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mercoledì 19 aprile 2023

Oggi si può ancora parlare di “guerra giusta”? - Vittorio Rocca (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
promossi dalla
FRATERNITÀ CARMELITANA
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO


SE VUOI LA PACE,
DISARMA LE RELAZIONI
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Settimo Mercoledì - 22 marzo 2023

Oggi si può ancora parlare 
di “guerra giusta”? 

  Vittorio Rocca

 (VIDEO INTEGRALE)




1. Per iniziare

Come è stato possibile che dopo duemila anni di cristianesimo l’Europa sia piombata nella notte oscura di una guerra così devastante? Come è stato possibile che in questi duemila anni di cristianesimo la storia dei popoli europei sia stata tanto ricca di guerre e tanto povera di pace? Dobbiamo forse risponderci che la diplomazia e il realismo politico (quando non una colpevole complicità) sono stati più forti della spinta profetica e che il vangelo della pace non è stato annunciato. Dobbiamo forse risponderci che una teologia della pace non può limitarsi a regolare moralmente i criteri di una presunta legittimità di un intervento armato, ma proporsi come un’interpretazione globale di tutto il mistero della redenzione che si misura con la crudezza della realtà e con la sua capacità o incapacità di entrare nella storia. È questa la strada che mi sembra necessario anche oggi provare a percorrere.

Dinanzi alle stragi umanitarie non solo di questa guerra in Ucraina ma di questi ultimi decenni, occorre chiedersi se si può rifiutare in modo assoluto il ricorso ai mezzi militari, oppure pensare all’accettazione (certo molto condizionata) di una possibile legittimità dell’intervento umanitario, anche di carattere armato, per impedire che i diritti umani di una popolazione innocente siano gravemente calpestati da tiranni senza scrupoli. Questo dissidio è certamente molto interessante, nel rapporto dialettico tra due esigenze di fondo che non sempre è facile tenere insieme. Nella concezione cristiana, infatti, è estremamente chiara l’assolutezza (o piuttosto la necessaria progressiva assolutizzazione) del «non uccidere», come precetto fondamentale del vivere sociale ma, ancor più in profondità, come fondamento stesso della moralità. Contemporaneamente, però, troviamo l’appello alla responsabilità e all’obbligo di proteggere la vita che è minacciata, in un contesto storico-culturale in cui le soluzioni nonviolente non sono ancora sempre efficaci o concretamente realizzabili.

In fondo, riuscire a risolvere questa tensione (vista la potenza distruttiva delle armi moderne, che non donano una seconda chance) è proprio l’obiettivo della riflessione etica in questo campo. Come credenti dovremmo essere animati da un vero ottimismo antropologico, che ci porta a credere che l’umanità possa progressivamente dotarsi di strumenti etici, giuridici, sociali e culturali per un abbandono definitivo di ogni ricorso alla forza armata. Anzi, il tempo verrà (o meglio dovrebbe venire) in cui tutto ciò sarà superato e lo strumento culturale e provvisorio della guerra sarà sostituito da altri mezzi che, pur non essendo perfetti, saranno oggettivamente nonviolenti o, almeno, sempre meno violenti. Ora è il tempo di cominciare a costruire seriamente questa strada di sviluppo umano, sebbene nelle nostre condizioni attuali, in fieri, non possiamo ancora escludere del tutto, almeno a priori, la legittimità di un ricorso alla forza delle armi (se autorizzato da un’autorità internazionale ed imparziale), per proteggere l’innocente o per prevenire gravi abusi nei confronti del bene comune. La guerra è una minaccia che può essere eliminata dal mondo degli uomini; il diritto alla legittima difesa armata, però, non può essere messo radicalmente in discussione, nemmeno dal punto di vista teorico
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Occorre un sentire sociale nuovo, che rifiuti di legittimare atteggiamenti e prassi ispirati alla contrapposizione e alla violenza: da quelli presenti nel linguaggio e nei comportamenti quotidiani a quelli riguardanti i rapporti tra gruppi e nazioni. È illusorio pensare di poter dire un convinto e costruttivo no alla guerra quando gli stili di vita non si lasciano plasmare dalla logica della reciprocità, del dialogo, del camminare insieme.

Ogni guerra nasce da un’ingiustizia, ogni guerra, comprese quelle che a volte si fanno nelle nostre famiglie e comunità, che si combattono o che si fanno in silenzio, anche quelle nascono dall’ingiustizia. È triste vedere che l’umanità non riesce a essere capace di pensare con schemi e progetti di pace. Tutti pensiamo con schemi di guerra. È il cainismo esistenziale. La fratellanza di tutti — è di tutti — e non si concretizza in schemi che trasformino la vita delle famiglie, comunità, popoli, nazioni e del mondo.

Come tutti i valori, anche la non violenza, per essere effettivamente efficace, deve diventare discernimento, cogliendo con fiducia i passi possibili. Dovrà essere espressione di dialogo e di confronto sincero. Le vie di uscita dall’ingiustizia della guerra sono faticose e richiamano a capovolgimenti di condotte individuali e di pratiche politiche. In questo senso esse possono generare nuova umanità. FT indica la strada dell’empatia, quando dice

«prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi» (n. 261).

Tenere gli occhi aperti sul dolore degli altri porta fuori dall’ingiustizia abissale della guerra, perché ne assume le conseguenze e determina la volontà di mai più ricorrere ad essa. E poi c’è la via dei negoziati, espressione di una attitudine a «pensare e generare un mondo aperto» (FT, n. 87), di cui «la migliore politica» (FT, n. 154) deve sapersi fare carico. La pace, inoltre, è sempre un processo.


Il messaggio del Papa per la giornata della pace di quest’anno 2023 prende l’avvio dalla beatitudine: «Beati i facitori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». E il Papa aggiunge subito che le beatitudini non sono solo un premio nell’altra vita, non si raggiungono solo salendo in Cielo o aspettando che il Cielo scenda sulla terra. Le beatitudini, scrive il Papa, sono «dono messianico e opera umana ad un tempo». Il che vuol dire che il Regno di Dio può essere preparato anche partendo da questa terra e che questo mondo non è condannato ad essere solo il regno del male per sempre.

- "Con Cristo nostra Pace rivestiamo l’armatura di Dio (Ef 6,10-18)" - Egidio Palumbo (VIDEO INTEGRALE)