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martedì 18 aprile 2023

La città che rifiuta la guerra

La città che rifiuta la guerra

C’è un appello, Firenze città operatrice di pace, in cerca di adesioni collettive (associazioni, comunità di base, gruppi informali, reti e organizzazioni sociali…). Un appello che ricorda chi nel 1938 chiuse le finestre in mezzo a un tripudio di balconi imbandierati a festa per il passaggio di Hitler e Mussolini, lo straordinario impegno internazionale sui temi della pace negli anni Cinquanta del sindaco La Pira, il coraggio e la lucidità di Ernesto Balducci e Lorenzo Milani, la potenza delle ragioni delle donne e degli uomini che 2002 invasero la città per il Forum sociale europeo… Un appello che indica le strade della nonviolenza, a cominciare dalle proposte dei Corpi civili di pace. Un appello che riguarda Firenze, ma che in realtà parla a tutto il mondo.

Una vignetta di Maurio Biani dedicata alla protesta pacifista dell’allora (2013) sindaco di Messina, Renato Accorinti

Sono passati più di trent’anni da quando il consiglio comunale dichiarò, quasi all’unanimità (anche se piuttosto a malincuore da parte di alcune componenti politiche), Firenze “città operatrice di pace”. Era un provvedimento che prendeva spunto da una serie di atti che l’avevano più volte vista operare in questo senso, a partire, per esempio, dalle finestre chiuse dell’Arcivescovado, tenute serrate da Elia Dalla Costa in mezzo a un tripudio di balconi imbandierati a festa nel maggio del 1938, durante la visita di Hitler a Firenze, accompagnato dal suo degno compare Mussolini, una chiusura che rendeva evidente l’opposizione del prelato al nazi-fascismo, avviato sulla strada della guerra al mondo intero.

Un impegno per la pace ripreso in pieno dal sindaco Giorgio La Pira negli anni ‘50 con il suo prodigarsi per unire le città del mondo, da Mosca a New York (impresa non facile in un’epoca di “guerra fredda” fra l’Ovest ad egemonia statunitense e l’Est guidato dall’Unione Sovietica), contro la prospettiva di nuovi conflitti armati, e di uso delle armi atomiche, che si affacciava minacciosa all’orizzonte. Un impegno che cercava anche di intervenire sui conflitti in atto, su quello, ad esempio, fra israeliani e palestinesi – con gli incontri dei “Colloqui Mediterranei” – e sulla guerra che insanguinò il Vietnam per molti anni, con il viaggio ad Hanoi, insieme a Mario Primicerio, per incontrare Ho Chi Minh (il presidente del Vietnam del Nord).

Non solo: La Pira fu in prima linea anche a sostegno dell’obiezione di coscienza rispetto al servizio militare, facendo proiettare a Firenze, nel 1961, il film francese Non uccidere di Claude Autant Lara, in cui vengono narrate le vicende di un tedesco che aveva ucciso un partigiano francese e di un giovane che si rifiuta di indossare la divisa, assolto il primo, perché aveva ubbidito a ordini superiori, condannato invece severamente il secondo, un film per molti anni non distribuito nei normali circuiti (ed assurdamente vietato ai minori di sedici anni quando finalmente uscì nelle sale cinematografiche).

Non era, quello di La Pira, un gesto isolato, in quanto si collegava idealmente al movimento dei Partigiani della Pace, sviluppatosi negli anni ’50, e sarebbe stato ben presto affiancato dalle prese di posizione di padre Ernesto Balducci, inquisito e condannato per il suo sostegno agli obiettori, e di don Lorenzo Milani, autore di una lettera fortemente polemica ai cappellani militari, che avevano rivolto l’accusa di viltà agli obiettori, in quanto non disposti a combattere i nemici stranieri, una lettera in cui don Lorenzo sosteneva il suo diritto di non dividere il mondo in “italiani” e “stranieri”, quanto, piuttosto, in “oppressi”, insieme ai quali lottare, e “oppressori”, da contrastare con forza, con metodi nonviolenti.

