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mercoledì 23 agosto 2017

Riflettendo sul Padre Nostro scopriamo il sogno di Dio. Il sogno di crescere uomini che mettono in comune il pane, ogni giorno. - Le prediche di Spoleto 2017 LA PREGHIERA DI GESÚ: IL PADRE NOSTRO - "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" Prof. Marco Impagliazzo

LA PREGHIERA DI GESÚ:
IL PADRE NOSTRO
a cura dell’Archidiocesi Spoleto-Norcia in collaborazione con Festival di Spoleto 60

È ormai tradizione che il Festival di Spoleto proponga nel suo programma un ciclo di "Prediche" che, grazie ad interventi qualificati, offra a quanti le vogliano ascoltare qualche spunto di riflessione e approfondimento.
Dopo le felici esperienze degli anni passati, il 2017 affronta il tema della preghiera partendo dal testo che Gesù di Nazareth ha consegnato ai suoi discepoli: il Padre nostro. Con Tertulliano, scrittore del secondo secolo d.C., la tradizione delle Chiese cristiane vede in quelle parole un compendio di tutto il Vangelo. In esse sono contenute le dimensioni essenziali della predicazione di Gesù e si ritrova come l’introduzione al suo insegnamento e al mistero stesso della sua esistenza.
Anche oggi, ripercorrere questo testo e addentrarsi nelle domande che formula - dal pane quotidiano al perdono reciproco - conduce a scoprire che cosa significhi pregare, se sia possibile parlare a Dio, se non si tratti di una illusione, se possiamo domandargli effettivamente qualcosa. Perché per pregare è indispensabile trovare il cammino del cuore; il cuore inteso non come luogo della vita affettiva e delle emozioni, ma come il centro della persona, punto preciso in cui l’uomo si conosce in verità. È per questa ragione che la preghiera non si può definire come un discorso rivolto a Dio o una riflessione intellettuale sull’essere di Dio. La preghiera cristiana si colloca su un altro piano. È un dialogo tra due esseri.
+ Renato Boccardo


Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Prof. Marco Impagliazzo *
Presidente della Comunità di S. Egidio - Roma
domenica 9 luglio


La richiesta su cui oggi ci fermiamo è la più naturale e semplice fra quelle contenute nella preghiera insegnata da Gesù ai discepoli. Lo ha colto molto bene Benedetto XVI, quando ha affermato: «La quarta domanda del Padre Nostro ci appare come la più “umana” di tutte. Il Signore, che orienta il nostro sguardo su ciò che è essenziale, sull’“unica cosa necessaria”, sa però anche delle nostre necessità terrene e le riconosce. Egli, che ai suoi discepoli dice: “Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete” (Mt 6, 25), ci invita tuttavia a pregare per il nostro cibo e a trasmettere così la nostra preoccupazione a Dio».

Gesù ha vissuto in quel mondo mediterraneo in cui il pane significa tanto nell’alimentazione e nella vita quotidiana. È l’alimento di base della dieta della maggior parte delle popolazioni del Mediterraneo: spesso la base su cui si pongono condimenti o altri cibi, l’elemento essenziale per le diete più povere. Il pane è quindi tanto presente nella Scrittura, perché era ben presente nella cultura e nella vita quotidiana. Certamente per il mondo ebraico, il pane era il cibo essenziale. Per altre culture non è così. Dovremmo parlare invece di riso o di altro cibo di base. Non è così nella cultura e nella dieta di noi europei, per cui il pane è molto importante. Il pane è un alimento povero, oltre a essere un alimento basico: sostegno all’esistenza concreta di ciascuno.

[...] La globalizzazione ci mette rapidamente a parte delle notizie da tutto il mondo. Si sa molto e presto: la fame di terre lontane, le difficoltà, i bisogni. L’immagine del dolore ci raggiunge. Le società europee sono capaci di pensare in termini di condivisione? O tutto quello che è destino comune finisce per essere visto come giogo? La quarta domanda del Padre Nostro restituisce il senso minimale di fraternità per cui almeno il pane, almeno il pane dell’oggi, dev’essere messo in comune. Non i grandi investimenti, non le grandi strategie. Non le visioni del futuro, non i programmi dalla lunga durata. Ma almeno il pane. Il pane per l’oggi. Siamo in un tempo in cui il pane degli altri interessa relativamente: forse anche in una stagione in cui cambiare il mondo non è più di moda. Ma il Vangelo ci aiuta a incamminarci su una strada nuova. È il cammino del Maestro, che non passò indifferente di fronte ai malati, ai lebbrosi, agli affamati, alle lacrime delle donne e al dolore degli uomini. Chi salva una fragile vita cambia il mondo. Chi dà il pane cambia il mondo.

