Il 20 aprile di ventotto anni fa moriva don Tonino Bello
Aveva solo preso sul serio il Vangelo
di Francesco Cosentino*
Se mi fermo a osservare un tramonto infuocato e lontano, riflettendo su questo nostro tempo sconvolto dalla pandemia e dalla crisi sanitaria, economica, sociale e spirituale che essa ha generato, e al contempo mi fermo solo per un istante al ricordo di quella straordinaria figura di uomo, di prete e di vescovo che fu don Tonino Bello, ritornano vive nel mio cuore le parole con cui si rivolgeva alla Madonna, come “Vergine dell’attesa”: «Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate».
Forse sono i tempi più difficili, quelli della crisi e dell’aridità, che ci riconducono all’essenziale e ci riportano, dai frammenti della distrazione, a un nuovo ascolto dei profeti. Se nella prosperità l’uomo non comprende e vive in superficie, la voce tagliente e inquieta dei profeti riceve da noi una diversa attenzione quando sperimentiamo i morsi della fame e la sete di rinascita, di vita, di cambiamento. Ecco perché, mai come in questo tempo, don Tonino Bello, di cui ricorre oggi il ventottesimo anniversario della morte, è una figura essenziale e attuale. Questo pastore asciutto e sobrio, carico di umanità e compassione, sensibile al punto da far cantare l’anima, capace di scrutare con lirico stupore gli invisibili segni della presenza di Dio nelle pieghe a volte sofferte della vita, è stato un poeta del Vangelo, un appassionato cantore della storia umana e un sognatore capace di avere “visioni” sull’uomo, sulla Chiesa e sul germogliare del Regno di Dio.
Don Tonino Bello viene ricordato per il suo volto luminoso, per la parola tagliente e calda, per la carezza che ha sempre saputo dare a ciascuno e specialmente agli smarriti e agli oppressi, per il suo episcopio aperto alle famiglie sfrattate, per le sue battaglie contro ogni forma di degrado e disagio sociale, per il suo impegno internazionale al servizio della pace; di certo viene ricordato per aver lottato vicino agli operai delle acciaierie di Giovinazzo, per essersi opposto all’installazione di F16 a Crotone e per quella memorabile marcia pacifica di Sarajevo, cui partecipò nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni di salute.
Ma in tutto questo non c’era mai l’esibizione di un eroismo personale o una qualche venatura politica sganciata dalla fede. Don Tonino aveva solo preso sul serio il Vangelo e, come egli stesso diceva, non voleva sfumarne le finali. Non voleva intiepidire, come troppo spesso capita a noi, la carica profetica e rivoluzionaria della venuta di Cristo e dell’annuncio del Regno, che sovverte i criteri di questo mondo, rovescia i potenti piantati nel loro potere e innalza gli umili e i bisognosi.
Questo era il desiderio di don Tonino: una Chiesa povera di segni e ricca di sogni. I sogni del Vangelo, che infondono tenerezza e spezzano il pane dell’amore. E il sogno di don Tonino, lo ritroviamo vivo e attuale non soltanto nelle aspirazioni e nei desideri che ci portiamo dentro, ma anche nel “gesto profetico” del magistero di Papa Francesco. Don Tonino sognava e cantava la Chiesa del grembiule, la Chiesa povera che sa scoprire il tabernacolo della presenza di Dio nel volto degli ultimi, la Chiesa capace di vincere la paura che la arrocca e di rompere gli argini per aprirsi al mondo, la Chiesa capace di accogliere, di accarezzare, di sollevare. Una Chiesa che non esclude nessuno, che non pretende il centro della scena, che si lascia schiacciare e “torchiare” pur di annunciare la gioia del Vangelo. E in questo sogno, nelle sue parole appassionate, nei suoi scritti poetici e commoventi che oggi nutrono ancora un folto popolo di credenti, riecheggia la parola, lo stile e l’orientamento del Papa venuto dal Sud del mondo e, in particolare, di Evangelii gaudium.
Pregava, don Tonino, che la Chiesa ricevesse il coraggio di sciogliere gli armeggi e di uscire dal quieto vivere e dalla falsa pace di liturgie senza carne e senza sangue, per essere Chiesa samaritana nel mondo, che lenisce con l’olio della tenerezza le piaghe dell’umanità: perché non basta sperare, bisogna “organizzare la speranza” portando nel mondo la prossimità di Dio. Come Papa Francesco che instancabilmente ripete: non c’è cristianesimo senza accoglienza degli ultimi, non c’è speranza cristiana senza azione contro la cultura dello scarto e non c’è Chiesa senza il coraggio di uscire nel mondo per portare a tutti la gioia consolante del Vangelo.
Non dobbiamo limitarci a commemorare la morte del vescovo Tonino Bello, ma abbiamo l’occasione, proprio oggi, di incarnare il suo sogno di Chiesa: essere, come scriveva don Tonino, una barca che non rimane attraccata al porto per paura che il mare la trascini via, ma una barca straboccante di sole per aver condiviso i viaggi meravigliosi degli uomini, lacerata dappertutto per aver affrontato la tempesta e soprattutto una barca con il “cuore a misura dell’oceano”.
(fonte: L'Osservatore Romano 20 aprile 2021)
*Francesco Cosentino (1979) è docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana e la Pontificia Università Lateranense. Insegna inoltre Introduzione alla teologia presso l’ISSR Ecclesia Mater di Roma.
Vedi anche il post precedente (all'interno numerosi link ad altri post):