Archiviare Francesco?
Una volta depositate le emozioni e svanita l’eco mediatica suscitata dalla morte di papa Francesco e dalla elezione di Leone, sento il bisogno di confessare una preoccupazione.
La seguente: che, in buona o cattiva fede, si archivi la lezione di Francesco, il senso del suo pontificato, fraintendendolo, facendone una caricatura. Non solo da parte dei suoi critici o antipatizzanti. Di qui l’esigenza di fissarne alcuni tratti fugando alcuni equivoci al riguardo, dal mio modesto, personalissimo punto di vista.
Anche per confutare la “scuola di pensiero”, che già ha preso corpo, di chi esagera (auspicandola) la discontinuità/differenza incarnata dal suo successore. A dispetto, da un lato, dagli enunciati dello stesso Leone e, dall’altro, dalla cura di attendere di meglio conoscere le sue idee e i suoi propositi.
Con (pre)giudizi francamente intempestivi e prematuri. Diamo tempo al tempo. Ferma restando l’ovvia circostanza che ciascuno ha la propria personalità, il proprio carisma, il proprio stile e che pensare a un Francesco 2.0 sarebbe fuori luogo e persino grottesco.
Il Vangelo e la sua radicalità
Alcune letture decisamente superficiali hanno dipinto Francesco come un papa tutto proteso all’esterno a discapito dell’interiorità e della cura per la Chiesa, un papa apprezzato più da “quelli di fuori” che da “quelli di dentro”, un papa dedito alle questioni sociali e politiche distratto rispetto al contenuto proprio della fede e della dottrina.
A ben vedere, si può sostenere l’esatto contrario e cioè che il suo ministero si sia caratterizzato per un massimo di concentrazione sul Vangelo e, questo sì, sulla radicalità delle sue implicazioni.
La percezione contraria semmai ne avvalora l’esigenza, attesta la diffusa ignoranza circa gli intimi nessi: ovvero che fosse quantomai necessario rimarcare tale alterità del Vangelo rispetto al senso comune e al pensiero dominante in un mondo che vive etsi Deus non daretur, un mondo che mostra di non intendere la portata di un messaggio quale “segno di contraddizione”, quale “scandalo e follia” per i pagani di oggi come di ieri.
Lo stile
Giustamente di Francesco un po’ tutti − forse con l’eccezione dei nostalgici dei rituali legati al “papa re” − hanno apprezzato lo stile umile, semplice, sobrio testimoniato da innumerevoli dettagli concernenti le sue abitudini di vita. Così pure la sua fedeltà al profilo di pastore generosamente dedito al servizio del suo gregge (celebre la metafora dell’odore di esse).
Il suo magistero si è sempre ispirato a quel registro e a quella curvatura pastorale. Altrettanto informate a quel registro le sue nomine di vescovi e cardinali. Questo aspetto ha indotto taluni a misconoscere la densità e la profondità del suo pensiero. Eppure basterebbe evocare la sua esortazione apostolica e le sue due principali encicliche.
La Evangelii gaudium, che è il manifesto del suo pontificato, rappresenta la ripresa/attualizzazione del Concilio Vaticano II; la Fratelli tutti e la Laudato si‘, tra loro complementari, che si segnalano per originalità e spessore nonché per la loro puntuale corrispondenza alle grandi sfide del nostro tempo riconducibili alla giustizia sociale e alla salvaguardia del Creato.
Per dirla con espressione conciliare e giovannea, la centratura della riflessione cristiana sui “segni del nostro tempo” accuratamente selezionati. Il profilo soggettivo di Francesco tanto amato per la sua semplicità nulla toglie alla pregnanza del suo magistero e della teologia che lo ispira.
Di nuovo, certi superficiali opinionisti, dopo l’elezione di Leone, del quale hanno rimarcato la robustezza degli studi, lo hanno opposto a un Francesco rappresentato come un buon parroco privo di dottrina. Quasi che egli non abbia portato nulla di significativo e di nuovo al magistero pontificio.
Montini-Bergoglio
Si diceva della ripresa organica del Vaticano II. È innegabile che, a monte di Francesco, il cosiddetto aggiornamento conciliare e le riforme da esso sortite abbiano conosciuto una fase di stanca se non di arretramento.
In sede teologica si è suggerito di sostituire l’“ermeneutica della riforma”, bollata polemicamente come teoria della rottura con la tradizione, con l’“ermeneutica della continuità”. Una correzione solo apparentemente lessicale che, in realtà, sottende una riserva e un ridimensionamento dell’oggettiva tensione innovatrice dell’assise conciliare.
Sia in ciò che attiene al cuore del Concilio e del pontificato di Paolo VI (pochi hanno notato quanto spesso Francesco abbia fatto esplicito rimando a Montini, specie al Montini della Evangelii nuntiandi centrata sulla sfida decisiva dell’inculturazione della fede) ovvero al rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno; sia i due temi cruciali al tempo del Vaticano II ma un po’ calati nell’attenzione degli anni a seguire: la Chiesa povera e dei poveri, nonché l’esigenza di uno “scatto profetico” nel magistero circa la pace e la guerra, con un graduale, progressivo abbandono della dottrina della guerra giusta.
Decisionismo-sinodalità
Con riguardo a un tratto soggettivo di Francesco, da più parti si è messo l’accento su un certo suo decisionismo, persino sul suo carattere impulsivo. Difficile negarlo. Un difetto? Forse.