La globalizzazione in corso non significa automaticamente un’assunzione globale di responsabilità. Anzi. Sta a noi fare una scelta. Sta a noi vivere quella globalizzazione del cuore che il Padre Nostro insegna. La Chiesa, comunione universale, ha la globalizzazione nei suoi cromosomi. Ma bisogna allargare la solidarietà. La lontananza non ci condanna all’indifferenza. Questo è il punto! Cinquant’anni fa, il 9 febbraio 1966, Paolo VI lanciò un grande appello per la fame in India, dove si era recato rimanendone assai colpito: «Ci siamo ricordati del miracolo della moltiplicazione dei pani! Noi non abbiamo affatto la virtù prodigiosa di Cristo di far scaturire pane dalle nostre mani impotenti. Ma abbiamo pensato che il cuore dei buoni può compiere questo miracolo… Nessuno oggi può dire: io non sapevo. E, in un certo senso, nessuno oggi può dire: io non potevo, io non dovevo. La carità tende a tutti la sua mano. Nessuno osi rispondere: io non volevo!».

Chi ha imparato a dire «Dacci oggi il nostro pane quotidiano », rifletta su ognuna di queste parole di Paolo VI: «Io non potevo», «Io non dovevo» o «Io non volevo »! In questo mondo globale i cristiani possono essere una riserva di umanità e la profezia di un mondo in cui il lontano non è senza volto e senza parola. Siamo partiti da una tentazione e da un sogno. Il sogno di uomini che vivevano in una terra con molte pietre aride e poche spighe. La tentazione dell’Avversario a Gesù: «Di’ a questa pietra che diventi pane». Riflettendo sul Padre Nostro scopriamo un altro sogno: quello di Dio. Il sogno di crescere uomini che mettono in comune il pane, ogni giorno.

[...] Dare il pane quotidiano. Bisogna allargare la solidarietà. È necessario tener viva la memoria di chi soffre, mostrare vie percorribili ai nostri concittadini per essere solidali, far crescere la cultura della solidarietà nei nostri paesi. Penso a quell’ondata d’interesse che passa attraverso le adozioni a distanza, capaci di creare un rapporto tra persona e persona. L’ondata d’interesse per i corridoi umanitari con cui sono state salvate dai trafficanti di uomini le vite di tanti siriani in fuga dalla guerra. Nonostante la crisi non si può nascondere che esiste in Italia una generosità, rivelatrice della voglia dei nostri concittadini di aiutare i lontani. Dobbiamo mostrare che ci sono vie per cui la solidarietà è possibile: è possibile aiutare ad avere il pane, la parola e la pace. La gente cerca di amare. Chi cerca di amare senza saperlo cerca anche colui che è l’amore. La lontananza non ci condanna all’indifferenza. L’amore ci porta vicini a chi soffre lontano. I cristiani, in questo mondo globalizzato, sono chiamati ad avere una spiritualità aperta all’universale, senza dimenticare certo il vicino. E non c’è universalità migliore che la partecipazione ai dolori di chi è povero o di chi soffre. È il senso dell’appello lanciato da Paolo VI per la fame in India.

I cristiani sono quelli che non dicono: io non potevo o io non dovevo o io non volevo! In questo mondo globale, possono essere una riserva di umanità e la profezia di un mondo in cui il lontano non è senza volto e senza parola. È un mondo in cui il lontano si fa vicino, mentre si lanciano tanti ponti, fatti della solidarietà del pane, della parola, della pace, sull’abisso di distanza, d’indifferenza, d’incomprensione, che divide i popoli. L’indifferenza allarga gli abissi. La carità tende a tutti la sua mano e così impercettibilmente – come il movimento tellurico – avvicina i mondi. Per concludere vorrei citare un grande filosofo russo, Nikolaj A. Berdjaev, che in un certo senso riassume con profondità la questione affrontata: «Quella del pane è per me una questione materiale; ma la questione del pane per il mio prossimo, per gli uomini di tutto il mondo, è una questione spirituale e religiosa. La società dev’essere organizzata in modo tale che vi sia pane per tutti; soltanto allora la questione spirituale si porrà davanti all’uomo in tutta la sua profonda essenza».


*PROF. MARCO IMPAGLIAZZO | È nato a Roma nel 1962. È professore ordinario di Storia contemporanea nell’Università per Stranieri di Perugia e membro del Senato Accademico. È studioso della Chiesa cattolica nel XIX e XX secolo e, più in generale, del fenomeno religioso in Europa e dei rapporti tra cristianesimo, ebraismo e islam nel Mediterraneo in epoca contemporanea. Dal 2003 è presidente della Comunità di Sant’Egidio. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura, riconfermato per un quinquennio nel gennaio 2016. Dal 2012 è Consultore del Pontificio Consiglio per la pastorale dei Migranti e gli Itineranti. Nell’ottobre 2012 è stato Uditore al Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione. Nel novembre 2003 ha vinto il Premio Nazionale Minturnae per la saggistica con il volume sulla strage degli armeni. Nel gennaio 2011 il premio Giornalistico Hrant Dink per la libertà di informazione. Nel marzo 2012 ha ricevuto il premio Ducci per la Pace, per la promozione del dialogo tra le religioni e le culture. Dal 1987 è tra gli organizzatori degli Incontri Internazionali di preghiera per la Pace tra religioni e culture della Comunità di Sant’Egidio. Negli anni 1994-1995 è stato tra i protagonisti dell’azione di pace per l’Algeria condotta dalla Comunità di Sant’Egidio, con la firma della Piattaforma di Roma per una soluzione politica pacifica alla crisi algerina. Dal gennaio 2012 all’aprile 2013 è stato Consigliere per le questioni religiose del Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi.



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