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venerdì 7 novembre 2025

Per accompagnare e sostenere l’amore a Maria e la fiducia nella sua intercessione materna - La Nota dottrinale «Mater Populi fidelis»

Maurizio Gronchi *

La Nota dottrinale «Mater Populi fidelis»

Per accompagnare
e sostenere l’amore a Maria
e la fiducia nella sua intercessione materna


di Maurizio Gronchi*

Il 7 ottobre scorso, memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario, il Santo Padre Leone XIV ha approvato la Nota dottrinale Mater Populi fidelis, su alcuni titoli mariani, in riferimento alla cooperazione di Maria nell’opera della salvezza. Come spiega il cardinale prefetto nella Presentazione, il documento «chiarisce in che senso sono accettabili o meno alcuni titoli ed espressioni riferiti a Maria, allo stesso tempo si propone di approfondire i corretti fondamenti della devozione mariana, precisando il posto di Maria nella sua relazione con i fedeli, alla luce del mistero di Cristo quale unico Mediatore e Redentore. Ciò implica una fedeltà profonda all’identità cattolica e, allo stesso tempo, un particolare sforzo ecumenico». Il testo offre un ampio sviluppo biblico, attinge al ricco patrimonio dei Padri, dei Dottori della Chiesa e degli ultimi Pontefici, con il proposito «di accompagnare e sostenere l’amore a Maria e la fiducia nella sua intercessione materna».

Origine e finalità del documento (nn. 1-3)

Composta da 80 numeri, la Nota si articola in una Introduzione e quattro capitoli, dedicati ai titoli mariani: Corredentrice, Mediatrice, Madre dei credenti, Madre della grazia. Il titolo è tratto da sant’Agostino — Mater Populi fidelis —, e richiama un’espressione cara anche a Papa Francesco. Già questo è un segno della continuità tra il precedente pontificato, lungo il quale il documento è stato elaborato, e l’attuale, con l’approvazione di Leone XIV, il quale ne ha seguito l’iter in modo attivo, in quanto già membro del Dicastero per la Dottrina della Fede (come attesta la delibera del Dicastero nella Sessione ordinaria del 26 marzo 2025).

La secolare devozione popolare ha sempre cercato appellativi e titoli con i quali rendere onore alla Vergine Maria — talvolta ripresi anche da alcuni Padri —, che tuttavia «non sempre si utilizzano con precisione; a volte viene cambiato il loro significato oppure vengono fraintesi. Al di là dei problemi terminologici, alcuni titoli presentano importanti difficoltà relativamente al contenuto, dal momento che con frequenza ne deriva un’errata comprensione della figura di Maria» (n. 2).

Proprio per aiutare i fedeli, in modo particolare coloro che hanno una fede semplice e nutrono sincero affetto filiale verso la Vergine Maria, questa Nota si propone di chiarire la sua figura in rapporto a Cristo e alla Chiesa. Come dicevano i Padri, anche in Maria si riflette il mysterium lunae, per il quale Cristo è il sole e la Chiesa risplende di luce riflessa come la luna1; così vediamo brillare sul volto di Maria lo splendore del Figlio, che la ricolma della grazia trinitaria e ce la dona come madre.

Ciò che qui interessa mostrare, senza pretesa di esaustività, è la corretta associazione di Maria all’opera salvifica di Cristo, alla luce del principio della “gerarchia delle verità” (UR 11) indicato dal Concilio Vaticano II: al fine di «mantenere il necessario equilibrio che, all’interno dei misteri cristiani, deve stabilirsi tra l’unica mediazione di Cristo e la cooperazione di Maria all’opera della salvezza, e desidera mostrare anche come questa si esprime in diversi titoli mariani» (n. 3).

La preziosa indicazione sulla hierarchia veritatum — inserita nello schema de oecumenismo, divenuta poi decreto conciliare Unitatis redintegratio — venne dall’intervento di monsignor Andrea Pangrazio, vescovo di Gorizia-Gradisca, il 25 novembre 1963, dove egli distingueva: «Ci sono alcune verità che appartengono all’ordine di fine: per esempio il mistero della Santissima Trinità, dell’Incarnazione del Verbo e della Redenzione […]. Ci sono poi altre verità che riguardano l’ordine dei mezzi di salvezza, per esempio le verità circa il numero settenario dei sacramenti […]»2.

