Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



domenica 17 gennaio 2016

Papa Francesco alla Sinagoga di Roma - Interviste a mons. Bruno Forte e ai rabbini Riccardo Di Segni e Abraham Skorka



Domenica pomeriggio 17 gennaio 2016 alle 16.00, Papa Francesco si reca in visita alla Sinagoga di Roma. L’evento coincide con la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

Fu istituita in Italia nel 1989 e quest’anno è giunta alla ventesima edizione. È la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei e si celebra il 17 gennaio. Papa Francesco ha scelto proprio questo giorno per andare alla Sinagoga di Roma. Terzo Papa, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È una data cara al popolo italiano, ebreo e cattolico. Sono 20 anni che il 17 gennaio nel nostro Paese si organizzano tavole rotonde, momenti di confronto sui grandi temi che interpellano l’umanità, incontri di approfondimento biblico. Sono 20 anni che ebrei e cattolici in Italia si incontrano nelle parrocchie e sale di comunità con il desiderio di conoscersi meglio. Dal 2005, la Cei e l’Assemblea dei Rabbini d’Italia hanno deciso di comune accordo di dedicare la Giornata anno per anno alla riflessione su uno dei Dieci Comandamenti. È una storia silenziosa di dialogo e amicizia. Monsignor Bruno Forte, presidente della Commissione Cei per il dialogo, e il rav Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, in un messaggio ringraziano “di cuore tutti coloro che in questi anni si sono resi disponibili ad offrirci spunti di riflessione”. Non si tratta semplicemente di un tratto di strada percorso insieme ma di “una tappa” perché “il cammino in sé ci offre ancora molte possibilità di incontro, di scambio, di crescita comune”.

Monsignor Forte, il Papa ha scelto di andare nella Sinagoga di Roma il 17 gennaio. Che significato ha questa scelta?
La data del 17 gennaio fu scelta perché precedeva immediatamente quella della settimana di preghiere per l’unità dei cristiani (18-25 Gennaio) e in tal modo sottolineava che la fede d’Israele è la radice santa del cristianesimo e dell’unità che Cristo vuole fra i suoi discepoli. La scelta di quella data per la visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma evidenzia l’importanza che Egli attribuisce all’amicizia ebraico-cristiana e al dialogo in cui essa si esprime.

Nel messaggio di presentazione della Giornata, lei e il rav Giuseppe Momigliano ribadite “la necessità di proseguire il cammino di dialogo che vent’anni fa abbiamo voluto iniziare”. Cosa intendete dire? E come proseguire nella strada di amicizia?
Il dialogo di questi anni è stato condotto a partire dal Decalogo e ha avuto frutti di grazia soprattutto nella crescita della conoscenza reciproca e della fiducia. Si tratta perciò di un cammino da portare avanti nella comune convinzione che esso rappresenta un autentico dono e arricchisce entrambi gli interlocutori in accordo con la volontà del Signore.

Il rav Di Segni ha chiesto di non utilizzare più l’espressione “fratelli maggiori” perché induce a pensare ad un rapporto ebrei/cattolici di “sostituzione”. Lei che è un teologo, cosa pensa?
Ogni idea di sostituzione che veda la Chiesa semplicemente prendere il posto di Israele nel disegno di Dio va rifiutata.
Secondo lo stesso Apostolo Paolo la reintegrazione d’Israele e della Chiesa in un unico popolo avverrà solo alla fine, quando il Figlio dell’uomo tornerà: fino ad allora – e fatti salvi singoli cammini di conversione a Cristo sempre avvenuti nella storia e sempre possibili – i due popoli dovranno avanzare secondo la chiamata ricevuta da Dio rispettivamente e dovranno crescere nel dialogo fra loro e nel servizio dell’Eterno.

Quali auspici? Quali speranze apre papa Francesco nel dialogo con l’ebraismo? E dov’è il suo “punto di forza”?
Gli auspici sono quelli di una amicizia e di una collaborazione ebraico-cristiana sempre più stretta e autentica, di cui proprio in questi giorni ho fatto esperienza tenendo la “annual lecture” all’Università Ebraica di Gerusalemme su invito del dipartimento di studi sul cristianesimo che è molto attivo e frequentato dagli studenti.

