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martedì 25 aprile 2023

Eraldo Affinati Il 25 aprile deve essere la festa di tutti

Eraldo Affinati
Il 25 aprile deve essere la festa di tutti

Strumentalizzare questa data significa calpestare le nostre radici repubblicane senza capire come esse siano all’origine dello stesso patto sociale che ci tiene insieme
 
L'ingresso del Museo della Liberazione in via Tasso (foto diocesidiRoma/Gennari)

Il 25 aprile dev’essere la festa di tutti: chi potrebbe negare che la liberazione dal nazifascismo non rappresenti, più di ogni altro evento della storia novecentesca, l’unità nazionale? Strumentalizzare questa data significa calpestare le nostre radici repubblicane, senza comprendere come esse siano all’origine dello stesso patto sociale che ci tiene insieme. È grazie alla vittoria su Adolf Hitler che l’Europa poté tornare a guardarsi allo specchio senza vergogna.

L’Italia, in quanto alleata del Führer e avendo registrato l’ignavia del regime monarchico, se non avesse avuto la Resistenza, non potrebbe farlo neppure oggi: è grazie ai partigiani che i nostri padri costituenti ebbero la legittimità e maturarono la convinzione per dettare gli articoli che ancora adesso illustrano la nuova civiltà giuridica: quella di cui godiamo, nessuno escluso.

Roma, in particolare, da Benito Mussolini prima messa al centro del potere littorio e poi ulteriormente infangata con la firma delle leggi antisemite, pagò il pesante tributo delle Fosse Ardeatine trovando infine il suo riscatto nelle drammatiche sollevazioni popolari che, da Porta San Paolo fino alla liberazione angloamericana del 4 giugno 1944, la videro risorgere dall’abisso in cui era caduta.

Ecco perché le visite guidate al Museo della Liberazione nel carcere di Via Tasso, dove centinaia di scolaresche continuano a toccare con mano le fonti vive della testimonianza incarnata, scoprendo luoghi, volti e azioni concrete, dovrebbero entrare a far parte di ogni percorso di educazione civica.

In certi momenti della storia non si può restare equidistanti, bisogna schierarsi senza indugio assumendosi il peso della scelta compiuta. A farlo ci può aiutare don Lorenzo Milani, proprio nell’anno in cui ci apprestiamo a celebrare il centenario della nascita: «L’unica guerra giusta (se guerra giusta esiste) – egli scrisse con straordinaria lungimiranza in Lettera ai cappellani militari toscani, 1965 – che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra, è stata la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato. Quali dei contendenti erano, secondo voi, i “ribelli” e quali “i regolari”? È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo per esempio quali sono i “ribelli”?».

Questa profetica allusione del priore di Barbiana, capace di legare come pochi altri giustizia e Vangelo, io la sento sempre più attuale, avendo a che fare con profughi provenienti da zone turbolenti del pianeta, dall’Asia all’Africa fino alla martoriata Ucraina di oggi, là dove sono in pieno corso conflitti fra parti avverse, le une tese al predominio violento e totalitario, le altre impegnate nella difesa della dignità di ognuno.

Tante volte, parlando coi miei studenti immigrati, ho avuto l’impressione che per molti di loro il 25 aprile è ancora ben là da venire: nei Paesi che sono stati costretti ad abbandonare, la guerra non desiste trascinandosi dietro catastrofi e devastazioni che coinvolgono le popolazioni civili quasi sempre vittime incolpevoli, in una tragica catena di continue vendette e reciproche rivendicazioni.

È in quel momento che la Seconda guerra mondiale, per noi europei ormai distante e lontana, sembra tornare viva più che mai come un fantasma maledetto: guardando negli occhi Arif e Mohamed, che hanno lasciato l’Afghanistan in fiamme, o Irina e Natascia, le cui famiglie agiscono su fronti opposti in Donbass, mi rendo conto fino a che punto i valori propugnati dalla Costituzione italiana, rose profumate scaturite come un splendido frutto dalle spine pungenti della dittatura, rappresentano traguardi planetari che tutti dovrebbero avere il diritto e la possibilità di raggiungere.
(fonte: ROMA Sette 24 /04/2023)