Per quanto riguarda il ruolo della Vergine Maria nell’economia della salvezza, il Concilio è chiaro circa la sua funzione nell’ordine dei mezzi: «Ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia» (LG 61). Dunque, nell’ordine delle verità cristiane, ai misteri principali della fede — la Trinità e l’evento salvifico di Cristo — è collegata, in modo subordinato, la cooperazione della Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, attraverso la sua intercessione materna.

Il quadro di riferimento principale (nn. 4-15)

«La cooperazione di Maria nell’opera di salvezza» è il quadro di riferimento principale del discorso. Si tratta di illustrare gli aspetti mariologici alla luce dell’evento salvifico cristologico-trinitario: ci si chiede come Maria abbia preso parte alla dimensione oggettiva della Redenzione, per poi considerare la sua attuale influenza sui redenti (cfr. n. 4). Si parte dalla Sacra Scrittura, tra promessa e compimento, poiché «la maternità di Maria nei nostri confronti fa parte del compimento del piano divino che si realizza con la Pasqua del Cristo» (n. 6).

Un elemento di novità è rappresentato dalla considerazione di Maria come “testimone privilegiato” dei fatti attestati dai Vangeli: «Fra questi testimoni oculari risalta Maria, protagonista diretta del concepimento, della nascita e dell’infanzia del Signore Gesù» (n. 7), della passione e della Pentecoste. Si tratta di un aspetto perlopiù trascurato dall’esegesi neotestamentaria, che esita a riconoscere l’effettivo valore di Maria tra i testimoni della narrazione evangelica, in particolar modo lucana.

Nei primi secoli del cristianesimo, il contributo dei Santi Padri si interessò ad alcune verità mariologiche: la divina maternità, la verginità perpetua, la perfetta santità, concentrandosi sul mistero dell’Incarnazione, resa possibile dal “sì” di Maria. Sant’Agostino parlava della Vergine “cooperatrice” nella Redenzione, in quanto subordinata a Cristo, «affinché nascano “nella Chiesa i fedeli” e, per questo, la possiamo chiamare Madre del Popolo fedele» (n. 9).

Nell’Oriente cristiano, lungo il primo millennio, fu soprattutto la liturgia a celebrare la Vergine Maria, nell’innografia, l’iconografia, la pietà popolare, «con un linguaggio colmo di simbolismo poetico, capace di esprimere lo stupore e la meraviglia di coloro che, essendo della stessa stirpe di Maria, contemplano i prodigi che l’Onnipotente ha operato in lei» (n. 10). Così pure, i primi concili ecumenici di Efeso (431) e di Calcedonia (451) affermarono la divina maternità di Maria, intorno alla quale avvenne una traduzione visiva dei titoli cari alla pietà popolare (cfr. n. 11). Nella teologia occidentale, a partire dal XII secolo, lo sguardo su Maria si concentra sul mistero della Croce: ella è associata al sacrificio di Cristo da autori come San Bernardo di Chiaravalle e Arnaldo di Bonneval (cfr. n. 12).

Il Magistero della Chiesa, grazie al contributo dei vari Pontefici, anche prima del Concilio Vaticano II ha sempre riconosciuto la partecipazione attiva della Madre all’opera salvifica del Figlio. Il dogma dell’Immacolata Concezione contribuì a evidenziare come, grazie alla «speciale condizione di “prima redenta” da Cristo e di “prima trasformata” dallo Spirito Santo, Maria può cooperare più intensamente e profondamente con Cristo e con lo Spirito» (n. 14).

In sintesi, possiamo dire che «La collaborazione di Maria all’opera della salvezza ha una struttura trinitaria» (n. 15): è frutto dell’iniziativa del Padre, scaturisce dalla kenosis del Figlio, è frutto della grazia dello Spirito Santo. Come insegnava san Paolo VI: «nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da Lui dipende» (ibid.); tuttavia, la sua maternità non fu solo biologica, ma pienamente attiva, tale da unirla intimamente al mistero salvifico di Cristo.

