deve ripartire dalle parrocchie
di Francesco Palazzo
Il 9 maggio, a 25 anni dal monito agrigentino di Giovanni Paolo II («Lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio»), i vescovi siciliani emaneranno un documento contro la criminalità organizzata, con un appello alla conversione e una decisa scomunica per i mafiosi. Non è la prima volta che accade. Già nel lontano 1993 con un convegno e nel 1994 con un altro documento dissero e scrissero parole importanti. Senza dimenticare la stagione, insuperata, del cardinale Pappalardo. L’arcivescovo Lorefice ha chiesto perdono per l’atteggiamento della Chiesa verso la mafia, affermando che il mafioso non può essere credente, avendo in odio la fede. Anche queste considerazioni non sono una novità. Resta da capire se davvero le mafie si muovano «in odium fidei», formula utilizzata per la beatificazione di don Puglisi. Ho l’impressione che siano più pragmatiche e reagiscano seguendo altri stimoli. Ma una domanda dobbiamo farcela. Queste prese di posizione dei vertici hanno mai avuto una rilevanza uniforme nelle 1.800 parrocchie siciliane? Dai tempi del cardinale Ruffini tutto è cambiato. Che la mafia sia da condannare lo sostiene chiunque. Che poi dalle parole si passi ai fatti, smettendo, in ambienti popolari e borghesi, i vestiti della connivenza o dell’indifferenza, è un altro discorso. Così come, appunto, bisogna verificare quanto transiti dai vescovi alle comunità parrocchiali, sparse sul territorio in maniera capillare e pertanto decisive perché parlano a tutti. Quando si discute di una pastorale specifica sulla mafia, si dovrebbe fare riferimento a ciò che può essere implementato concretamente in questi luoghi. Un vero impegno della Chiesa in questo campo può solo passare da lì. Se ci si dovesse ancora limitare ai pur importanti appelli o alle scuse dei porporati, rimarremmo fermi a decenni addietro. Cosa si potrebbe, dunque, mettere dentro le comunità parrocchiali per affrontare al meglio la presenza mafiosa? Una consulta su mafie, società ed economia con dentro tutti i parroci e due o tre membri per parrocchia, a livello regionale e per diocesi potrebbe servire ad approfondire, con l’ausilio di esperti, la tematica. Progettando cosa fare in concreto, in maniera duratura, perché le mafie non si combattono una tantum, con interventi spot, in tutti i templi cattolici. Per evitare che più spiccate sensibilità vengano, come accadde a Puglisi e non solo a lui, isolate.
(Fonte: "La Repubblica Palermo" del 21 aprile 2018)
Guarda anche il video:
L'aspirante sindaco di Catania e il futuro prete (Diocesi di Messina) figlio del boss ... - Servizio delle Iene trasmesso il 22.04.2018 Guarda anche il nostro post pubblicato in precedenza:
Il nostro grazie a Giovanni Paolo II per... la condanna alla mafia
Guarda anche il nostro post già pubblicato:
L'ARCIVESCOVO DI PALERMO Corrado Lorefice:
la Chiesa chieda perdono per il silenzio del passato sulla mafia
Presieduta da mons. Salvatore Gristina, si è svolta a Piazza Armerina (16 - 18 aprile 2018), su invito del vescovo mons. Rosario Gisana in occasione del Bicentenario della istituzione della Diocesi, presso il Seminario estivo, “Terre di Montagna Gebbia”, la Sessione primaverile della Conferenza Episcopale Siciliana.
In apertura dei lavori, i vescovi hanno accolto mons. Giuseppe Marciante, nuovo vescovo di Cefalù, augurandogli un ministero episcopale fecondo nella sua Chiesa e nella pastorale regionale delle Chiese di Sicilia. Durante la Sessione di lavoro anche l'incontro dei presuli con i Direttori degli Uffici regionali.
CONFERENZA EPISCOPALE SICILIANA:
COMUNICATO FINALE PRIMAVERA 2018
In apertura dei lavori, i vescovi hanno accolto mons. Giuseppe Marciante, nuovo vescovo di Cefalù, augurandogli un ministero episcopale fecondo nella sua Chiesa e nella pastorale regionale delle Chiese di Sicilia. Durante la Sessione di lavoro anche l'incontro dei presuli con i Direttori degli Uffici regionali.
... I Vescovi hanno voluto sottolineare il XXV anniversario della visita del Papa San Giovanni
Paolo II ad Agrigento, ricordando l’accorato invito alla conversione rivolto agli uomini della mafia
al termine della santa Messa nella Valle dei Templi. La ricorrenza anniversaria sarà ricordata con
una solenne Concelebrazione dell’Episcopato siculo il 9 maggio prossimo ad Agrigento davanti il
Tempio della Concordia. In quella circostanza i Vescovi di Sicilia rivolgeranno un messaggio agli
uomini e alle donne della nostra Regione.
