XXIX Domenica - Tempo Ordinario - Anno B
LETTURE: Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45
Questo brano di vangelo è di quelli che abbiamo ascoltato e riascoltato chissà quante volte. Perciò è a rischio del micidiale: “Questa la so”. Cerchiamo di accoglierlo in modo non usuale, entrando dentro ai sentimenti che il racconto non descrive ma lascia immaginare.
“Si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo”.
Quel “si avvicinarono” ci fa intuire un comportamento che conosciamo bene: un insieme complesso di movimenti astuti e circospetti per cogliere il momento opportuno, l’occasione furba per arrivare prima degli altri a chi può fare un favore, senza che gli altri se ne accorgano. È il percorso della raccomandazione (nell’evangelista Matteo, questo è anche più chiaro, perché i due mandano avanti la madre, Mt 20,20). Gesù aveva annunciato ciò che gli sarebbe capitato a Gerusalemme. I Dodici non avevano capito e non volevano capire. I figli di Zebedeo, però, avevano intuito che, comunque, stava per succedere qualcosa di grosso, di definitivo, e che la loro vicenda stava per arrivare alla conclusione. Adesso era il momento di intervenire. Si avvicinano e Gesù e cosa chiedono? “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
L’esperienza quotidiana ci mette continuamente davanti agli occhi, sia nei media, sia nel nostro vissuto quotidiano, persone che sgomitano, che sgambettano, che cercano vie tortuose per scavalcare la fila. Tutti i giorni i giornali e i telegiornali ci informano di gente disposta a tutto pur di arrivare a conquistare una poltrona “alla destra o alla sinistra” di qualcuno che conta. Comprendiamo perciò al volo cosa si agita nel cuore dei figli di Zebedeo: è la ricerca del potere, l’ansia di arrivare prima degli altri, più in alto degli altri, in modo da poterli guardare dall’alto in basso.
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L’indignazione e la testimonianza di don Tonino Lasconi
Qualche giorno fa ho incontrato un ragazzo che mi ha raccontato di una esperienza molto forte che lo ha segnato: il cammino di Santiago.
Lui si definisce credente ma non praticante, e dicendolo quasi si scusava con me, come se avesse vergogna di dirlo ad un prete. Mi ha colpito il racconto che lui ha fatto di questo pellegrinaggio a piedi durato circa un mese e mezzo e che lo ha portato da Verona a Santiago di Compostela, luogo che fin dal medioevo è meta di milioni di pellegrini, che intraprendono un viaggio che è fisico e spirituale insieme.
Questo giovane di 27 anni mi ha descritto la fatica del lungo viaggio fatto in solitaria, reso ancora più difficoltoso dalle condizioni meteorologiche non amiche e anche da problemi fisici che appesantivano ancora di più il cammino. Eppure, nonostante tutto questo, conserva il ricordo di una esperienza spirituale profondissima, avendo toccato fino in fondo la propria fragilità umana e insieme la pace interiore che, secondo lui, solo da Dio poteva venirgli.
Posso dire che questa sua esperienza ha toccato anche me, e mi ha fatto capire ancora di più la pagina del Vangelo di questa domenica.
Qui i discepoli Giovanni e Giacomo, manifestano tutta la loro incapacità di capire veramente cosa significa stare con Gesù. Per loro, stare dalla parte di Gesù Messia significa gloria e potere. Gesù invece li riporta alla realtà della sua esperienza. Stare con lui è scendere da ogni possibile piedistallo e sicurezza che noi o altri ci possono mettere, e iniziare un cammino di abbassamento che porta al servizio, al dare la vita e persino a perdere la vita (il calice da bere è la sofferenza e il battesimo di cui parla Gesù è il suo martirio sulla croce).
Stare con Gesù non è salire in alto, ma scendere in basso. Ma proprio in questo scendere fino dove siamo più fragili e fin dove l’umanità è fragile e debole, proprio li incontriamo Dio.
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Verso Il Basso Per Andare In Alto di don Giovanni Berti