Pasqua: una notte diversa
di Enzo Bianchi
“Perché questa notte è diversa dalle altre notti?”. È la domanda che risuona più volte nella celebrazione della Pasqua ebraica, che quest’anno cade in coincidenza con il sabato santo cristiano. Oggi la prima, amara e brutale risposta è che la diversità sta nel tragico fatto che, proprio mentre un popolo celebra l’avvenuta liberazione dall’oppressione e l’incamminarsi verso la terra promessa, un analogo anelito di terra e libertà viene fermato nel sangue.
Eppure, in quelle stesse ore di violenza e di morte, attorno alle tavole di famiglia in cui si faceva memoria della liberazione dalla schiavitù in Egitto, il più piccolo ha posto anche quest’anno la domanda a chi presiede la cena e questi ha raccontato ciò che Dio ha fatto per il popolo d’Israele. Perché questa notte pasquale è così diversa dalle altre ed è vissuta dagli ebrei con un pasto liturgico pieno di lode e di gioia? Perché in quella notte, dice ancora la tradizione ebraica, “Dio ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalla sofferenza alla gioia, dal pianto alla festa, dalle tenebre alla splendida luce, dall’oppressione alla redenzione”.
Se questo è il significato della festa ebraica della Pasqua, i cristiani, figli dell’antica alleanza, leggono questa liberazione come liberazione anche dalla morte: evento realizzatosi, secondo la loro fede, in Gesù di Nazareth, il galileo, che dopo una vita passata a predicare come Dio possa regnare sugli uomini e a prendersi cura dei malati, dei poveri, dei peccatori è stato condannato come bestemmiatore dal potere religioso e come persona nociva al bene della società imperiale romana dal procuratore di Giudea Ponzio Pilato, il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era.
Pasqua per i cristiani è la festa per eccellenza, “giorno diverso da tutti gli altri giorni”, carico di un significato semplice e definitivo: l’amore vissuto per gli altri, l’amore gratuito di una vita spesa per gli altri è più forte della morte, è capace di vincere la morte, questo destino di ogni essere vivente venuto al mondo. Potremmo porci anche la domanda “perché questa Pasqua è diversa da tutte le altre?”, ma non nel senso che la Pasqua celebrata in questi giorni (sabato dagli ebrei, domenica dai cristiani d’occidente, domenica prossima da quelli ortodossi) sia il giorno della definitiva liberazione dalla morte, dalla violenza, dalla sofferenza: è tragicamente sufficiente guardare attorno a noi per constatare le contraddizioni quotidiane a questa buona notizia.
Eppure ogni anno la Pasqua celebrata al cuore della storia umana contiene novità, soprattutto nuove luci di speranza che si accendono là dove un autentico cammino di umanizzazione è compiuto, nonostante le fatiche e le opposizioni. Anzi sovente è proprio dove lo spessore delle tenebre è più denso che i gesti quotidiani di umanizzazione risplendono con una carica di speranza che trascende ostacoli apparentemente insormontabili. Così è nei campi profughi che quanti si piegano sui corpi sofferenti aiutano l’umanità intera a rialzarsi; è nelle chiese distrutte dalla furia omicida che risuona con più vigore il canto pasquale dei cristiani; è nel cuore, nella mente e nella voce dei giovani sopravvissuti al massacro dei loro compagni di scuola che si intravede di nuovo il sogno di una generazione e una nazione di eguali; è nei quartieri degradati delle nostre città che il calore di una coperta e un pasto condiviso scioglie il rigore delle ingiustizie e dell’indifferenza; è in mezzo al gelo e alla neve dei nostri valichi alpini che l’obbedienza alla legge interiore fa nascere non solo nuove creature ma anche un domani migliore per la nostra società; è tra i flutti di un Mediterraneo reso ostile dall’uomo che la legge del mare si rivela norma di vita da applicarsi anche sulla terraferma.
Sì, antico e sempre nuovo è il messaggio di Pasqua: è al cuore delle tenebre che risplende una grande luce, la luce dell’essere umano creato a immagine di Dio, la luce della vita che riprende il sopravvento sulla morte, la luce dell’amore più forte della morte. Pasqua allora è speranza per tutti: se “liberazione non è se non dalla morte”, questa liberazione è destinata a tutti, non a pochi o ad alcuni. Nella celebrazione della Pasqua ebraica si proclama: “Questa notte ognuno consideri se stesso uscito dall’Egitto, liberato dalla schiavitù!”. Questa è una chiamata alla responsabilità rivolta a ciascuno, indipendentemente dalla propria fede: vivere nella libertà per liberare chi della libertà non può ancora godere.
(articolo pubblicato su La Stampa 1 aprile 2018)