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martedì 23 ottobre 2012

Per ricordare Pasquale Romano che ... "non era nel posto sbagliato nel momento sbagliato"... e per gridare: "Noi siamo più forti della camorra!!!"

Mi chiedo che Paese siamo diventati. Che Paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la propria fidanzata prima di una partita a calcetto, scende di casa e viene massacrato da una sventagliata di mitra. Che Paese è quello in cui i media considerano questa, tutto sommato, una notizia che può esser data in coda alle altre, e non la notizia principale, da dare per prima. Una delle tante. Quel ragazzo si chiamava Pasquale Romano: lo chiamavano Lino, ma nessuno ricorda già più il suo nome. 
Come è stato possibile assuefarsi a tutto questo? Forse si pensa che se accade lì, in terre di clan, è "normale"? È così? La democrazia nel mezzogiorno italiano è morta il 15 ottobre 2012, insieme a Lino Romano, e insieme a lui è stata seppellita ieri, dopo i funerali. Ed è morta non solo perché Lino è caduto innocente, ma perché per urlare che si trattava dell'ennesimo ragazzo innocente ucciso a sangue freddo e senza motivo, si è aspettato di capire a che famiglia appartenesse, chi fossero i suoi parenti. Ma perché - mi domando - se avesse avuto un lontano parente affiliato o coinvolto in fatti di camorra, sarebbe stato forse meno innocente? 
Ma è così che vincono le mafie: facendo credere che nessuno è innocente. Il messaggio che i clan vogliono far passare è che tutto appartiene a loro in maniera diretta o indiretta. Tutti fanno parte della loro logica, nessuno può dirsi immacolato. Tutti hanno un parente, un concittadino, un vicino di casa, tutti hanno fatto un lavoro per loro o hanno un amico che fa parte del Sistema. E allora magari nascere a Cardito, crescere a Secondigliano, andare a casa della propria fidanzata a Marianella, tutto sommato, diventa, nella coscienza nazionale, una sorta di colpa. Il retropensiero è: "Beh, però è normale che se vivi lì queste cose possano accadere". 
E invece non è così, non è naturale ed è un'aberrazione ragionare in questo modo. Lino Romano era una persona per bene.
"... Non era nel posto sbagliato nel momento sbagliato..."

Una domenica sera diversa, oltre 2000 le fiaccole che hanno attraversato il quartiere, oltre 2000 le voci che hanno gridato alla camorra “Noi non abbiamo paura. Giustizia per Lino”. Così i parroci di Piscinola, Scampia, Marianella e Chiaiano in prima fila al fianco di Rosanna Ferrigno, promessa sposa di Pasquale, hanno voluto rispondere ai colpi di pistola, che lunedì scorso hanno spezzato la vita del giovane Romano. Una risposta pacifica, fatta di parole, di denunce, di voglia di riscatto. Prima gli applausi poi le parole, forti, di chi vuole cambiare. Ci ha pensato il decano Don Francesco Minervino che ha voluto ribadire con forza che” noi non abbiamo paura di chi semina il terrore” e ha proseguito lanciando un duro monito alla politica che da molti anni nonostante le denunce “qui non cambia nulla, qui la campagna elettorale è sempre accesa, ogni politico locale cerca palcoscenici”. Ma non solo, Don Minervino ha tirato in ballo anche “l’altra Napoli” quella parte di popolazione insensibile ai temi di questa periferia sventrata ma che utilizza “per compare la droga. Questa zona è ferita. Lo diciamo anche a quei professionisti che in qualche modo vengono qui a sostenere la camorra: liberateci da questa piaga. Noi, anche quando le fiaccole si saranno spente, saremo ancora qui”. 

"Noi siamo più forti della camorra!"

Pasquale Romano, lo abbiamo ucciso noi tutti.
Noi indifferenti; noi che paghiamo il pizzo ai camorristi; noi che ci comportiamo da sudditi e pensiamo che il Diritto sia un favore; noi che lecchiamo il sedere ai politici collusi con la camorra in cambio di 50 euro o che elemosiniamo l'aiutino di questi ultimi per costruire abusivamente; noi omertosi; noi che ci candidiamo in liste costruite ad hoc, per portare voti ai camorristi (lasciando che s'impossessino delle nostre città); noi che facciamo finta che la camorra non esista e ci giriamo dall'altra parte.
NOI CHE CONSENTIAMO ALLA CAMORRA DI ESISTERE. Noi che ci teniamo "in casa" i latitanti che comandano sulla vita e sulla morte di tutti, che non è mai una "guerra tra altri".
Nella fiaccolata che si è tenuta il 18 ottobre in piazza Marianella si è gridato ancora una volta e sempre più forte: 
"FUORI, LA CAMORRA!!! 
QUESTA TERRA NON VI APPARTIENE!!!