I figli di Martin Luther King:
"Nostro padre?
Lo ricordano solo per 'I Have A Dream',
ma lui non era un sognatore.
Era un rivoluzionario"


Militanza, fatti, non utopie. "L'istinto a rileggere Martin Luther King attraverso le lenti della non violenza e del sogno rischia di adombrare i messaggi politici più radicali negli ultimi comizi", osserva Wornie Reed, alla guida del Race and and Social Policy Center at Virginia Tech. "E di sottovalutare altri aspetti. King era pronto a rinunciare alla sua stessa vita per i poveri". E infatti nel 1966 si era trasferito in uno slum degradato, ai margini della città, per accendere i riflettori sul problema della povertà, e prima che un colpo di fucile alla testa lo uccidesse in quell'albergo di Memphis stava organizzando la "Campagna per i poveri", la marcia su Washington: voleva portare tremila famiglie indigenti nella capitale per un sit in permanente fino a quando il Congresso non avesse approvato una legge contro la povertà. Un accampamento a oltranza, una baraccopoli da mettere sotto gli occhi dell'America riluttante.
(fonte: Huff Post)
Martin Luther King, figlia:
“Nostra madre ci disse di non odiare l’assassino”
“Avevo solo 5 anni, quando arrivò la notizia dell’assassinio stavo dormendo. Mia sorella Jolanda e mio fratello Martin invece la sentirono alla televisione. Jolanda chiese a mia madre: ‘Devo odiare la persona che ha ucciso mio padre?’. E lei rispose subito ‘no’”. Così Bernice Albertine King, figlia minore di Martin Luther King, in un’intervista di Pierluigi Vito per il Tg2000, il telegiornale di Tv2000, in occasione dei 50 anni dall’assassinio del padre a Memphis ha ricordato quei tragici momenti vissuti dalla famiglia il 4 aprile 1968. “Il giorno dopo, il 5 aprile, - ha proseguito Bernice - mia madre andò a prendere il corpo di mio padre a Memphis. E lei, tornando ad Atlanta, si rese conto sull’aereo (dove ci aveva portato con sé) che a me non aveva ancora detto niente. Allora mi prese da una parte e mi disse: ‘Tuo papà è andato a vivere con Dio e non potrà più parlare con te’”. “Quando avevo sedici anni – ha aggiunto Bernice - guardando il documentario ‘Montgomery to Memphis’ davanti alle immagini del funerale di mio padre cominciai a piangere per la prima volta. E piansi per due ore. Mi resi conto davvero di cosa mio padre aveva provato a fare. Credo che quello sia stato il mio primo vero momento di consapevolezza”. “La nostra famiglia – ha sottolineato Bernice - è stata chiamata alla lotta per la libertà. Mio padre, chiaramente, nel ruolo di pastore e di profeta. Ogni cosa che lui ha fatto era radicata in questo: ogni sermone pronunciato, ogni messaggio lanciato, tutto era fondato sulla Bibbia. Anche se utilizzava testi liberali, lo spirito di ogni suo messaggio veniva dalla sua fede cristiana. Era molto religioso, pregava tanto. Nostra madre ha instillato in noi figli il valore della fede, della preghiera, della dedizione a Cristo”. “Sento che ogni lavoro che faccio – ha concluso Bernice - è una chiamata di Dio. Credo che mio padre questo lo comprendesse molto bene. Per questo quando la sua fede divenne motivo di contrapposizione lui riuscì ad essere il più coraggioso. Perché sentiva che Dio era con lui e per lui. E anche quando nessuno lo capiva lui voleva essere sicuro che ciò che faceva fosse coerente con la volontà di Dio. Lo stesso accadeva per mia madre. E lo stesso vale per me”.
Guarda il video
Servizio del Tg2000