7 gennaio 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“le opere di misericordia ci avvicinano a Dio”
Chi mette in pratica le opere di misericordia ha la controprova che la sua azione viene da Dio: l’unico criterio per capirlo ruota infatti intorno alla concretezza dell’«incarnazione, di Gesù venuto nella carne». E così non ha senso «immaginare piani pastorali e nuovi metodi per avvicinare la gente» se la fede in Gesù incarnato non porta al servizio degli altri. Francesco lo ha ricordato celebrando la messa giovedì mattina, 7 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta. E ha messo anche in guardia da coloro che hanno solo un’apparenza di spiritualità perché, ha detto, se quello spirito non viene da Dio è «l’anticristo», l’espressione della «mondanità».
Per questa riflessione, il Papa ha preso le mosse dalla prima lettera di san Giovanni (3,22—4,6), facendo subito notare come l’apostolo riprenda «una parola di Gesù nell’ultima cena: “rimanere”». Precisamente Giovanni scrive: «Chi osserva i suoi comandamenti, “rimane” in Dio e Dio in lui». E «questo “rimanere” in Dio è un po’ il respiro della vita cristiana, e lo stile» ha spiegato Francesco. Infatti possiamo dire che «un cristiano è quello che rimane in Dio». Scrive ancora Giovanni nella sua lettera: «In questo conosciamo che Dio rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato».
Dunque, ha rilanciato Francesco, «un cristiano è quello che “ha” lo Spirito Santo e si lascia guidare da Lui: rimanere in Dio e Dio rimane in noi, per lo Spirito che ci ha dato». E ha anche ripreso l’avvertimento dell’apostolo a «stare attenti: e qui viene il problema. State attenti, non prestate fede a ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio». Proprio «questa è la regola quotidiana di vita che ci insegna Giovanni».
«Mettere alla prova gli spiriti», dunque. «Ma cosa vuol dire quel “mettere alla prova gli spiriti”? Sembra che ci siano fantasmi...». Invece no, ha affermato il Pontefice, perché in realtà Giovanni suggerisce di «mettere alla prova gli spiriti per saggiare da dove vengono: saggiare lo spirito, cosa succede nel mio cuore». Così «ci porta lì, al cuore», a chiederci appunto «cosa succede, cosa sento nel mio cuore, cosa voglio fare? La radice di ciò che sto sentendo adesso, da dove viene?».
Ecco, ha spiegato il Papa, «questo è mettere alla prova per “saggiare”». E proprio «il verbo saggiare» è quello più appropriato per verificare davvero «se questo che sento viene da Dio, dallo spirito che mi fa rimanere in Dio, o se viene dall’altro». Alla domanda «chi è l’altro?», la risposta di Francesco è netta: «L’anticristo». Del resto, ha precisato, «il ragionamento di Giovanni è semplice, diretto, io direi circolare, perché torna sullo stesso argomento: o sei di Gesù o sei nel mondo». E «riprende quello che Gesù, anche, aveva chiesto al Padre per tutti noi: di non toglierci dal mondo, ma di difenderci dal mondo». Perché «la mondanità è lo spirito che ci allontana dallo spirito di Dio che ci fa rimanere nel Signore».
A questo punto Francesco ha dato voce agli interrogativi che, naturalmente, sorgono sulla questione: «Ma, padre, va bene, sì, è tutto chiaro, ma quali sono i criteri per fare un bel discernimento di quello che accade nella mia anima?». Giovanni propone un solo criterio e lo presenta con queste parole: «In questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito — ogni emozione, ogni ispirazione che io sento — che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio».
«Il criterio è Gesù venuto nella carne, il criterio è l’incarnazione» ha insistito Francesco. Tanto che «io posso sentire tante cose dentro, anche cose buone, idee buone. ma se queste idee buone, questi sentimenti non mi portano a Dio che si è fatto carne, non mi portano al prossimo, al fratello, non sono di Dio». Ed è per questo che «Giovanni incomincia questo passo della sua lettera dicendo: “Questo è il comandamento di Dio: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri”».
Applicando questa verità alla vita cristiana di ogni giorno, il Pontefice ha ricordato che «possiamo fare tanti piani pastorali, immaginare nuovi metodi per avvicinarci alla gente, ma se non facciamo la strada di Dio venuto in carne, del Figlio di Dio che si è fatto uomo per camminare con noi, non siamo sulla strada del buon spirito». Anzi, a prevalere «è l’anticristo, è la mondanità, è lo spirito del mondo».
Già, ha aggiunto, «quanta gente troviamo, nella vita, che sembra spirituale, ma non parlare di fare opere di misericordia». E «perché? Perché le opere di misericordia sono proprio il concreto della nostra confessione che il Figlio di Dio si è fatto carne: visitare gli ammalati, dare da mangiare a chi non ha cibo, aver cura degli scartati». Le «opere di misericordia», dunque, «perché ogni nostro fratello, che dobbiamo amare, è carne di Cristo: Dio si è fatto carne per identificarsi con noi e quello che soffre è il Cristo che lo soffre».
Ecco che, ha detto Francesco, «se tu vai per questa strada, se tu senti questo, vai bene» perché proprio «questo è il criterio del discernimento per non confondere i sentimenti, gli spiriti, per non andare su una strada che non va».
Ritornano, dunque, le parole di Giovanni: «Non prestate fede a ogni spirito — state attenti — ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio». Perciò, ha ribadito con forza, «il servizio al prossimo, al fratello, alla sorella che ha bisogno — sono tanti i bisogni — anche di un consiglio, del mio orecchio per essere ascoltato: questi sono i segni che andiamo sulla strada del buono spirito, cioè sulla strada del Verbo di Dio che si è fatto carne».
Prima di riprendere la celebrazione della messa, Francesco ha chiesto «al Signore la grazia di conoscere bene cosa succede nel nostro cuore, cosa ci piace fare, cioè quello che a me tocca di più: se lo spirito di Dio, che mi porta al servizio degli altri, o lo spirito del mondo che gira intorno a me stesso, alle mie chiusure, ai miei egoismi, a tante altre cose», Sì, ha concluso il Papa, «chiediamo la grazia di conoscere cosa succede nel nostro cuore».
(fonte: L'Osservatore Romano)
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