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venerdì 14 novembre 2025

COP 30 - Vite in pericolo

Vite in pericolo

Il monito dell’Unicef alla Cop30 di Belém: circa un miliardo di bambini vivono in zone ad «altissimo rischio» per via dei cambiamenti climatici


Quasi la metà dei bambini del mondo vivono in Paesi «ad altissimo rischio» per gli effetti dei cambiamenti climatici. Dovrebbe scuotere le coscienze questo dato diffuso dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), in coincidenza con l’apertura dei lavori della Cop30 a Belém: circa un miliardo di bambini al mondo sono a rischio sopravvivenza a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Una vera emergenza globale se pensiamo anche agli sfollati il cui numero, come riconosciuto dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in un’intervista ai media vaticani prima dell’inizio della Cop in Brasile, «è più alto per quanto riguarda i cambiamenti climatici che non per i conflitti che sono in atto nel mondo». Un numero quantificato proprio in questi giorni dall’Unhcr in 250 milioni di sfollati per i fenomeni ambientali estremi negli ultimi dieci anni: in fuga dalle proprie case per i cataclismi 70.000 persone ogni giorno. Inoltre, entro il 2050, i 15 campi profughi più caldi del mondo — situati in Gambia, Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali — potrebbero sperimentare quasi 200 giorni di calore estremo all’anno, mettendo a rischio la salute e la sopravvivenza dei loro abitanti.

Unicef indica inoltre che un bambino su tre, ovvero 739 milioni nel mondo, vive in zone esposte a scarsità d’acqua elevata o molto elevata. E lo scorso anno quasi 250 milioni di studenti hanno subito interruzioni del loro percorso scolastico a causa di eventi meteorologici estremi. «Stiamo già assistendo a shock climatici sempre più frequenti, che mettono a rischio il futuro dei bambini», ha dichiarato Nicola Graziano, presidente di Unicef Italia. Senza interventi urgenti, Unicef prevede che nei prossimi 25 anni i cambiamenti climatici causeranno altri 28 milioni di casi di malnutrizione acuta e 40 milioni di casi di malnutrizione cronica.

Il cambiamento climatico, come nel caso degli sfollati, concorre con le guerre in una drammatica competizione anche nel provocare la fame nel mondo. A fare il paio con i dati di Unicef altri numeri diffusi dall’organizzazione umanitaria Cesvi: le condizioni climatiche estreme, in particolare siccità e inondazioni, nell’ultimo anno hanno spinto oltre 96 milioni di persone in 18 Paesi verso l’insicurezza alimentare acuta. Un dato più che triplicato rispetto ai 28,7 milioni del 2018. «La Cop30 rappresenta un’occasione decisiva per riaffermare la responsabilità collettiva di fronte a un rischio sistemico che incide sulla stabilità economica globale e sulla giustizia sociale e per fornire risposte concrete, coordinate e immediate», ha affermato il direttore generale di Cesvi, Stefano Piziali.

Gli eventi climatici estremi rappresentano la seconda principale causa scatenante della malnutrizione dopo le guerre. Spesso questi due fattori si sovrappongono, come nella Striscia di Gaza dove due anni di conflitto hanno causato danni ambientali senza precedenti, che richiederanno decenni per essere arginati. Attualmente — indica Cesvi — nella Striscia risultano danneggiati il 97,1 per cento delle colture arboree, l’82,4 per cento delle colture annuali, mentre l’89 per cento dei terreni erbosi o incolti e il suolo è contaminato da munizioni, rifiuti solidi e acque reflue non trattate. Una situazione che rende impossibile la produzione di cibo su larga scala ed espone a gravi rischi di alluvione. La situazione è drammatica anche sul fronte idrico: le riserve di acqua dolce sono estremamente limitate e gran parte di ciò che rimane è inquinato.

La crisi ambientale ormai è strutturale: solo nel 2024 si sono verificati 393 disastri naturali, che hanno causato oltre 16.000 vittime. In questo scenario, il Corno d’Africa e il Pakistan rappresentano due dei casi più gravi: territori duramente colpiti da eventi climatici estremi, dove siccità prolungate e alluvioni devastanti stanno alimentando una spirale di malnutrizione e vulnerabilità sociale che minaccia milioni di vite.

