«Come un padre è tenero verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono». Questa frase e il contenuto del frammento tratto dal Salmo 103 (102) hanno fatto sì che esso fosse inserito nel Lezionario del matrimonio. Il Salmo è una splendida benedizione che sembra precorrere la dichiarazione giovannea del «Dio è amore» (1Giovanni 4,8).
La liturgia nuziale ne ritaglia alcune battute, che colgono il cuore di Dio e dell’uomo. Si inizia con una specie di dialogo interiore del Salmista con la propria anima, invitata a benedire Dio, cioè a cantarlo, a lodarlo, a esaltarlo. È un appello rivolto all’intimo più segreto dell’uomo («quanto è in me»), perché si apra alla festa e alla preghiera e perché «non dimentichi». Tante volte nella Bibbia si invita Israele a «ricordare» le azioni salvifiche che Dio ha disseminato nella storia: “ricordare” è il verbo della fede e “dimenticare” quello dell’infedeltà.
Ciò che dobbiamo «non dimenticare» e quindi celebrare e cantare è espresso in un bellissimo “Credo” di poche parole: «Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore». È la sintesi di un testo dell’Esodo: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà» (34, 6). La “bontà” del Signore è espressa con un termine che in ebraico evoca le viscere materne: è quindi una bontà piena di tenerezza, affine a quel sentimento istintivo che la madre prova per la sua creatura. In Isaia leggiamo questa bellissima dichiarazione di Dio: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Ebbene, anche se queste donne ti dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (49, 15).
Il Salmista aggiunge anche un’immagine paterna: «Come un padre ha pietà dei suoi figli...».
Il commento ideale potrebbe essere la parabola del figlio prodigo e del padre pieno d’amore (Luca 15). Sembra già di sentire l’invito cristiano a chiamare Dio «Abba’, padre!» (Galati 4,6). Il Salmista conclude proclamando «la grazia del Signore che è da sempre». In ebraico “grazia” è un vocabolo (hesed) che esprime tutte le sfumature della relazione tra due persone legate da un vincolo di amore e intimità.La grazia divina varca la distanza infinita tra Dio e creatura, tra Salvatore e peccatore
Dio “padre” e “madre” si china sulla famiglia che a lui si rivolge nella fede. Questi suoi figli possono esserepeccatori ma il Signore è «lento all’ira e grande nell’amore». Kabîr, poeta indù del XV secolo, scriveva: «Qualsiasi sbaglio commetta un figlio, sua madre non sa non perdonare. O mio Dio, io sono il tuo bambino, non cancellerai allora i miei sbagli?». Soprattutto il cristianesimo, introducendo nel mondo il Cristo, Figlio di Dio che rende suoi fratelli tutti gli uomini, trasforma la preghiera nel dialogo d’un figlio con il padre «grande nell’amore». E questa esperienza può essere vissuta con intensità particolare da coloro che saranno padre e madre sulla terra e avranno figli da amare e a cui perdonare.
(Fonte: FC - 13 agosto 2015)