Balducci, con la rivista “Testimonianze”, avrebbe dato vita, negli anni ’80, ai Convegni “Se vuoi la pace, prepara la pace” (un’affermazione che rovesciava il detto tradizionale “se vuoi la pace, prepara la guerra”), mentre, nello stesso periodo, sarebbe stata messa in piazza San Giovanni la “Tenda della Pace” – quasi in pianta stabile, visto che scoppiavano continuamente nuovi conflitti -, un punto di riferimento per le diverse realtà pacifiste cittadine, con la sua attività continua e tenace volta a promuovere iniziative di denuncia, di sensibilizzazione, di confronto.

È in questo clima e con questi precedenti che si giunge alla proclamazione – ispiratore e consulente padre Balducci – di Firenze “città operatrice di pace”, un provvedimento che recepisce a livello istituzionale quello che era già presente a livello sociale e culturale nella realtà fiorentina.

Soltanto in parte le Amministrazioni che si sono susseguite negli anni successivi ne hanno tenuto conto. Anche se la città “operatrice di pace” ha continuato ad esserlo (vedi, ad esempio, il Social Forum del 2002 e la straordinaria manifestazione pacifista che lo concluse con un milione di persone che sfilarono per i viali fiorentini).

Soprattutto, però, gli amministratori di Palazzo Vecchio non si sono dotati degli strumenti necessari per renderla operativa, quella delibera, con continuità e con efficacia, per stimolare un’inversione di rotta da parte dei governi rispetto agli orientamenti prevalenti, più attenti agli interessi economici di corto respiro che alle condizioni di vita delle/dei cittadine/i.

Considerata la situazione odierna, in cui si contano numerosi conflitti armati (una guerra mondiale diffusa, si potrebbe definire), c’è una guerra devastante in Europa, la guerra in Ucraina, e la prospettiva dell’uso dell’arma nucleare risulta sempre più minacciosa, sarebbe necessario che Firenze prendesse iniziative veramente di carattere straordinario e, in questa ottica, promuovesse un Forum permanente per la pace, in cui fossero rappresentati le associazioni – tipo l’Anpi, l’Arci, le Acli -, i movimenti, le realtà attivamente impegnate sul terreno pacifista, le Università, a partire da quella Europea, che ha sede proprio nel territorio fiorentino, i consolati di molti Paesi del mondo presenti in città, i mondi della cultura, della scienza, delle autonomie locali. Un Forum in grado di prendere posizione e di intervenire, con occasioni di riflessione e di studio, anche sulle situazioni da cui potrebbero derivare conflitti armati (dovute alla crisi ambientale, alle pretese di dominio di alcuni Paesi, alla decolonizzazione non portata a termine, alle diverse forme di oppressione e di ingiustizia esistenti …), nella prospettiva di un radicale cambiamento di rotta rispetto agli orientamenti odierni più attenti agli interessi economici che alle condizioni di vota delle/dei cittadine/i.

Inoltre, potrebbe esprimere – in stretto rapporto con le organizzazioni impegnate su questo terreno, come la Comunità di Sant’Egidio – Ambasciatori di pace presso l’Unione Europea, presso l’Onu (per sollecitarne un ruolo più incisivo in senso pacifista), nei diversi consessi internazionali in cui si incontrano i rappresentanti degli Stati. E potrebbe anche – riprendendo quanto è stato intrapreso più volte da Alberto L’Abate (che proprio partendo da Firenze condusse i suoi interventi) e dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, con i Corpi Civili di Pace (mandare Delegazioni laddove la guerra è in atto – al fine di stimolare trattative, dialoghi, confronti). Come priorità assoluta, si individua l’urgenza di un incontro internazionale, a Firenze, entro l’estate, per riproporre con forza il cessate il fuoco in Ucraina e l’avvio di negoziati fra tutti i soggetti che hanno responsabilità, dirette e indirette, rispetto a quel conflitto.

Così Firenze riuscirebbe a svolgere realmente quel ruolo di “Operatrice di pace” che era nelle intenzioni di chi promosse la relativa delibera del Consiglio Comunale, oltre trent’anni fa. E darebbe concreta attuazione alle parole di Padre Ernesto Balducci “Se vuoi la pace, prepara la pace”.

Per adesioni collettive (associazioni, comunità di base, gruppi informali, reti, organizzazioni sociali…) mor.biagioni@gmail.com
(fonte: Comune-info, aa.vv. 16/04/2023)