Il Corno D’Africa ha registrato cinque stagioni consecutive di mancate piogge, la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, con effetti devastanti in Etiopia, Kenya e Somalia. Lo scorso anno quasi 50 milioni di persone nell’area hanno sofferto di insicurezza alimentare acuta.

Il Pakistan — dopo le esondazioni che nel 2022 hanno sommerso un terzo del Paese e colpito più di 33 milioni di persone, e le successive alluvioni del 2023 — quest’anno è stato nuovamente messo in ginocchio da fenomeni meteorologici estremi: una violentissima stagione monsonica ha colpito quasi 7 milioni di persone colpite causando circa mille vittime. A peggiorare la situazione, temperature superiori ai 45°C e periodi prolungati di siccità hanno ridotto la disponibilità di acqua e alimenti, aggravando la crisi agricola. Gli effetti combinati di eventi climatici estremi, povertà diffusa e servizi di base fragili hanno alimentato una crisi nutrizionale di lunga durata: oggi il 40 per cento dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica e quasi 12 milioni di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare acuta. (valerio palombaro)

Leggi anche:
(fonte: L'Osservatore Romano 11 novembre 2025)

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Vedi anche il post precedente (all'interno altri link):



#Il successo - Gianfranco Ravasi

#Il successo
di Gianfranco Ravasi


Sostenere che i nostri successi ci sono impartiti dalla Provvidenza e non dall’astuzia, è un’astuzia di più per aumentare ai nostri occhi l’importanza di questi successi.

È il 4 novembre 1938 quando Cesare Pavese scrive questa annotazione nel suo diario, edito poi col titolo Il mestiere di vivere, e la sua è un’osservazione acuta che punta a demolire una non rara ipocrisia. È facile, infatti, esaltare l’esito positivo di una nostra opera, assegnandola alla benevolenza divina che sostiene e suggella il nostro agire. In verità, si tratta della falsa umiltà, una degenerazione morale che alligna in tanti e che suscitava indignazione anche in Cristo, implacabile con quelli che amavano essere riveriti e avere i primi posti, ma al tempo stesso ostentavano una modestia esteriore. Noi, però, vorremmo porre l’accento proprio sul successo, un idolo a cui si è pronti a sacrificare tutto. Già nel V sec. a.C. il tragico greco Eschilo nelle sue Coefore non esitava a coniare questa definizione: «Il successo tra i mortali è un dio, anzi, più di un dio».

Napoleone, che sul tema era un esperto e che alla fine avrebbe sperimentato anche la fragilità di questa divinità, stando allo scrittore Honoré de Balzac, faceva notare che un trono visto nella sua parte posteriore altro non è che un assemblaggio di legni. Eppure, la superbia, che è sempre in agguato nell’anima di tutti, proietta mente e cuore verso quella meta, considerata come una fonte suprema di felicità. Ed è così che la caduta diventa più drammatica. Ritorniamo ancora all’antica sapienza classica, con la morale di una delle favole di Esopo (siamo nel VII-VI sec. a.C.): «La bramosia degli onori turba la mente umana e oscura la visione dei pericoli». Non si vuole certo condannare il merito, ma è sempre necessario essere capaci di autocritica e di realismo. La grande dignità di una persona, quando è sulla cresta dell’onda, è il ricordo del monito del profeta Ezechiele al re di Tiro:
 «Tu sei un uomo e non un Dio!» (28,3).

(Fonte: “Il Sole 24 Ore - DOMENICA”  del 9 novembre 2025)

giovedì 13 novembre 2025

Tonio Dell'Olio:Cop 30 il pianeta non può attendere

Tonio Dell'Olio
 
Cop 30 il pianeta non può attendere


PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  12 NOVEMBRE 2025

In risposta ai negazionisti ambientali che ora godono di rappresentazioni ai più alti livelli, gli organizzatori della Cop 30 di Belem l’hanno battezzata “La Cop della verità”.

