Il cammino del profeta Giona
e l’amore di misericordia per i perduti
- prima parte -
p. Gregorio Battaglia, ocarm
(VIDEO INTEGRALE)
RIGENERATI NELLA
SUA
GRANDE MISERICORDIA (1Pt 1,3)
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
27 gennaio 2016
Il libro di Giona appartiene a quella sezione, che va sotto il nome di “profeti minori” o, ancora meglio, quello dei “dodici profeti” ed è collocato subito dopo il libro del profeta Abdia. Rispetto agli altri libri, quello di Giona è un libro particolare, perché esso, a differenza degli altri, non contiene nessun oracolo profetico, ma si presenta come un racconto, che vuole essere esso stesso una “profezia”.
Per meglio comprendere il senso di questa affermazione, è opportuno chiarire sin da principio cosa vogliamo indicare con il termine “profezia”. Essa non può essere compresa come un’attività assimilabile a quella dell’indovino o dell’astrologo. L’elemento fondamentale, che caratterizza l’esercizio della profezia, è dato dall’ascolto della Parola di Dio. Il profeta è innanzitutto una persona in ascolto della Parola di Dio, in quanto ha imparato a scoprire nella sua vita e negli avvenimenti della storia questa presenza viva ed operante di Dio.
Attraverso l’osservazione attenta degli avvenimenti della storia egli accetta di farsi interlocutore di questo Dio, che ha una parola da dire sulle vicende umane, conducendole verso un porto di salvezza. Il profeta si ritrova a dire una parola o a compiere delle azioni, che sono il frutto di questa obbedienza a Chi ha preso l’iniziativa nella sua vita. Egli non parla da sé, ma dice ciò che ha ascoltato, avendo ben chiaro che, se venisse meno al suo compito, dovrebbe rispondere del fallimento del suo popolo davanti a Dio.
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La Parola che irrompe su Giona è Parola di resurrezione. C’è una situazione di sonno, di immobilità, di paura e la Parola sopraggiunge per sconvolgere un mondo di abitudini e di pregiudizi e per risvegliare alla vita. Il profeta è risvegliato ed è anche inviato alla città, quella grande, perché questa città, che è il frutto della capacità degli uomini, ha costruito la sua grandezza su quella volontà di potenza, che si traduce in sbocchi disastrosi per la convivenza umana.
Dio non intende avallare un modo di stare al mondo, che sia fondato sulla prepotenza, che non sa produrre altro che una storia di dolore e di morte e proprio per questo scomoda coloro che confidano in Lui, perché siano pronti ad affrontare il mondo, proclamando, gridando che quella grandezza non fa salire a Dio “il soave profumo” di una vita donata, ma verso di Lui sale tutto il miasmo della “malvagità” degli uomini.
Dio è preoccupato della sorte degli uomini ed intende coinvolgere coloro che sono legati a Lui con il vincolo dell’Alleanza a non sottrarsi al compito di farsi carico di questa malvagità. Si tratta della stessa malvagità, di cui si parla in Gen. 6,5 a proposito del diluvio universale e dove è detto che “ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre”.
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