Corredentrice (nn. 17-22)

All’interno di questo quadro di riferimento, la Nota prende in esame alcuni titoli con i quali è invocata Maria, specialmente in relazione alla sua cooperazione all’opera salvifica di Cristo. Sebbene già nel X secolo Maria fosse chiamata Redentrice, il titolo venne corretto con quello di Corredentrice, nell’inno di un anonimo benedettino del XV secolo a Salisburgo. «Anche se la denominazione Redentrice si era conservata per i secoli XVI e XVII, questa scomparve completamente nel XVIII secolo per essere sostituita con Corredentrice» (n. 17).

Nonostante il titolo intenda sottolineare la divina maternità di Maria che ha reso possibile la redenzione e la sua unione con Cristo sotto la croce, la problematicità di questo appellativo appare evidente, da diversi punti di vista. «Alcuni Pontefici hanno impiegato questo titolo senza soffermarsi a spiegarlo. [...] Il Concilio Vaticano II evitò di impiegare il titolo di Corredentrice per ragioni dogmatiche, pastorali ed ecumeniche» (n. 18). Fu soprattutto il voto del cardinale Joseph Ratzinger, nella Feria IV del 2 febbraio 1996, a rispondere alla richiesta della definizione del dogma di Maria Corredentrice o Mediatrice: «Negative. Il significato preciso dei titoli non è chiaro e la dottrina ivi contenuta non è matura. [...] Ancora non si vede in modo chiaro come la dottrina espressa nei titoli sia presente nella Scrittura e nella tradizione apostolica» (n. 19).

Nel 2002, in modo ancora più netto, Ratzinger vedeva nel titolo l’uso di una “terminologia sbagliata”, sostenendo pubblicamente che: «La formula “Corredentrice” si allontana troppo dal linguaggio della Scrittura e della patristica e quindi causa malintesi... Tutto viene da Lui, come affermano soprattutto le Lettere agli Efesini e ai Colossesi. Maria è ciò che è grazie a Lui. Il termine “Corredentrice” ne oscurerebbe l’origine» (ibid.). Più recentemente, «Papa Francesco ha espresso, in almeno tre circostanze, la sua posizione chiaramente contraria all’uso del titolo di Corredentrice, sostenendo che Maria “non ha mai voluto prendere per sé qualcosa di suo Figlio. Non si è mai presentata come co-redentrice. No, discepola”» (n. 21).

La conclusione della Nota, dunque, è chiara e netta, alla luce della hierarchia veritatum, per la quale uno solo è il Redentore: «Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell’opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può generare confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana» (n. 22).

Mediatrice (nn. 23-33)

Il titolo di Mediatrice, utilizzato dai Padri orientali dal VI secolo, divenne più frequente in Occidente dal XII secolo. «Tuttavia, il Concilio non entrò in dichiarazioni dogmatiche e preferì offrire un’estesa sintesi circa “la dottrina cattolica sul posto che si deve attribuire alla Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa”» (n. 23). A questo proposito, merita sottolineare la scelta conciliare di collocare la mariologia all’interno del rapporto tra la cristologia e l’ecclesiologia, nel capitolo VIII di Lumen gentium.

La fede cristiana ha custodito da sempre la verità rivelata della mediazione unica ed esclusiva di Cristo (cfr. 1Tim 2,5-6): «a Lui è unita ipostaticamente l’umanità che Egli ha assunto. Tale posto è esclusivo della sua umanità e le conseguenze che da esso derivano possono applicarsi solamente a Cristo» (n. 24). Di conseguenza, il termine “mediazione” «viene inevitabilmente applicato a Maria in senso subordinato e non pretende in alcun modo di aggiungere alcuna efficacia o potenza all’unica mediazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo» (n. 25). Lo stesso Concilio Vaticano II «preferì usare una terminologia differente, incentrata sulla cooperazione o sul soccorso materno» (n. 27), proprio per ribadire l’unica mediazione di Cristo.

Tuttavia, occorre «ricordare che l’unicità della mediazione di Cristo è “inclusiva”, cioè Cristo rende possibile diverse forme di mediazione nel compimento del suo progetto salvifico» (n. 28). Essa, infatti, «suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte» (LG 62); ora tale “mediazione partecipata” dev’essere approfondita (cfr. DI 14). Grazie agli effetti dell’evento pasquale di Cristo, ai credenti è donata la grazia di collaborare alla sua opera salvifica: da loro sgorgano “fiumi di acqua viva” (Gv 7, 37-39). «Vale a dire, i credenti stessi, trasformati dalla grazia di Cristo, si convertono in sorgenti per gli altri» (n. 31).

