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mercoledì 5 novembre 2025

#luce e morte - Gianfranco Ravasi

#luce e morte 
Il Breviario laico 
di Gianfranco Ravasi


Il vero grande coraggio è quello di tenere gli occhi aperti a fissare la luce come la morte.

È noto che l’impressione luminosa persiste nell’occhio per un decimo di secondo ed è proprio su questa fugace persistenza che si regge la possibilità della visione dinamica dei film. Puntare più a lungo la pupilla su una luce potente, come quella solare, acceca. A questa sfida, in chiave simbolica, ci spinge quello straordinario scrittore francese che è stato Albert Camus. Nonostante la sua vita limitata, stroncata nel 1960 da un incidente a 47 anni, egli ha saputo spingere la folla dei suoi lettori a fissare lo sguardo su una serie di stelle nere, che trapuntano con un ossimoro il cielo dell’esistenza umana. In particolare, ha costretto il suo lettore a non girare altrove la faccia davanti al dolore innocente, all’assurdo della storia, al male di vivere e, appunto, alla morte. Già Platone sottolineava che «gli amanti della sapienza si interessano con passione del morire».

È paradossale: lo schermo televisivo è un incessante flusso di guerre, incidenti, delitti con relativi cadaveri; eppure parlare e pensare a questa ospite, il cui arrivo è certo per tutti, è un esercizio esorcizzato. Il filosofo inglese Francesco Bacone, vissuto a cavallo tra il Cinque e il Seicento, nei suoi Saggi osservava che «gli uomini temono la morte come i bambini hanno paura del buio e questo terrore è alimentato da favole e banalità». La metafora è antitetica a quella di Camus perché ora di scena è la tenebra, ma l’esito è lo stesso: evitare e ignorare quell’intrusa che, però, anche mentre tu leggi, sta bussando a qualche porta della tua città. E non schiverà, certo, in futuro la tua soglia di casa. Allora vale quello che scriveva un altro pensatore, Erich Fromm: «Morire è tremendo, ma l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile».

(Fonte:  “Il Sole 24 Ore - Domenica” - 2 novembre 2025)