti educatori, nessuno escluso, e siamo tutti educati, nessuno escluso.
Ed è un progetto fondato sulla fiducia. In definitiva instaurare un rapporto educativo è instaurare un rapporto di fiducia, perché fondato innanzitutto sull'ascolto e sul riconoscimento dell'altro. Tutto questo rimuove gli steccati: che siano sociali, anagrafici, economici, l'educazione li fa saltare, generando rapporti paritari, rapporti di reciproco riconoscimento. Per questo l'educazione è il primo antidoto alla malattia del potere, al dominio e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Educare è costruire una società consapevole, e una società consapevole non accetta una politica muta. Oggi il mutismo della politica di fronte alle questioni sociali è inquietante, ma non bisogna generalizzare. In certi contesti, in certe realtà, c'è anche una buona politica, che cerca di cambiare le cose, che agisce per il bene comune.
In una società consapevole e corresponsabile, le mafie e la corruzione non troverebbero spazio. E invece abbiamo in Italia milioni di persone in povertà, abbiamo due milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano. È su questo sostrato di disuguaglianze che attecchiscono le mafie. Ci insegna Giovanni Falcone che la lotta alle mafie è essenzialmente una lotta di civiltà, un impegno per costruire una società meno disuguale, meno ingiusta. Un impegno a cui tanti, troppi, sono venuti meno.
Non dobbiamo aver paura di denunciare che l'economia mafiosa s'intreccia spesso con l'economia legale, vive e prolifera nei canali e nelle zone grigie del "mercato", nei coni d'ombra della finanza. Le mafie sono anche il risultato dei vuoti che lasciamo: vuoti di comunità, vuoti di responsabilità, vuoti di memoria, vuoti di amore. Sono forti dove predomina l'indifferenza, il cinismo, l'idea che i problemi degli altri non siano anche nostri. Pensiamo all'immigrazione: le mafie e le bande criminali si arricchiscono con i drammi e le tragedie di un'umanità esclusa, respinta.
Perciò siamo chiamati a fare testamento. Non il testamento che si scrive a fine vita e che tocca ad altri far rispettare. Ma un testamento scritto di giorno in giorno con le nostre azioni, con le nostre scelte, con i nostri comportamenti. Un testamento che si chiama impegno.