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mercoledì 27 luglio 2016

"Il tuo sangue, padre Hamel, sia seme di pace e speranza" di Maurizio Patriciello


Il tuo sangue versato, caro sacerdote di Cristo, Jacques Hamel, sia seme di pace e di speranza. Hai celebrato la Messa per più di mezzo secolo. Hai obbligato, migliaia di volte, Cristo a scendere sull’Altare. A farsi cibo da mangiare. Carne viva che dona vita. 

Per mezzo secolo, caro confratello, hai unito la tua voce alla voce della Chiesa. Il tuo pianto a quello di tutti i derelitti del mondo. Oggi hai ricevuto la corona del martirio. Non so se lo avevi messo in conto. Credo di sì. Credo che, come tutti noi, tante volte avrai pensato che un giorno potesse toccare a te. E, smarrito, hai chiesto: «Perché? Perché, Signore, gli uomini non sanno vivere in pace? Perché l’odio che distrugge, ammalia e seduce tanta gente più dell’ amore?» E, come accade a tutti noi, una risposta non te la sei mai data.
...

Caro confratello, non faccio fatica a calarmi nel tuo mondo. Per niente. Il tuo mondo è anche il mio. È il mondo di milioni di persone di buona volontà. Che prima di cambiare gli altri, sanno di dover cambiare se stesse. Il mondo di chi, anche davanti alla morte, non cede alla tentazione di imboccare una scorciatoia. Non si tira indietro. Non maledice. Non si vendica. C’è una sola strada per la quale camminare. O lo facciamo insieme o siamo destinati a soffrire e far soffrire. A morire e condannare a morte. 

La strada da imboccare senza indugio è quella della riconciliazione, del dialogo, del perdono, della condivisione, dell’amore. Non stiamo soffrendo per avere amato troppo. Stiamo morendo per avere amato poco. Non stiamo pagando il prezzo per essere stati troppo religiosi, al contrario, lo siamo stati troppo poco. Il cuore dell’ uomo non si accontenta mai. Vuole sempre di più. E quel di più, in un modo o in un altro, è costretto a sottrarlo agli altri. E nascono le guerre. Tutti vogliono essere felici. La felicità ti mette le ali ai piedi. È la spinta ad andare oltre. A tentare l’ impossibile. A lavorare e sudare. Ma nessuna parvenza di “felicità” può essere verace se viene sottratta a un altro.

Alla fine della nostra giornata dobbiamo vigilare di non aver lasciato conti in sospeso, nodi da sciogliere lacrime da asciugare. A livello personale, comunitario, nazionale, mondiale. Tu, caro confratello, chiudevi la giornata recitando la compieta. Dopo il segno della croce ti fermavi per l’esame di coscienza. Come un bambino chiedevi perdono al Signore per le tue fragilità, le tue omissioni. Un prete è una persona sempre in pace e sempre inquieta.

Anche lunedì sera avevi pregato: « Signore, nelle tue mani affido il mio spirito … Ora lascia che il tuo servo vada in pace secondo la tua Parola …». Martedì mattina, la Messa. Era la tua ultima Messa, ma tu non lo sapevi, non potevi saperlo. Per questo avevi sempre “la lampada accesa, la cintura ai fianchi e i calzari ai piedi”. L’ ultima come la prima.

La stessa Messa celebrata per anni, tanto antica e sempre nuova. Non sapevi, non potevi sapere che era l’ultima volta che baciavi quell’Altare. Ultima qui, in questa valle di gioia e di tenerezza, che il peccato, l’ingordigia e la stupidità degli uomini hanno trasformato in una valle di lacrime e di angosce. Sei stato ritenuto degno di unire il tuo sangue al sangue di Cristo. E come Cristo, lo so, hai pregato per i tuoi assassini: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». 

Che la tua morte, preziosa e tragica, possa riportare la pace e la concordia a questa nostra umanità smarrita e affranta. Che la tua offerta, come profumo di incenso, possa salire presso il trono di Dio e intercedere per noi. Che il tuo sacrificio possa convincere tutti i credenti di tutte le religioni che dirsi figli di Dio e non riconoscersi fratelli è una bestemmia delle più blasfeme. Grazie, fratello sacerdote. Per la tua fedeltà. La tua fede. La tua vita consacrata a Cristo. Per il servizio che hai reso alla Chiesa e all’umanità.