Il punto di forza di Papa Francesco è la ricchissima esperienza che egli ha personalmente del dialogo fraterno con il mondo ebraico sin dai tempi di Buenos Aires e che gli fornisce una singolare capacità di incontro con il popolo da cui è venuto Gesù, che era ebreo e lo è per sempre.
(fonte: SIR)

Fin dalla elezione di Francesco il rabbino capo della storica Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, ha avuto diversi contatti e incontri personali con il Papa. Da subito, «per desiderio condiviso», è entrata in agenda la possibilità di una sua visita al Tempio Maggiore. Dal suo studio di Lungotevere de Cenci, Di Segni delinea oggi l’importanza della terza visita di un Pontefice alla sinagoga nel contesto storico segnato dai conflitti che stiamo vivendo, nel progresso delle relazioni e del dialogo ebraico-cattolico a cinquant’anni dalla Nostra aetate. E parla dell’urgenza del messaggio che l’incontro di domenica vuole evidenziare e rilanciare. 

Come si svolgerà il prossimo incontro del Papa al Tempio Maggiore e qual è il carattere che si è voluto dare a questa visita? 
La visita, comprensiva del momento importante all’interno del Tempio con i discorsi ufficiali, ha il carattere e lo scopo di un incontro diretto, personale e collettivo con la Comunità ebraica di Roma e con alcune rappresentanze ebraiche internazionali che ci tengono a incontrare papa Francesco.
...

È prevista una larga partecipazione? 
Avremo il Tempio strapieno, al limite della capienza. 

La visita alla sinagoga di papa Francesco avviene esattamente sei anni dopo quella di Benedetto XVI del 17 gennaio del 2010 e a trent’anni da quella di Giovanni Paolo II. Rispetto ad esse quali sonole differenze? 
La visita di Giovanni Paolo II è stata uno spartiacque nei rapporti ebraico-cristiani. La seconda di Benedetto XVI ha sottolineato, con il suo stile, una continuità. Ciascuna delle due visite va inserita nel contesto delle diverse contingenze. 

Perché è importante la visita di papa Francesco? 
Un primo aspetto è proprio quello della continuità su una strada di amicizia segnata dai suoi predecessori.
...
La visita di papa Francesco non sarà un mero rituale ereditato dai suoi predecessori, è una nuova tappa, si rinnova di sentimento e si coprirà di nuovi significati. 

E quale significato, secondo lei, assume in questo momento? 
La visita di Francesco in sinagoga ha il suo significato e la sua forza proprio nel contesto storico che stiamo vivendo.
...
Il nostro incontro vuole concordemente dare un segnale che è attualissimo, importantissimo e urgente: il messaggio che l’appartenenza a una fede, a una religione non deve essere motivo di ostilità, di odio e di violenza ma è invece possibile costruire una convivenza pacifica, sul rispetto e la collaborazione proprio in nome della propria religione. 

È un segnale in controtendenza… 
Ma è l’idea vincente in questo momento. Il prossimo incontro con papa Francesco attualizza la diversità religiosa come dimostrazione di convivenza, di collaborazione per il bene di tutti, perché le religioni sono portatrici di pace e di valori positivi, utili a tutta la società.
...

Lei ha incontrato già diverse volte papa Francesco, quali temi di rilievo avete affrontato in questa prospettiva? 
Dai problemi sociali che affliggono l’Europa all’immigrazione, all’emergenza umanitaria. Si è ragionato sull’impegno delle religioni in questo senso e sui futuri progetti di collaborazione. 

Proprio ieri il Papa ha reiterato i suoi appelli sulla questione degli immigrati… 
Sull’emigrazione abbiamo presentato le nostre analisi, la nostra disponibilità e le nostre perplessità, fermo restando l’aspetto fondamentale che è iscritto nel nostro Dna storico che il migrante deve essere protetto. La Shoah ci deve far ricordare anche soprattutto l’importanza della convivenza con il vicino e con il diverso.
...

Ricordando i cinquant’anni dalla Nostra aetate Francesco ha sottolineato «la vera e propria trasformazione che avuto in questo tempo il rapporto tra cristiani ed ebrei». Anche da un punto di punto di vista teologico il dialogo intra-religioso ha fatto dei passi avanti. Per lei quali sono significativi? 
Di recente la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha pubblicato un documento. Direi che si tratta di un documento importante perché è una sintesi di quanto è stato compiuto in questi cinquant’anni e della riflessione teologica da parte cattolica che porta a dei chiarimenti importanti e a delle precisazioni necessarie.
...