Quando ci si riferisce alla mediazione di Maria, non si tratta dei suoi meriti, ma di ciò che la grazia della Trinità ha operato in lei; seppur in modo singolare, ella sta dalla parte delle creature, dei discepoli, dei credenti. «Quando ci sforziamo di attribuirle funzioni attive, parallele a quelle di Cristo, ci allontaniamo da quella bellezza incomparabile che le è propria. L’espressione “mediazione partecipata” può esprimere un senso preciso e prezioso del posto di Maria, ma se non compresa adeguatamente potrebbe facilmente oscurarlo e persino contraddirlo» (n. 33).

Madre dei credenti (nn. 34-44)

Alla luce della testimonianza evangelica, vediamo come intendere precisamente la mediazione di Maria: essa «si realizza in forma materna, esattamente come fece a Cana e come venne ratificata sotto la Croce» (n. 34). «Questa maternità spirituale di Maria scaturisce dalla maternità fisica del Figlio di Dio» (n. 35), tale da renderla modello della Chiesa (cfr. H.U. von Balthasar). Anzi, la Madre di Dio diviene non solo madre dei discepoli di Cristo, ma anche madre di tutti gli esseri umani (cfr. n. 37). Nella patristica orientale, infatti, Maria veniva appellata anche come “nuova Eva”.

La sua intercessione, perciò, «non è quella di una mediazione sacerdotale, come quella di Cristo, ma si situa nell’ordine e nell’analogia della maternità. [...] La cooperazione materna di Maria è in Cristo, e quindi è partecipata, [...] in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia» (n. 37). In questa prospettiva, è necessario prendere netta distanza dall’idea che Maria venga a interporsi tra Dio e l’umanità, come una sorta di “parafulmine”.

«Nella sua maternità, Maria non è un ostacolo posto tra gli esseri umani e Cristo; al contrario, la sua funzione materna è indissolubilmente legata a quella di Cristo e orientata a Lui. […] Bisogna quindi evitare titoli ed espressioni riferiti a Maria che la presentino come una specie di “parafulmine” di fronte alla giustizia del Signore, come se Maria fosse un’alternativa necessaria all’insufficiente misericordia di Dio» (ibid.).

Dunque, la Chiesa impara da Maria la propria maternità. Come ha ricordato Leone XIV: «La fecondità della Chiesa è la stessa fecondità di Maria; e si realizza nell’esistenza dei suoi membri nella misura in cui essi rivivono, “in piccolo”, ciò che ha vissuto la Madre, cioè amano secondo l’amore di Gesù» (Omelia nel Giubileo della Santa Sede, 9 giugno 2025). Colei che è stata “ricolmata di grazia” (kecharitōmenē, Lc 1, 28), e divenuta Madre di Dio, ora è Madre della Chiesa, e «continua ad accompagnare le nostre preghiere con la sua materna intercessione» (n. 41).

Il popolo fedele di Dio fa esperienza della sua vicinanza materna specialmente nei santuari mariani. L’esempio della Vergine morena di Guadalupe ne è un chiaro segno, con le espressioni rivolte a san Juan Diego: «Non sono forse qui, io, che sono tua madre? [...] Non sei forse nell’incavo del mio mantello, nella piega delle mie braccia?» (n. 43).

Madre della grazia (nn. 45-75)

Al titolo “Madre della grazia”, riferito a Maria, la Nota dottrinale dedica un particolare approfondimento. Pur ammettendo «un’azione di Maria anche in relazione alla nostra vita di grazia» (n. 45), si debbono evitare espressioni secondo le quali essa possa essere considerata «un deposito di grazia separato da Dio […] o immaginata come una fonte da cui sgorga ogni grazia» (ibid.). Anche in questo caso, vale la posizione del cardinale Ratzinger, secondo il quale «il titolo di Maria mediatrice di tutte le grazie non era chiaramente fondato sulla divina Rivelazione» (ibid.).

