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mercoledì 24 ottobre 2012

"Quei cristiani dietro le sbarre" di don Virgilio Balducchi


Quei cristiani 
dietro le sbarre
di
don Virgilio Balducchi
(Ispettore generale dei cappellani delle carceri)

Da sempre, la società civile s’interroga sulla questione criminale e su quale sia la risposta giusta alla violazione delle leggi penali compiuta dai suoi membri. Nel pensiero cristiano e nella cultura teologica, nel corso della storia, si sono determinati complessi rapporti tra asserzioni teologiche e giustificazioni delle modalità punitive statuali, specie con riferimento all’idea di pena come “retribuzione” della colpa. 
Credo che la modalità ordinaria di concepire il rapporto colpa/pena, cioè la modalità retributiva, sia radicalmente agli antipodi del messaggio cristiano, perché l’idea che possa nascere un bene ritorcendo il male mi pare esattamente il contrario del concetto di giustizia che emerge dalla Bibbia nel suo insieme.
Amare, non punire 
Pensiamo al racconto drammatico di Abele e Caino: entrambi fanno l’esperienza del male e, a prescindere da qualsiasi pena, sperimentano che il male non costruisce. Spesso si veicola il messaggio che il male non si deve fare perché c’è Dio che punisce o perché un giudice ti mette in galera, ma in realtà il male non si deve fare perché di per sé non ti realizza come uomo. 
Che cosa fa Dio di fronte all’omicidio, a quest’uomo che si è posto in una condizione d’estraniazione da se stesso? Lo va a cercare, fa il primo passo verso di lui, gli fa prendere coscienza del male commesso, ma poi difende l’omicida dalla vendetta degli uomini. Per i credenti diventa giusto e produce giustizia chi, come Dio, ripete questo passo gratuito. 
Qui cogliamo l’aspetto più profondo del cristianesimo, quello che leggiamo sulla croce, nell’abisso del male: fare fino in fondo la volontà del Padre, cioè amare anche il proprio persecutore. Questo è fonte di giustizia e di salvezza: Dio libera dal male con il bene, amando non punendo. 
Ebbene, se il cuore del cristianesimo sta proprio in questo “sappi che è blasfemo pensare di produrre il bene con il male, sappi che l’unica fecondità sta nel bene”, allora, quando pensiamo alle forme giuridiche per intervenire sul male commesso, noi cristiani dobbiamo per primi chiederci non quale sia la pena che ritorce adeguatamente il male, ma quale sia la strada per trovare, di fronte al grave problema della criminalità, strumenti non vendicativi. 
Non possiamo rinunciare a domandarci come siano proponibili, anche alla cultura giuridica, le esigenze evangeliche dell’amore e del perdono.

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