cosa vuol dire prendersi cura della casa comune?
di p. Pino Stancari S.J.
Incontro presso Sala Convegni del CONI di Cosenza
- martedì 9 febbraio 2016 -
"... cosa vuol dire prendersi cura della casa comune? Il Papa ce lo suggerisce a modo suo, dal momento che il titolo dell’enciclica fa riferimento al Cantico delle creature di San Francesco: Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune. Dunque, la cura della casa comune: sono convinto che un’espressione del genere non solo suppone un generico retroterra biblico, ma è davvero impregnata di quella parola che è giunta a noi attraverso tutti i testi della Scrittura (Antico e Nuovo Testamento); perciò vorrei richiamare qualche elemento di questa ampia documentazione di testi, di sollecitazioni, di luci e, nello stesso tempo, anche di interpellanze contestative che la parola di Dio ci presenta. Intendo prendere avvio da quella pagina che – in modo, per così dire, scontato – assume senz’altro un valore programmatico. Mi riferisco al cap. 3 del Libro del Genesi. Questa pagina è citata anche dal Papa nell’enciclica. Vi si dice che il Signore Dio, stando all’antico racconto, si presenta all’uomo, Adamo, e alla compagna nel giardino. È il giardino della vita, che rappresenta l’intera creazione nel suo complesso e in tutte le sue componenti, in quanto essa è predisposta al servizio della vita. E la vita è pienezza di tutte le relazioni, nel tempo e nello spazio. La vocazione alla vita della creatura umana, inoltre, è direttamente aperta alla conversazione con il Dio vivente. Lui, il Signore Dio, si presenta, ma Adamo si è nascosto. Risuona allora quell’interrogativo famoso: Adamo, dove sei? (cf. Gen 3,9). Qui sta per me anche il primo modo di reagire all’enciclica del Papa. La questione che viene posta ad Adamo, che è l’uomo, viene posta a ogni uomo e a ciascuno di noi: Dove siamo? Dove? Non è questo un interrogativo di ordine ideale; è un interrogativo di ordine molto empirico: In che mondo abitiamo? In che mondo dimoriamo; in che mondo siamo collocati? Qual è il mondo nel quale siamo chiamati ad assumere la nostra vocazione alla vita e a realizzarla. Dove siamo? Allora: Adamo, dove sei? Fatto sta che l’antico racconto ci informa che quell’Adamo, che siamo noi, nel frattempo si è nascosto. Eppure, nella pagina precedente era stato collocato in quel giardino per coltivare e custodire (Gen 2,15). Questo custodire significa esattamente prendersi cura. In ebraico è il verbo shamar, che serve comunemente a esprimere quello che nelle nostre traduzioni spesso – sempre evitando generalizzazioni un po’ abusive – viene tradotto con il nostro sorvegliare, dare attenzione, conservare. Custodire il giardino, dunque, significa valorizzare adeguatamente la potenza che è stata conferita da Dio stesso a ciascuna delle sue creature. C’è un dono particolare che è interno a ogni creatura nell’universo; ogni creatura, poi, è intrecciata con le altre in un’economia del gratuito, dove circola un’inesauribile corrente che comporta la trasmissione di ciò che ogni creatura porta in sé come depositaria di un dono che viene dal Creatore. Tutto l’universo funziona in quanto questa circolazione funziona nella gratuità della trasmissione: da un dono ricevuto a un dono trasmesso. E così, di creatura in creatura. Nel cuore della creazione, che è il giardino della vita, la creatura umana costituisce lo snodo determinante in ordine al funzionamento di quell’unico grande disegno, in quanto essa è l’interprete dell’economia della gratuità, che si realizza come rivelazione potente, efficace e feconda della vita stessa di Dio. Insomma, l’uomo, Adamo e ciascuno di noi insieme con lui, è responsabile di quella ricchezza e di quella bellezza che sono prerogative intrinseche della creazione di Dio. Dico bellezza, facendo appello a un testo che precede immediatamente il racconto biblico che citavo leggendo Gen 2 e 3. Mi riferisco a quel primo racconto (cf. Gen 1,1-2,4a) in cui si parla della creazione in sei giorni più uno. Dunque, sette giorni. E il settimo giorno è il giorno del riposo (cf. Gen 2,1-3). Dopo i primi tre giorni i vani della creazione sono sistemati; poi, nei successivi tre giorni, quei vani sono stati popolati con le creature adatte a occupare gli ambienti predisposti. Giorno dopo giorno, Dio vede che è tutto molto bello. Ecco la bellezza della creazione, che serve a sintetizzare quell’armonia piena, matura e sapiente, che poco fa definivo economia del gratuito,
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Non dimentichiamo che l’enciclica s’intitola Laudato si’! Questa è una citazione del Cantico delle creature di San Francesco. Ma il Cantico delle creature è esattamente una rilettura del Cantico che leggiamo nel cap. 3 del Libro di Daniele. I tre nella fornace dettano il ritmo orante e contemplativo dell’enciclica papale e della nostra lettura. Laudato si’! Benedetto sii tu! Ma tu sei benedetto, perché noi ti benediciamo passando attraverso tutte le tue creature. Noi possiamo benedirti, perché siamo l’eco di quella benedizione che raccoglie la partecipazione ecumenica di tutto il visibile e l’invisibile, nel tempo e nello spazio, e di ogni altra creatura umana. Questa mi sembra l’eredità più preziosa che, a mio modo di rileggere l’enciclica, riceviamo da Papa Francesco: Benedite il Signore! Non è un messaggio che vuole proporci una condanna; è piuttosto una testimonianza che ci aiuta a fare i conti con la nostra vergogna, e quindi a ritrovare pienamente il gusto, la gioia, l’entusiasmo, il fervore di quella benedizione per cui non possiamo vivere se non custodiamo la bellezza di ogni altra creatura di Dio.