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venerdì 6 aprile 2012

"La passione d’amore di Gesù, il Servo crocifisso" di Enzo Bianchi

Tutte le testimonianze scritte sulla fine della vita terrena di Gesù sono concordi nel dichiarare che egli è morto in croce. Per la Scrittura questa è la morte del maledetto da Dio («Maledetto chi pende dal legno»: Dt 21,23; Gal 3,13), appeso tra cielo e terra perché rifiutato da Dio e dagli uomini.
Gesù, un galileo che aveva radunato attorno a sé una comunità di pochi uomini e alcune donne coinvolti nella sua vita itinerante, ritenuto rabbi e profeta da questi discepoli e da un numero più ampio di simpatizzanti, è stato condannato e messo a morte mediante la crocifissione a Gerusalemme, il 7 aprile dell’anno 30. Questa fine fallimentare è subito apparsa uno scandalo, «lo scandalo della croce» (cf. 1Cor 1,23), un grave ostacolo per la fede in Gesù, specialmente quando si cominciò a confessarlo Messia di Israele e Figlio di Dio. Ecco perché, ancora all'inizio del II secolo d.C., il giudeo rabbi Tarfon afferma nel dialogo con il cristiano Giustino: «Noi sappiamo che il Messia deve soffrire, ma che debba essere crocifisso e morire in un modo così vergognoso, non possiamo neppure arrivare a concepirlo».
Eppure per l’autentica fede cristiana è proprio il crocifisso colui che «ha raccontato Dio» (cf. Gv 1,18); anche sulla croce, anzi soprattutto sulla croce, Gesù «ha reso testimonianza alla verità» (cf. Gv 18,37), trasformando uno strumento di esecuzione capitale nel luogo della massima gloria. Ma com'è stato possibile che un uomo appeso a una croce diventasse colui sul quale i cristiani tengono fissi lo sguardo come Salvatore e Signore?