Come viene considerata la consapevolezza di questo dialogo intra-familiare da parte della Comunità ebraica? 
Il mondo ebraico è estremamente variegato. Solo un piccolo gruppo di specialisti si occupa di queste questioni. La gente comune vede i fatti e sui fatti misura il valore di un rapporto. Un ebreo che vive in Europa coglie e apprezza il fatto che il clima dei rapporti è sostanzialmente cambiato, decisamente migliorato, anche se ci sono difficoltà sulle quali bisogna ancora lavorare. Questo è importante. Ma c’è differenza con gli ebrei che vivono nello Stato di Israele. C’è questo duplice aspetto da considerare. Non è semplice. 

La visita cade anche nel contesto dell’Anno giubilare della misericordia, nella cui bolla d’indizione papa Francesco ha voluto menzionare in modo particolare il legame con l’ebraismo… 
Un evento come questa visita alla Comunità ebraica di Roma certamente serve a consolidare ancora di più i rapporti e a dare forti segnali visibili in questo senso.


Intervista con il rabbino argentino amico di Francesco: «Bergoglio ha avuto un legame molto speciale con la comunità ebraica. Il suo contributo è l’appello ad approfondire il dialogo tramite lo studio esegetico e teologico, e allo stesso tempo rafforzare gli sforzi per un lavoro comune a beneficio di un mondo più giusto ed equo»

Papa Francesco è il primo Pontefice della Chiesa cattolica ad aver pubblicato, prima dell’elezione, un libro contenente lunghi dialoghi con un rabbino. Abraham Skorka, 65 anni, rettore del Seminario Rabbinico Latinoamericano a Buenos Aires, è diventato grande amico dell’allora arcivescovo Bergoglio. Domenica 17 gennaio il Pontefice varcherà la soglia della Sinagoga di Roma, il grande Tempio ebraico che sorge al di là del Tevere, poco distante in linea d’aria dal Vaticano. È la terza volta che un Vescovo di Roma entra nella Sinagoga, dopo la prima, storica visita di Giovanni Paolo II (1986) e quella del suo successore Benedetto XVI (2010). 

Rabbino Skorka, come è stato il rapporto dell’arcivescovo Bergoglio con la comunità ebraica in Argentina? Come siete arrivati a scrivere un libro sul vostro dialogo insieme? 
«L’allora arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Bergoglio, ha avuto un legame molto speciale con la comunità ebraica argentina, manifestato attraverso molteplici gesti tramite i quali ha dimostrato il proprio e profondo impegno con essa, e attraverso di essa, con l’ebraismo in generale. Ha creato dei rapporti di affetto molto profondi, come quello generato tra di noi. L’amicizia forgiata tramite degli incontri, nel senso che Buber era solito attribuire a questo termine, ci ha permesso di parlare liberamente, senza eufemismi. Così, abbiamo scritto un libro di dialoghi analizzando insieme i temi che preoccupano di più l’uomo contemporaneo, e poi abbiamo anche registrato, insieme a Marcelo Figueroa, 31 programmi televisivi». 