...
Leggi tutto:
Il comunicato finale CESi Sessione Primavera 2018 (PDF)Leggi tutto:
e benedizioni religiose
di Rosario Giuè
Sono profondamente convinto che l’essere cristiani e l’essere Chiesa possa avere ancora senso ed essere vissuto in modo credibile nella società.
Francesco, il vescovo di Roma, è testimone umile e convinto di tutto ciò. E ciò vale anche per la questione mafiosa.
Ma per essere credibili su questo punto bisogna avere chiaro che il potere mafioso per affermarsi nella società ha bisogno di simboli, di alleanze e di silenzi. Ed è bene anche ribadire che la mafia non è solo quella delle “coppole”, come sembra rappresentata da una certa industria televisiva. Quando si parla di mafia si deve guardare alla mafia borghese, alle classi dirigenti del Paese: alla compenetrazione tra diversi interessi a livello, a partire proprio dalle classi dirigenti compreso l’ambito politico e massonico.
Le classi dirigenti di questo Paese da sempre hanno fatto a gara per cercare la benedizione religiosa, la legittimazione ecclesiastica. Giulio Andreotti era ben considerato in Vaticano. ai più alti livelli. Un presidente della Regione Sicilia, poi condannato, si recò a Siracusa per consacrare la Sicilia alla “Bedda Matri”. Nei piccoli centri o nei quartieri popolari il capo mafia, che fa parte della classe dirigente locale, è generoso nelle donazioni per restaurare gli edifici di culto o per preparare la festa patronale.
Ora i pezzi delle classi dirigenti colluse non possono mostrare apertamente il perseguimento del loro “particolare” costruito sulla violenza e la sopraffazione. Hanno bisogno di sentirsi ben visti, giustificati davanti al popolo. Le liturgie cattoliche, i simboli cristiani sono un grande palcoscenico di visibilità pubblica, direi unico.
Per molto tempo la Chiesa cattolica, con le dovute eccezioni, ha fatto finta di non vedere questo rapporto strumentale. Ha prevalso la “ragion di Chiesa”: ora a motivo del liberalismo, ora a motivo del pericolo comunista, ora a difesa dell’unità politica dei cattolici o, per ultimo, a difesa dei valori cattolici in campo bioetico. E così non si è stati capaci di smascherare i sepolcri imbiancati di uomini dello Stato che, dopo avere trattato con la mafia, andavano in chiesa a fare la comunione o a parlare in pubblici dibattiti del valore della dottrina sociale della Chiesa. Una classe dirigente che si è formata nelle scuole religiose cattoliche non ha trovato di meglio che mettere i propri talenti a servizio del “demone” del denaro e del potere mafioso, usando la religione come reliquia medievale, per salvarsi o per nascondere la cattiva coscienza.
Chi aveva la responsabilità della profezia, purtroppo, aveva perso la voce!
Le processioni che si fermano davanti alle case dei boss, episodi rilanciati in modo eclatante dalle televisioni, sono una triste ma piccola punta di un iceberg. Recentemente si è visto, per esempio in Calabria, che il vescovo di Mileto è intervenuto sull’usanza poco evangelica in un piccolo centro di fare portare a spalla le sacre statue, il giorno di Pasqua, alle famiglie vincitrici di un’apposita asta ben orientata dalla mafia locale.
Ma quella vicenda è poco cosa.
L’uso privato e distorto dei simboli religiosi va cercato prima di tutto tra le classi dirigenti del Paese, che non hanno mancato occasione per esibire il loro essere stati scout o l’essere devoti alla tale Madonna. Più preoccupante è che le classi dirigenti legati al potere mafioso non vogliano rinunciare ai simboli religiosi. Sanno che il linguaggio rituale parla al popolo semplice, se manca una mediazione critica. E fanno il loro bel gioco nell’apparire! Pezzi delle classi dirigenti del Paese, amici degli amici, si sono fregiati del titolo di “cattolico” senza che, da parte ecclesiale, si facesse tanto chiasso.
Ora, se non si parte dalle scelte dei vertici della Chiesa italiana, sarà più difficile poi richiamare alla loro responsabilità le diocesi. Se non si auto-analizzano le scelte “politiche” della Conferenza Episcopale, sarà più difficile chiedere al solitario parroco d’impegnarsi e, comunque, sarà più complicato lavorare per il cambiamento e la liberazione dal potere mafioso in Italia.
(fonte: blog - La Repubblica - 24 aprile 2018)
Guarda anche il nostro post pubblicato in precedenza:
- Papa Francesco ai mafiosi: convertitevi! "Aprite il vostro cuore al Signore!"
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