Se è vero che i Paesi che subiscono le conseguenze più tragiche dei cambiamenti climatici sono nel Sud del mondo e che la classifica si apre con Repubblica Dominicana, Myanmar e Honduras, è vero anche che al 16° posto della classifica con il maggior numero di eventi estremi, figura l’Italia (la Francia 12° e gli Usa al 18° posto). Si calcola che “dal 1995, l’emergenza climatica ha fatto 830mila vittime e causato danni per 4.500 miliardi di dollari diretti, al netto dell’inflazione” – ci riferisce Lucia Capuzzi, inviata di Avvenire a Belem. 

Il miglior commento alla clamorosa assenza dell’amministrazione Trump l’ha fornita Ignacio Lula nel discorso d’apertura: “197-1 non fa zero”. In effetti i Paesi che aderiscono sono 197 e quelli presenti 170. Sul piatto della bilancia valgono più dei soli Stati Uniti e dei suoi cortigiani più stretti. 

Sono segni di qualche speranza che deve tradursi in impegni perseguibili e verificabili al di là delle dichiarazioni altisonanti. Vedremo nei prossimi giorni se si riuscirà a far qualcosa per salvare il pianeta.

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Per approfondire leggi anche:
e il nostro post precedente:

Leone XIV: "la fraternità non è un sogno impossibile. Ci libera da egoismi, odio e prepotenze" Udienza 12/11/2025 (commento/sintesi, testo e video)

LEONE XIV
UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 novembre 2025


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Il Papa: la fraternità non è un sogno impossibile.
Ci libera da egoismi, odio e prepotenze

Leone XIV nella catechesi dell’udienza generale sottolinea quanto la fraternità, "una delle più grandi sfide dell'umanità", non sia scontata, né immediata e le "tante guerre sparse nel mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero dimostrare il contrario". Credendo a Cristo risorto, sottolinea il Pontefice, si sperimenta l'essere fratelli e si impara a vivere secondo il comandamento dell’amore

Folla di fedeli all'udienza generale (@Vatican Media)

La fraternità donata da Cristo morto e risorto ci libera dalle logiche negative degli egoismi, delle divisioni, delle prepotenze, e ci restituisce alla nostra vocazione originaria, in nome di un amore e di una speranza che si rinnovano ogni giorno. Il Risorto ci ha indicato la via da percorrere insieme a Lui, per sentirci ed essere “fratelli tutti”.

Nella Resurrezione di Gesù si diventa testimoni, come i discepoli, di una storia nuova nella quale cresce la fraternità. È il concetto al cuore della catechesi di Papa Leone XIV nell’udienza generale di mercoledì 12 novembre, in Piazza San Pietro, preceduta da un lungo giro in papamobile nel quale ha salutato i 40 mila fedeli e abbracciato diversi bambini. Proseguendo il ciclo giubilare “Gesù Cristo nostra speranza” e dedicando la sua riflessione al tema “La spiritualità pasquale anima la fraternità. ‘Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi’", il Pontefice sottolinea come “credere nella morte e risurrezione di Cristo e vivere la spiritualità pasquale infonde speranza nella vita e incoraggia a investire nel bene”.

Le guerre, il contrario della fraternità

“Omnes frates. Fratelli tutti”: era il saluto con cui san Francesco si rivolgeva alle persone al di là delle provenienze geografiche e culturali, religiose e dottrinali. Papa Leone invita a riscoprirne il senso nella catechesi sottolineando che il saluto del santo di Assisi “poneva sullo stesso piano tutti gli esseri umani, proprio perché li riconosceva nel comune destino di dignità, di dialogo, di accoglienza e di salvezza”. L’approccio del poverello di Assisi, aggiunge il Papa, è stato ripreso poi da Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti perché la fraternità rappresenta “una delle grandi sfide per l’umanità contemporanea” che nasce dalla capacità di costruire relazioni e legami autentici, che libera dal narcisismo e dal vedere nell’altro “qualcuno da cui prendere, senza che siamo mai disposti davvero a dare, a donarci”.

Sappiamo bene che anche oggi la fraternità non appare scontata, non è immediata. Molti conflitti, tante guerre sparse nel mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero anzi dimostrare il contrario. Tuttavia, la fraternità non è un bel sogno impossibile, non è un desiderio di pochi illusi.