Quale pensa che sia — se ce n’è una — la peculiarità dell’approccio di Francesco sul dialogo con i credenti di religione ebraica? E quali sono gli elementi di continuità con i suoi predecessori? 
«Francesco ha continuato, da una parte, il percorso del dialogo ebraico-cattolico iniziato da Giovanni XXIII e approfondito significativamente da Giovanni Paolo II. Ma, dall’altra, ha fornito la propria impronta allo sviluppo di questo dialogo. Analizzando con cura il capitolo sui rapporti con l’Ebraismo nell’Evangelii Gaudium (247-249), vediamo che, seguendo la posizione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI di considerare il popolo ebraico come i “fratelli maggiori” nella fede, e l’eterna validità dell’Alleanza tra Israele e Dio, descritta nella Bibbia ebraica, il Papa gli conferisce un luogo speciale nella sua esortazione apostolica. Sebbene nei primi articoli del suddetto capitolo vengano sottolineati soltanto gli insegnamenti indicati dei suoi predecessori, nell’ultimo dei paragrafi si nota il passo che fa Francesco al riguardo. Dice: “Dio continua a operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina. Per questo anche la Chiesa si arricchisce quando raccoglie i valori dell’Ebraismo... Esiste una ricca complementarietà che ci permette di leggere insieme i testi della Bibbia ebraica e aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola”. A Buenos Aires abbiamo analizzato insieme in tante occasioni versetti della Bibbia Ebraica. È stata parte fondamentale del nostro dialogo. Essendo Bergoglio Grande Cancelliere della Pontificia Università Cattolica Argentina, l’ateneo mi ha conferito una laurea honoris causa. Il messaggio è stato molto chiaro: onorare e prendere in considerazione l’apporto culturale e religioso di un rabbino in una società a maggioranza cristiana. Il contributo di Francesco è l’appello ad approfondire il dialogo tramite l’approfondimento esegetico e teologico, e allo stesso tempo rafforzare gli sforzi per il lavoro comune a beneficio di un mondo più giusto ed equo. Ci siamo trovati all’inizio di un percorso in questo senso, che richiede molta riflessione e molto approfondimento nell’ambito intellettuale e spirituale, e anche un compromesso di fronte ai grandi drammi che colpiscono l’umanità nel presente». 

Come interpreta la storia dei rapporti tra cattolici ed ebrei negli ultimi sessant’anni? Quale è stata la via intrapresa da Giovanni XXIII? E quale l’apporto di Giovanni Paolo II? 
«Giovanni XXIII ebbe la chiara visione che dopo la Seconda Guerra Mondiale si apriva una nuova realtà per l’Europa e per il mondo, che chiedeva una risposta e un messaggio delle religioni. Per ciò ha posto le basi del Concilio Vaticano II. Dopo aver visto direttamente il dramma della Shoah e dopo aver salvato molti ebrei come delegato apostolico a Costantinopoli, si è impegnato nello sradicamento di quella situazione di mancato dialogo — che frequentemente implica l’odio — che c’era tra ebrei e cristiani. 
...
Giovanni Paolo II è stato il secondo grande fautore per la continuità e per lo sviluppo di questo processo. Il suo chiedere perdono per gli errori del passato della Chiesa nei confronti del popolo ebraico, la sua storica visita alla Sinagoga di Roma, lo stabilimento di rapporti diplomatici pieni tra il Vaticano e lo Stato dell’Israele, la sua preghiera di fronte al Muro (del Pianto, ndr.) sono stati segni che getteranno per sempre la sua luce nei rapporti tra ebrei e cristiani». 

La visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, nel 1986, è stata storica. Come la ricorda? Cosa può dire su Benedetto XVI e la sua riflessione teologica molto profonda sullo speciale rapporto che esiste tra l’ebraismo e il cristianesimo? 
«Entrambi gli eventi riferiti nella sua domanda segnano degli spartiacque nella storia dello sviluppo dei rapporti ebraico-cattolici impostati dalla Nostra Aetate. 
...
L’abbraccio tra Giovanni Paolo II e il rabbino Elio Toaff, all’inizio di quella visita, rimarrà come immagine indelebile di comprensione e dialogo, per ebrei e cattolici, e come paradigma per tutta l’umanità. Allo stesso modo, la riflessione teologica di Benedetto XVI sul rapporto speciale che vincola l’Ebraismo con il Cristianesimo, corregge una divergenza storica, ponendo le basi di un avvicinamento e di una mutua riconoscenza
...

Un nuovo documento vaticano pubblicato il mese scorso afferma che «la Chiesa cattolica non conduce e non fomenta alcuna missione istituzionale orientata specificamente agli ebrei», perché il rapporto con loro è diverso da quello che c’è con tutte le altre religioni. Cosa ne pensa? 
«Sin dalla approvazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate dignitari della Chiesa hanno manifestato in diverse occasioni che questa non avrebbe portato avanti alcuna azione evangelizzatrice né di missione con il popolo ebraico, così come fece drammaticamente in passato. Ma il documento “I Doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” lo esplicita ufficialmente. Si chiude così un capitolo molto doloroso nei rapporti ebraico-cristiani. 
...