Verso la Quaresima
Nel segno del cambiamento del cuore
A colloquio con il cardinale Piacenza, Penitenziere maggiore
Inizia un tempo forte, un itinerario che richiede più attenzione. È la Quaresima, in cui si è chiamati a percorrere in maniera più stretta un tratto di strada con Cristo. Mettendo in primo piano i fratelli che ci accompagnano lungo il corso della vita, soprattutto, quelli che stanno soffrendo a causa delle guerre, della fame, dell’abbandono, della solitudine. Ne parla in questa intervista a «L’Osservatore Romano», il cardinale Penitenziere maggiore Mauro Piacenza.
Nel messaggio per la Quaresima, il Papa osserva che a fronte di un elevato livello scientifico e tecnologico l’uomo rischia la schiavitù. Come cambiare stili di vita?
Ogni mutamento sociale e comunitario, sia nella Chiesa sia nella società civile e nel mondo, non può che prendere le mosse dal “cambiamento del cuore”, dalla personale costante conversione. L’elevato livello scientifico è un fattore certamente positivo, ma è un mezzo, non un fine. Come tutti i mezzi, il suo corretto utilizzo è fondamentale ed è sempre da porre in relazione con i fini che si perseguono; se l’elevato livello tecno-scientifico portasse a maggiore sviluppo e più ampia libertà per tutta l’umanità, non potremmo che gioirne, ma appare evidente il contrario, come afferma il Papa. L’uomo cambia solo se, e quando, percepisce un maggior bene per se stesso ed il proprio futuro, per il proprio micro-cosmo e, solo secondariamente, per l’ambiente intorno a sé. La grande sfida della nuova evangelizzazione è anche far comprendere come il proprio “bene personale” coincida con il bene comune e sia inseparabile dal bene dei fratelli, della società tutta e dell’ambiente in cui viviamo. È, in fondo, la logica della regola aurea della tradizione ebraica e della parola evangelica: «Ama il prossimo tuo, come te stesso» (Lc 10, 27).
Quanto è importante il digiuno, fra le opere penitenziali raccomandate in Quaresima?
Innanzitutto è necessario distinguere tra il digiuno volontario, di chi ha di che vivere e il digiuno “obbligato”, conseguenza della povertà e dell’ingiustizia. Se è vero che anche questo secondo può essere vissuto in spirito di offerta, divenendo un’opera penitenziale, non dobbiamo mai dimenticare che il primo obbligo morale, per tutti, è sempre quello di combattere ogni ingiustizia, con il sostegno della parola evangelica e della grazia soprannaturale. Il digiuno liberamente scelto ha vari significati: innanzitutto ricorda all’uomo la propria identità di essere limitato e bisognoso; apre la mente ed il cuore al Cielo, a uno sguardo più ampio, rispetto al soddisfacimento dei meri bisogni materiali; spinge alla condivisione con i fratelli e, aspetto non meno importante, educa la volontà, in un tempo di diffusa fragilità.
In un mondo pieno di guerre, cosa può fare il singolo credente durante la Quaresima per contrastare questa piaga?
Innanzitutto, come sempre ricorda il Papa, è urgente e necessario pregare per la pace, perché essa è dono di Dio, e solo cuori aperti, feriti dalla preghiera, sono in grado di accogliere il dono della pace. Essere poi “artigiani di pace” significa coltivarla nel proprio cuore, in quella pace intima con Dio che è data a chi, con cuore retto, ascolta la Sua voce e cerca di compiere la Sua volontà. Coloro che coltivano la pace interiore, saranno poi veri costruttori di pace intorno a se stessi, nella Chiesa e nel mondo. Bisogna anche essere capaci di “rischiare la pace”, cioè, come il Signore Gesù, essere disposti a perdere, per amore dell’altro. Nella Quaresima, lavoriamo su noi stessi, domandiamo di estinguere tutti i focolai di guerra interiore, e diverremo autentici collaboratori dell’opera della pace, che Cristo desidera realizzare, tenendo sempre fermo l’imprescindibile binomio tra pace e giustizia, troppo spesso trascurato o sottaciuto.
La carità e la solidarietà possono essere un mezzo per riparare le offese e il male arrecato?
«La carità copre una moltitudine di peccati» afferma san Pietro (1Pt 4, 8) e certamente, gli atteggiamenti di sincero altruismo disinteressato possono essere segno di quell’apertura al fratello, la quale prelude o accompagna l’apertura al mistero di Dio. Tuttavia, è doveroso ribadirlo, è Gesù Cristo, e solo Lui, che “ripara” il male del mondo, è Lui l’Agnello immolato che offre la propria vita sulla Croce. Tutti noi non possiamo che “riparare in lui”, sia nel senso passivo di rifugiarci nel Signore, sia in quello attivo di collaborare, offrendo la nostra libertà e la nostra volontà, all’opera di continua redenzione da Lui realizzata. Esiste poi una misteriosa “economia divina”, nella quale le opere di bene compiute, soprattutto quelle nascoste, che solo Dio vede, hanno uno specialissimo valore espiatorio e riparativo del male commesso.
Il mondo ha bisogno di speranza. Quanto la croce di Cristo può offrirla?
La croce è segno di speranza solo perché su di essa è inchiodato il Crocifisso. Il corpo fisico di Gesù di Nazareth, vero uomo e vero Dio, l’offerta che Dio fa di se stesso per la salvezza dell’uomo, è la sola permanente fonte di speranza, che mai inaridisce. Se Dio ama a tal punto l’uomo, allora possiamo sperare sempre. Un Dio-amore, che per amore entra nella storia, per salvarla dal di dentro, e che per amore si offre, fino a “volgersi contro di sé”, è un Dio affidabile, un Dio credibile, coma affermava von Balthasar, un Dio di cui mi posso fidare, e che, quindi, spalanca il cuore alla speranza, anche di fronte ad ogni croce personale, sociale e storica nella quale ci possiamo imbattere.
Si avverte ancora l’urgenza di fermarsi davanti a Dio e al fratello, come indica il Pontefice?
Penso proprio di sì! Pur se frastornato da torrenti di notizie e distrazioni, l’uomo moderno percepisce la radicale insufficienza di ciò che vive e la menzogna ultima di tutti i fenomeni riduttivi del proprio io: dalla fuga estetica, all’edonismo; dalla riduzione materialistica al mito, sempre più fragile, del progresso che, in un contesto individualistico, ha perso la propria forza propulsiva, poiché un progresso che “non ci riguarda”, in fondo, non è interessante. In questa esplicita o sottesa consapevolezza diffusa, emerge l’urgenza di fermarsi, di riflettere, di riscoprire quella dimensione fondamentale dell’io che è il silenzio, tanto osteggiato dalla cultura dominante, proprio perché profondo alleato di Dio e della verità. Fermarsi in silenzio, con il proprio io, e le sue domande esistenziali e insopprimibili, è il primo passo per potersi fermare davanti a Dio, che di quelle domande è la risposta compiuta. Questo permetterà di fermarsi anche di fronte al fratello, che ci interpella, con i suoi bisogni spirituali e materiali, e ci dona, così, la possibilità di essere davvero uomini, davvero noi stessi. Non dobbiamo mai dimenticare che, anche di fronte a tutte le brutture della storia, abbiamo sempre una grande possibilità ed un grande alleato nel cuore umano e nelle sue domande: esso è fatto per l’Infinito, fatto per Dio, e ciò è radicalmente insopprimibile.
(fonte: L'Osservatore Romano articolo di Nicola Gori 13/02/2024)