La maternità di Maria nell’ordine della grazia, invece, è “dispositiva”, per il suo carattere di intercessione e di protezione materna, ovvero ella «ci aiuta a disporci alla vita di grazia che solo il Signore può infondere in noi» (n. 46). Su questo punto il documento insiste a più riprese: la grazia santificante, che permette l’inabitazione trinitaria e l’amicizia con Dio, solo il Signore la concede in modo assolutamente immediato (cfr. nn. 50-51). Come insegna san Tommaso d’Aquino: «Solo Dio può donare la grazia e lo fa per mezzo dell’umanità di Cristo, dal momento che “Cristo-Uomo detiene la pienezza di grazia in quanto unigenito del Padre”» (n. 53).

Da questo dato fondamentale consegue che la grazia non giunge per gradi, né attraverso distinti intermediari. Poiché la cooperazione di Maria consiste nella intercessione materna, non nella comunicazione della grazia (cfr. n. 54), «non si fa onore a Maria attribuendole una qualsiasi mediazione nel compimento di quest’opera esclusivamente divina» (n. 55). L’immagine biblica dei “fiumi di acqua viva”, che sgorgano dal cuore dei credenti (cfr. Gv 7, 38), è intesa unanimemente dai Padri e dai Dottori della Chiesa in senso dispositivo (cfr. nn. 57-61), il cui frutto è la carità, come canale di cooperazione con l’opera salvifica di Cristo (cfr. nn. 62-64).

Per chiarire ulteriormente la cooperazione di Maria all’opera della grazia vengono indicati tre criteri, attinti da Lumen gentium 60-63: a] Maria non è «strumento o causa seconda e perfettiva nella comunicazione della sua grazia» (n. 65); b] «non è lecito presentare l’azione di Maria come se Egli avesse bisogno di lei per operare la salvezza» (ibid.); c] «Se lei accompagna un’azione di Cristo, per opera dello stesso Cristo, in alcun modo deve essere intesa come mediazione parallela» (ibid.).

A proposito del titolo mariano Mediatrice di tutte le grazie appare evidente un limite fondamentale: «lei, che è la prima redenta, non può essere stata mediatrice della grazia da lei stessa ricevuta. Non si tratta di un dettaglio di poca importanza, perché rivela qualcosa di centrale: che, anche in lei, il dono della grazia la precede e procede dall’iniziativa assolutamente gratuita della Trinità, in previsione dei meriti di Cristo. Lei, come tutti noi, non ha meritato la propria giustificazione a motivo di alcuna sua azione precedente, né tantomeno di alcuna sua azione successiva» (n. 67).

«Il Concilio ha preferito chiamare Maria “Madre nell’ordine della grazia”» (n. 71), intendendo la sua intercessione materna come disposizione ad accogliere gli impulsi interiori dello Spirito Santo, ovvero le grazie attuali. Maria, come discepola, si è collocata tra gli umili e i poveri; «Per questo sant’Agostino diceva che “vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo”» (n. 73).

Infine, la Nota richiama un avvertimento presente nelle Norme per procedere nel discernimento dei presunti fenomeni soprannaturali: anche nel caso del Nihil obstat, «tali fenomeni non diventano oggetto di fede — cioè i fedeli non sono obbligati a prestarvi un assenso di fede» (n. 75). Il documento si conclude con il riferimento alla pietà popolare, particolarmente ai pellegrinaggi nei santuari mariani, dove il Popolo fedele invoca la sua intercessione e il suo amore, come ha ricordato papa Leone (cfr. nn. 76-80).

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1 Cfr. H. RAHNER, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Edizioni Paoline, Roma 1971, 267: «[…] nei supplementi di Tommaso di Chantimpré la luna è detta humorum mater e si allude a Maria Mater gratiarum».
2 ANDREAS PANGRAZIO, Archiepiscopus Goritiensis et Gradiscanus, in Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Volumen II, Periodus secunda, Pars VI, Congregatio generalis LXXIV, 25 novembris 1963, Typis Polyglottis Vaticanis 1973, 34.

Maurizio Gronchi Professore ordinario presso la Pontificia Università Urbaniana e consultore del Dicastero per la Dottrina della Fede
(fonte: L'Osservatore Romano 05/11/2025)

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Per approfondire
Leggi il testo integrale della Mater Populi fidelis