Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



venerdì 2 aprile 2021

Pasqua inquieta: la riflessione del biblista Alberto Maggi

Pasqua inquieta
di  Alberto Maggi




I capi religiosi sono inquieti. Sono finalmente riusciti nel loro intento, eppure sentono che non è stato sufficiente assassinare il Nazareno. Gesù è morto, è vero, ma essi sono agitati. Si rendono conto che non è bastato eliminare colui che li aveva denunciati come ladri, assassini e impostori. Eppure ormai il loro avversario non è che un cadavere che giace nel sepolcro, per cui non dovrebbero preoccuparsi.

L’agitazione però è tale che, il giorno dopo la morte e sepoltura di Gesù, nonostante fosse il sabato, tempo di assoluto riposo, sommi sacerdoti e farisei si riuniscono presso Pilato. I farisei erano i più strenui e fanatici difensori dell’osservanza di tutte le rigorose norme che determinavano il riposo del sabato, ma ora sono i primi a non rispettarle. Gesù per i farisei è stata un’ossessione in vita, e lo è anche ora che è morto. In combutta con il sinedrio, i farisei avevano organizzato tutto alla perfezione, ma ora sentono che qualcosa sta incrinando il loro piano.

Avevano chiesto per Gesù la pena della crocifissione al posto della lapidazione, secondo l’uso giudaico, o della decapitazione secondo la giustizia romana. Non bastava eliminare Gesù, perché si correva il rischio che poi da morto il Galileo fosse ancora più pericoloso, in quanto si sarebbe creato il mito del martire. Ne avevano già fatto l’esperienza con Giovanni il Battista, che aveva osato chiamarli “razza di vipere!” (Mt 3,7) e che ossessionava più da morto che da vivo i detentori del potere (“Erode, al sentirne parlare, diceva: Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!”, Mc 6,16).

Per Gesù, che aveva anche lui apostrofato i farisei non solo come “serpenti, razza di vipere” (Mt 23,33), ma anche come “ipocriti”,guide cieche”, “sepolcri imbiancati” (Mt 23,13,16. 27), avevano chiesto la morte più disonorevole, quella che la Bibbia afferma essere per i maledetti da Dio (“Maledetto chi è appeso al legno”, Dt 21,23; Gal 3,13), in modo che nessuno potesse più avere alcun dubbio: altro che Figlio di Dio, è maledetto dal Signore! Il supplizio infame riservato a Gesù è stato la loro rivincita, la vendetta, e sommi sacerdoti con scribi e anziani hanno beffeggiato fino all’ultimo l’uomo agonizzante inchiodato sul patibolo: “Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!” (Mt 27,43).

Ma cosa spinge sommi sacerdoti e farisei ad andare da Pilato di sabato? Che cosa non è andato secondo i loro piani? La sua sepoltura. Non è stata gradita dalle autorità religiose. Erano riuscite a far condannare Gesù come uno rifiutato da Dio e questo sarebbe stato confermato, di fronte al popolo, dal disonore dello scempio del suo cadavere, lasciato putrefare sul patibolo come pasto per le bestie selvatiche, mentre quel che restava sarebbe stato poi gettato in una fossa comune. L’iniziativa di un discepolo di Gesù, un ricco di Arimatea, un tale Giuseppe, che aveva chiesto a Pilato il corpo di Gesù per seppellirlo nella sua tomba nuova, scavata nella roccia (Mt 27,60), aveva scombinato i loro piani e intendono ora porvi rimedio. Sommi sacerdoti e farisei si rivolgono a Pilato chiamandolo ossequiosamente “Signore”. I capi dell’istituzione religiosa svelano di non essere, come si vantano, servi di Dio, ma del potere, al quale si sottomettono riconoscendone la potestà pur di poterla a loro volta esercitare.

Per le autorità religiose Gesù non è altro che un ingannatore (“ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo disse: “Dopo tre giorni risorgerò”, Mt 27,63). I capi, che mai hanno creduto a Gesù, solo ora ne ricordano le parole, ma anziché rammentare la parola del Signore per accoglierla, lo fanno per smentirla. Sono tenebre e non possono accogliere la luce. Tale è il livore dei sommi sacerdoti e dei farisei che, nonostante Gesù sia morto, neanche lo nominano, riferendosi a lui con un’espressione di disprezzo (quello) definendolo un impostore. Per le autorità religiose Gesù non è altro che un imbroglione e il suo messaggio un’impostura. In realtà sono esse che ingannano il popolo, proponendo un’immagine di Dio che è solo una proiezione dei loro interessi e della loro sete di prestigio e di dominio.

I capi si rivolgono a Pilato con fare autoritario. Più che una richiesta il loro è un comando imperativo: “Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!” (Mt 27,64).

La forza del potere deve impedire alla forza della vita di manifestarsi. Se Gesù è stato definito un impostore, i suoi discepoli sono dei ladri, pronti a rubare il corpo del loro maestro per perpetuare l’inganno. Per le autorità religiose, che l’uomo abbia una vita di una condizione divina, tale da superare la morte, non è che un’impostura. E Pilato concede loro un corpo di guardia e con sprezzante ironia li invita ad assicurarsi della sorveglianza della tomba, come essi ben sanno fare. Per quel che riguarda la gestione della morte le autorità religiose sono imbattibili! La permanenza in vita dell’istituzione religiosa è condizionata dall’assicurarsi che il Signore sia morto. Le autorità religiose sono esperte nell’inganno e sanno come impiegare la forza per impedire alla verità di manifestarsi. Esse, tuttavia, non sono ancora tranquille: non basta che una grande pietra sia posta sopra la tomba e che le guardie la sorveglino; per maggiore sicurezza sigillano pure la pietra che chiude il sepolcro. Credono di custodire un cadavere e non si rendono conto che sono loro quelli veramente morti. Ben aveva scritto il salmista: “Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro” (Sal 2,4).

Al tentativo delle autorità di sbarazzarsi di Gesù in maniera definitiva, risponde l’intervento di Dio con un “gran terremoto” per manifestare che la vita dell’uomo è stata liberata dagli effetti della morte e la pietra, rotolata via, non sigilla più il sepolcro. “Non è qui. È risorto!” (Mt 28,6) è la beffarda risposta divina ai piani dei capi religiosi. Tutto il loro affanno e la loro preoccupazione per nulla: custodivano un sepolcro vuoto. Paradossalmente l’irruzione della vita diventa un’esperienza di morte per quanti giacciono già in un mondo di morte. Anziché essere vivificate dalla manifestazione del Dio vivente, “le guardie furono scosse e rimasero come morte” (Mt 28,4). I custodi della morte, non avendo vita in sé non riescono a percepirla quando questa si manifesta, ma sprofondano ancor più nella sfera della morte.

Di fronte all’evidenza dell’azione divina i sommi sacerdoti non mostrano alcun segno di meraviglia e tantomeno di pentimento. L’unica loro preoccupazione è occultare la verità del fatto. La gente deve credere quel che loro stabiliscono e non importa che sia vero o no. Così, con “una buona somma di denaro ai soldati” (Mt 28,12) tentano ora di impedire l’annuncio della risurrezione del Cristo. Sommi sacerdoti e farisei che avevano definito Gesù un impostore e la resurrezione un inganno, mostrano in realtà di essere essi gli autori di un’“impostura peggiore della prima” (Mt 27,64).
(fonte: Il Libraio 01/04/2021)