“Fratello”

La radice della fraternità è la luce che arriva da Cristo, il solo che “ci libera dal veleno dell’inimicizia” anche nelle relazioni più strette tra parenti e consanguinei, evidenzia Leone XIV, si può insinuare la frattura e l’odio.

La parola “fratello” deriva da una radice molto antica, che significa prendersi cura, avere a cuore, sostenere e sostentare. Applicata a ogni persona umana diventa un appello, un invito.

Il comandamento di Gesù

Quel “Fratelli tutti” di san Francesco è “il segno accogliente di una fraternità universale”, dice il Papa, “un tratto essenziale del cristianesimo, che sin dall’inizio è stato l’annuncio della Buona Notizia destinata alla salvezza di tutti, mai in forma esclusiva o privata”.

Questa fraternità si basa sul comandamento di Gesù, che è nuovo in quanto realizzato da Lui stesso, compimento sovrabbondante della volontà del Padre: grazie a Lui, che ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, noi possiamo a nostra volta amarci e dare la vita per gli altri, come figli dell’unico Padre e veri fratelli in Gesù Cristo.

Credere nella Resurrezione per diventare testimoni

Gesù, vicino alla fine, sperimenta il supplizio più terribile e l’abbandono, soggiunge il Pontefice, ma è proprio nella sua Risurrezione che inizia una storia nuova nella quale “i discepoli diventano pienamente fratelli” perché lo riconoscono come il Risorto, “ricevono il dono dello Spirito e ne diventano testimoni”.

Il giro di Leone XIV in papamobile (@Vatican Media)

(fonte: Vatican News, articolo di Benedetta Capelli 12/11/2025)

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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 4. La spiritualità pasquale anima la fraternità. “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cfr Gv 15,12)


Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Credere nella morte e risurrezione di Cristo e vivere la spiritualità pasquale infonde speranza nella vita e incoraggia a investire nel bene. In particolare, ci aiuta ad amare e alimentare la fraternità, che è senza dubbio una delle grandi sfide per l’umanità contemporanea, come ha visto chiaramente Papa Francesco.

La fraternità nasce da un dato profondamente umano. Siamo capaci di relazione e, se lo vogliamo, sappiamo costruire legami autentici tra di noi. Senza relazioni, che ci sostengono e che ci arricchiscono sin dall’inizio della nostra vita, non potremmo sopravvivere, crescere, imparare. Esse sono molteplici, diverse per modalità e profondità. Ma certo è che la nostra umanità si compie al meglio quando siamo e viviamo insieme, quando riusciamo a sperimentare legami autentici, non formali, con le persone che abbiamo accanto. Se siamo ripiegati su noi stessi, rischiamo di ammalarci di solitudine, e anche di un narcisismo che si preoccupa degli altri solo per interesse. L’altro si riduce allora a qualcuno da cui prendere, senza che siamo mai disposti davvero a dare, a donarci.

Sappiamo bene che anche oggi la fraternità non appare scontata, non è immediata. Molti conflitti, tante guerre sparse nel mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero anzi dimostrare il contrario. Tuttavia, la fraternità non è un bel sogno impossibile, non è un desiderio di pochi illusi. Ma per superare le ombre che la minacciano, bisogna andare alle fonti, e soprattutto attingere luce e forza dal Colui che solo ci libera dal veleno dell’inimicizia.

La parola “fratello” deriva da una radice molto antica, che significa prendersi cura, avere a cuore, sostenere e sostentare. Applicata a ogni persona umana diventa un appello, un invito. Spesso pensiamo che il ruolo di fratello, di sorella, rimandi alla parentela, all’essere consanguinei, al far parte della stessa famiglia. In verità, sappiamo bene quanto il disaccordo, la frattura, talvolta l’odio possano devastare anche le relazioni tra parenti, non soltanto tra estranei.

Questo dimostra la necessità, oggi più che mai urgente, di rimeditare il saluto con cui San Francesco d’Assisi si rivolgeva a tutte e a tutti, indipendentemente da provenienze geografiche e culturali, religiose o dottrinali: omnes fratres era il modo inclusivo con cui San Francesco poneva sullo stesso piano tutti gli esseri umani, proprio perché li riconosceva nel comune destino di dignità, di dialogo, di accoglienza e di salvezza. Papa Francesco ha riproposto questo approccio del Poverello di Assisi, valorizzandone l’attualità dopo 800 anni, nell’Enciclica Fratelli tutti.

