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martedì 6 maggio 2025

Miguel Ángel Malavia: Francesco, un testimone credibile

Miguel Ángel Malavia
Francesco, un testimone credibile


Per capire quanto Jorge Mario Bergoglio sia stato un gigante del nostro tempo, basta vedere chi gli ha detto addio con il cuore in mano dopo la sua morte.

E così, ecco che incontriamo un cartonero di Buenos Aires che davanti alla bara del papa lo ha ringraziato per il suo impegno instancabile in favore di un «lavoro dignitoso»; un rifugiato di guerra a cui Francesco, qualche anno fa, ha pagato di tasca sua il viaggio a Roma con la sua famiglia in un corridoio umanitario sicuro e concordato con il Governo italiano; un senzatetto che ogni sera trova un «ospedale da campo» presso la grande «parrocchia» che è San Pietro; un detenuto la cui dolorosa storia era ben nota al pontefice argentino; un giovane evangelico ucraino che ha potuto incontrarlo decine di volte a casa Santa Marta per portargli brandelli dell’anima insanguinata del suo Paese; i bambini di Gaza che Francesco chiamava ogni giorno per informarsi su che cosa fossero riusciti a mangiare in mezzo a tanta devastazione; una anziana signora che ogni giorno del suo ultimo ricovero all’ospedale Gemelli gli portava rose gialle e che il papa riconosceva personalmente.

Ecco chi sono coloro che sono rimasti incantati da un uomo affascinante. Una persona che comunicava un amore appassionato per Gesù di Nazareth e che si impegnava con tutte le forze affinché gli altri potessero condividere lo stesso dono di vita. Una persona che, con le sue parole e i suoi gesti, era credibile. Che lo si accetti o meno, questa è la ragione del grande vuoto che respiriamo nella Chiesa, una comunità umana in cui cardinali, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici spesso chiudono gli occhi davanti al dolore degli altri. Se non fosse così, il mondo non sarebbe piombato in questa notte buia verso la quale corriamo ciechi e senza speranza.

Papa Francesco è stato un parroco del mondo che ha conferito maggiore credibilità al suo modo di avvicinare Dio all’uomo. Com’era già successo nelle baraccopoli di Buenos Aires, anche a Roma si è abbassato per abbracciare «tutti, tutti, tutti» nelle loro ferite dell’anima. Se gli parlavano dei malati di AIDS, non si accontentava di tenerli presenti, ma si presentava davanti ad alcuni di loro per consolarli. Se gli scriveva un bambino che aveva perso il padre e, essendo questo ateo, gli chiedeva «se sarebbe andato in paradiso», si assicurava di dargli la risposta più bella di tutti i tempi… e di abbracciarlo forte.

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È morto un padre per tutta l’umanità. Ci ha lasciato la voce potente che denunciava la struttura ingiusta che porta alla guerra e arricchisce i produttori di armi e i governi corrotti. Abbiamo detto addio a colui che, per la prima volta nella storia della Chiesa, ha cambiato il Catechismo affinché la condanna della pena di morte fosse categorica e senza margini di dubbio. È scomparso il pastore che, oltre a gridare contro l’ingiustizia climatica e a esortarci a essere fedeli custodi del Creato, guardava con stupore a chi incarnava nel modo più alto tale nobile missione: i popoli indigeni dell’Amazzonia, il cui essere più intimo è in profonda armonia con la terra dei loro antenati.

È morto un pontefice che ci ha avvicinato ai fratelli ortodossi e il cui appello per la celebrazione congiunta della Pasqua risuona ancora nelle nostre orecchie. È morto un sincero compagno di cammino dei fedeli delle chiese evangeliche, davanti ai cui pastori, a Buenos Aires, si inginocchiava per ricevere la benedizione. È morto il grande promotore del Documento sulla Fraternità Umana, il passo più grande e più audace per abbracciare chi crede in altre religioni. Perché sono nostri fratelli, senza dubbio.

Fa davvero male dire addio a un tale spirito libero e genuino, al punto che era emozionante sentirlo raccontare come molte delle misure che proponeva per la Chiesa e per il mondo le «sognava». E il suo non era un modo di dire, perché si alzava alle quattro del mattino per lavorare senza sosta e senza mai concedersi una vacanza. Infatti, in quel poco di tempo che passava a dormire, sognava il solco che si doveva tracciare… Perché sentiva davvero che Dio lo guidava.

Questo potrà sembrare assurdo a molti, ma non a chi ha fede in Dio e nella resurrezione della carne dopo la morte eterna. Questo «scandalo», che tanto colpisce un uomo sensibile come lo scrittore Javier Cercas nel suo libro Il pazzo di Dio alla fine del mondo, era un fatto del tutto naturale per Bergoglio. Perché, in definitiva, viveva ciò che era sempre stato: un missionario.

Un’ultima nota: so per certo che questo poeta libero e autentico si imponeva dei limiti. C’erano gesti profetici che sognava di realizzare e che, con umiltà, ha messo da parte, li ha archiviati in un baule dei ricordi per non provocare infarti alla curia. Speriamo che il suo successore li possa concretizzare. Francesco II?
(fonte: Settimana News 03/05/2025)