Non è da escludere tuttavia che quel difetto possa essersi rivelato provvidenziale per affrancarlo da “lacci e lacciuoli”, opacità e resistenze di cui non è immune il “sistema vaticano” e la sua burocrazia. Ma soprattutto va osservato che la visione della Chiesa e della prassi a essa congeniale in Francesco sia connotata dalla più larga partecipazione e dalla “sinodalità”.
Una parola che, evocando il sinodo, designa l’ultimo grande impegno del suo pontificato. Solo qualche esempio: penso al Sinodo sulla famiglia per la prima volta scandito in due tempi, con il primo senza conclusioni in quanto interamente dedicato all’ascolto delle Chiese locali; penso al ruolo assegnato per la prima volta a donne nei dicasteri pontifici; penso all’ultimo episodio − impensabile prima di Francesco − dell’Assemblea sinodale della Chiesa italiana, tradizionalmente non delle più sciolte e coraggiose, con lo stop al varo di un documento finale originato da una “pacifica rivolta” dal basso dei suoi delegati insoddisfatti (va detto: cui ha acconsentito il vertice della CEI).
Il proprio di Francesco
Pur nella sostanziale continuità della Chiesa e degli stessi pontefici, ciascuno di essi porta tuttavia un proprio peculiare carisma. È innegabile che Francesco abbia rappresentato una novità in quanto uomo e pastore che veniva dal Sud del mondo. Un punto di vista prezioso per una Chiesa storicamente e culturalmente eurocentrica ed euro-occidentale.
In un tempo nel quale l’Europa è sempre meno centrale nello scenario mondiale ed altri, al Sud e all’Est, acquistano nuovo protagonismo. E la stessa Chiesa registra un’espansione soprattutto fuori dai confini dell’Europa, vecchia e stanca, nella quale la scristianizzazione non conosce soste.
A mio avviso, sono semmai un’opportunità e un servizio reso all’Occidente − da taluni rappresentato come il regno del bene opposto al regno del male − quello di una Chiesa coscienza critica di esso, che contribuisca a custodire il portato buono della sua civilizzazione cui la Chiesa stessa ha concorso (diritti umani, Stato di diritto, democrazia liberale), ma che non esiti a denunciarne limiti e responsabilità verso le civiltà e le culture altre.
Celiando ma non troppo, taluni hanno fatto assurgere Francesco a solitario “leader morale” della sinistra in una stagione nella quale le sinistre, in Europa e nel mondo, scontano una crisi culturale e politica e non esprimono leadership autorevoli. Si spiega. Lo ha fatto lo stesso Bergoglio in più circostanze con riguardo ai suoi pronunciamenti in tema di pace e guerra, di critica al capitalismo e all’economia dello scarto, di commercio delle armi, dello scandalo della povertà e delle macroscopiche disuguaglianze, delle politiche di respingimento dei migranti, di inerzia colpevole verso il cambiamento climatico.
Francesco − alla stregua di La Pira − ha replicato che a ispirarlo non è Marx ma il Vangelo. Come contestarlo? E tuttavia segnalo che egli su certe certezze della cultura woke ha manifestato riserve e obiezioni che non sono da bollare come dal sapore retrò. Certo, esse si situano in una linea di continuità rispetto al magistero tradizionale, ma forse possono essere lette anche in altre due chiavi.
La prima: scavare alla radice individualistica di certi asseriti diritti a ben vedere in contrasto con una concezione della libertà non refrattaria alla relazione e ai vincoli di solidarietà cui la stessa sinistra dovrebbe essere sensibile. La seconda: segnalare come, nell’agenda politica di chi si propone di corrispondere alle “attese della povera gente”, vi sono altre priorità rispetto a quelle, pur degne, care a circoscritte minoranze acculturate.
La teologia del popolo respirata da Francesco e la sua attenzione al protagonismo dei movimenti popolari impegnati all’elevazione sociale degli umili può rendere ragione di una sua distanza critica dall’elitarismo della cultura woke.
Un papa per il popolo
Per tutte le menzionate ragioni e altre ancora, è facile comprendere perché Francesco abbia fatto breccia nel cuore del popolo, credente e non, della gente semplice, delle periferie umane e sociali, e, invece, abbia incontrato diffidenze e ostilità nell’establishment.
Gli uni lo hanno sentito come uno di loro, uno che stava dalla loro parte; gli altri come uno fuori dagli schemi, scomodo, alieno. Se ne è avuta un’immagine plastica al suo funerale: nelle prime file i potenti che in vita per lo più non gli hanno dato ascolto; in piazza e lungo via della Conciliazione il popolo che partecipava al lutto con sincera, intensa commozione.
Di nuovo non sorprende che l’establishment abbia avvertito il senso di una sua alterità, quella che corrisponde alla “differenza evangelica” rispetto ai parametri del mondo e segnatamente del mondo che conta.
Né sorprende, come si è accennato, che i media che danno voce a quel mondo abbiano avviato da subito una campagna volta ad accreditare l’idea che finalmente Leone è e sarà l’opposto di Francesco – da archiviare come un papa sprovveduto, incolto, bizzoso.
Non un buon servizio a Leone che, ho ragione di pensare, ne smentirà le attese non del tutto disinteressate.
(fonte: Settimana News, articolo di Franco Monaco 24/05/2025)