SI PUÒ CREDERE
E FARE A MENO DI PREGARE?
La riflessione del teologo Robert Cheaib
La domanda di questa settimana la ricavo dalla pagina Facebook di Famiglia Cristiana. Al post dell’articolo «Prego, ma non credo», una lettrice ha scritto questo commento: «E il contrario? Credere e non pregare? È possibile credere e non pregare? O chi davvero crede non può “fare a meno” di pregare?». La domanda è molto più profonda di quanto sembri. Per questo non si può apostrofare la lettrice con una risposta banale della serie: «Certo che chi crede può non pregare. Basta guardare in giro e vedere quanti credono senza pregare». La domanda è profonda perché ci interroga sul senso del credere. Il verbo credere nella sua accezione moderna ha un destino paradossale. Da un lato, posso dire: «Credo che la settimana prossima nevicherà» e con ciò intendo: «Non ho la certezza matematica, però mi sembra, sia dal freddo che sta facendo, sia dalla stagione, sia dalle previsioni del meteo, che nevicherà». Credo, qui, significa proprio ciò che è probabile ma non certo. Infatti, se dovessi esprimere una certezza non direi «credo», ma userei altri verbi meno incerti. Da un altro lato, “credo” viene a significare una convinzione. Ad esempio, posso dire: «Credo nell’esistenza del diavolo». Con ciò intendo dire: credo, pur non vedendo, che Satana esiste. Ciò non implica necessariamente una relazione con la realtà creduta. Ora, nel senso profondamente biblico, il “credo” non è una opinione incerta e nemmeno una mera affermazione razionale dell’esistenza di una realtà (o di una persona). Credere, nel senso biblico, è un gesto esistenziale. È una “fede fiduciale”. È un gesto relazionale. Credo in Dio significa almeno tre cose: riconosco la sua esistenza (fede), metto la mia fiducia in lui (speranza) e lo amo (carità). In breve, il credere biblico implica le tre virtù teologali. Visto così, il credere veramente in Dio non può sussistere senza la preghiera, senza, cioè, una relazione intima e un dialogo fiducioso e innamorato con il Signore. Penso che abbiamo bisogno della grazia di una fede che non resti in testa, ma che pervada tutto l’essere. Una fede come quella di Charles de Foucauld che ebbe a scrivere dopo la sua conversione: «Da quando ho capito che esiste Dio, ho capito che non potevo che vivere tutta la mia esistenza per lui».
(Fonte: "Credere" n. 4 del 24 gennaio 2021)