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giovedì 22 aprile 2021

QUEI MIGRANTI INGHIOTTITI DAL MARE SVANITI NEL NOSTRO SILENZIO di Domenico Quirico

QUEI MIGRANTI INGHIOTTITI DAL MARE
SVANITI NEL NOSTRO SILENZIO
di Domenico Quirico




I morti appartengono sempre a qualcuno. Eroi, martiri, simboli, rimorsi, ricordi, riepilogazioni del tempo pubblico e privato, amori, delusioni, dolori: ce li contendiamo i morti, che siano nostri o loro, da far rivivere nella memoria i primi, da cancellare nella maledizione gli altri. Nel fondo sempre c’è quella infedeltà tragica che rimproveriamo a chi ci ha abbandonato e che, svelandoci il dolore, in qualche modo ci impedisce di vivere. Ma ci sono, oggi, ora, dei morti che non sembrano appartenere a nessuno, che nessuno rivendica, accantonati in un margine di silenzio così fitto che sembra approdare ai territori lugubri del non essere. Sono davanti a noi i morti più disperatamente soli che io abbia mai incontrato: i migranti.

Non è solo la constatazione che la loro morte non è più notizia, come si dice. I naufragi, l’ultimo tre giorni fa, le barche perdute, i cadaveri che la risacca porta sulle rive o la neve nasconde, il disperato racconto dei superstiti, non sono neppur più abitudine. Sono niente, strani fuochi fatui, laggiù sullo sfondo. Gli innominati del terzo millennio. Come se della morte in se stessa non ci fosse nulla da dire, perché quegli uomini, donne, bambini sono davvero al di là di una soglia che nessuno può varcare senza sparire a sua volta, che nessuna parola può raggiungere senza perdere significato. Un mondo notturno dove regnano nello stesso tempo strepito e silenzio.

Eppure muoiono in lacrime gridando invano al soccorso, con grande debolezza: come devono morire gli uomini. Non sono eroi ingombranti che ci gettano la loro morte addosso, che la cercano per imbarazzare la nostra paura di pensarci, che muoiono come se fossero in un melodramma. I soldati, i rivoluzionai, i jihadisti, anche i santi sanno morire, ci sono stati educati, lo hanno nel sangue, morire con contegno. Muoiono i migranti, pensando che sia cosa buona e giusta vivere, e perfino battersi per continuare a vivere, e forse perfino morire perché altri come loro continuino a vivere. Sono morti nostre, dunque, noi moriremo così e la pietà dovrebbe essere l’eco della sventura di un uomo e moltiplicarla.

Fino a poco tempo fa quelle morti così «umane» scatenavano racconti, immagini, riflessioni e maledizioni. È vero. Sono troppe le tragedie collettive intorno a noi di cui non ci occupiamo per rendere il silenzio per la morte dei migranti una eccezione rilevante: in un mondo che ha trasformato il rifiuto in ideologia, gli ha dato dignità di teoria economica, di progetto politico.

Quello che sconcerta è che nessuno, quei morti, li rivendica. I vivi, i migranti che sono arrivati qui, o attendono grazie a noi nel brutale parcheggio della Libia, quelli ce li contendiamo ancora, e con furia. Gli xenofobi per tener desta la fruttuosa paura dell’«invasione», metafisica come le bugie. E i buoni perché anche per loro è un argomento da usare che ne esemplifica, senza fatica, la virtuosa diversità. Ma i morti nessuno da questa parte del mare li vuole: forse perché, cattivi e buonisti, entrambi dovrebbero riflettere su di loro, e non vogliono farlo.

Ma non è tutto. Nessuno nei Paesi da cui partono ha mai chiesto di loro, si è interrogato sul destino di quelli che non sono arrivati, di dove siano sepolti, ha pensato di risalire con pazienza il filo terribile delle loro esistenze troncate. In nessun Paese dei migranti credo sia sbocciata neppure l’idea, certo retorica e vuota, di una giornata dedicata al sacrificio, inutile, di una generazione. Non certo i governi di quei Paesi che di quella morte sono in parte responsabili avendo creato le condizioni per la loro partenza disperata. Parlo dei popoli di quei Paesi; per loro dovrebbero essere eroi.

Allora è arrivato il momento in cui dovremmo parlare solo del grido dei morti. Bisogna registrarlo con accuratezza, metterlo via, conservarlo fino ad assordare la nostra ipocrisia. Un rumore insopportabile deve essere, da Apocalisse: il rumore che solo i morti sanno produrre. Sarà la loro
vendetta. Implacabili continueranno a scombinare il nostro gioco ipocrita.

(Fonte: “La Stampa” - 20 aprile 2021)