Quel “tutti”, che significava per San Francesco il segno accogliente di una fraternità universale, esprime un tratto essenziale del cristianesimo, che sin dall’inizio è stato l’annuncio della Buona Notizia destinata alla salvezza di tutti, mai in forma esclusiva o privata. Questa fraternità si basa sul comandamento di Gesù, che è nuovo in quanto realizzato da Lui stesso, compimento sovrabbondante della volontà del Padre: grazie a Lui, che ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, noi possiamo a nostra volta amarci e dare la vita per gli altri, come figli dell’unico Padre e veri fratelli in Gesù Cristo.

Gesù ci ha amato sino alla fine, dice il Vangelo di Giovanni (cfr 13,1). Quando è oramai prossima la passione, il Maestro sa bene che il suo tempo storico sta per concludersi. Teme ciò che sta per accadere, sperimenta il supplizio più terribile e l’abbandono. La sua Risurrezione, al terzo giorno, è l’inizio di una storia nuova. E i discepoli diventano pienamente fratelli, dopo tanto tempo di vita insieme, non solo quando vivono il dolore della morte di Gesù, ma, soprattutto, quando lo riconoscono come il Risorto, ricevono il dono dello Spirito e ne diventano testimoni.

I fratelli e le sorelle si sostengono a vicenda nelle prove, non voltano le spalle a chi è nel bisogno: piangono e gioiscono insieme nella prospettiva operosa dell’unità, della fiducia, dell’affidamento reciproco. La dinamica è quella che Gesù stesso ci consegna: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). La fraternità donata da Cristo morto e risorto ci libera dalle logiche negative degli egoismi, delle divisioni, delle prepotenze, e ci restituisce alla nostra vocazione originaria, in nome di un amore e di una speranza che si rinnovano ogni giorno. Il Risorto ci ha indicato la via da percorrere insieme a Lui, per sentirci e per essere “fratelli tutti”.

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Saluti

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Sabato scorso a Kochi, nello stato indiano del Kerala, è stata beatificata Madre Eliswa Vakayil, vissuta nel XIX secolo, fondatrice del Terz’Ordine delle Carmelitane Scalze Teresiane. Il suo coraggioso impegno in favore dell’emancipazione delle ragazze più povere è fonte di ispirazione per quanti operano, nella Chiesa e nella società, per la dignità della donna.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana, in particolare saluto ...

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. La liturgia odierna fa memoria del Vescovo S. Giosafat, martire a motivo del suo infaticabile zelo per l’unità della Chiesa. Incoraggio ciascuno ad avere coscienza dei doni di grazia ricevuti, perché siano messi a disposizione della comunità.

A tutti la mia benedizione!


Guarda il video integrale


mercoledì 12 novembre 2025

COP30 in Brasile: proviamo a capirci qualcosa insieme!


COP30 in Brasile:
proviamo a capirci qualcosa insieme!

A Belém, la porta dell’Amazzonia in Brasile, dal 10 al 21 novembre si svolgono i lavori della 30ª edizione della Conferenza dell’Onu sul clima che appare in grande affanno nel rispettare gli obiettivi di Parigi del 2015. La strategia degli Usa di Trump e dei Paesi refrattari ad ogni intervento decisivo per l’ambiente. Usa, Cina, Russia e India hanno disertato il summit del 6 e 7 novembre dei leader nazionali che precede la Conferenza. La novità possibile dall’azione del presidente brasiliano Lula

Cop 30 Brasile. Proteste in Amazzonia contro insediamenti petrolifer. Archivio Ansai EPA/Jose Jacome

La COP30 di Belem segnerà un punto di svolta. Molto probabilmente in negativo. L’analisi dei risultati delle tre Conferenze delle parti precedenti, Egitto (COP27), Dubai (COP28), Azerbaijan (COP29), lascia presagire un finale in cui più che ascoltare la voce dei popoli che vogliono crescere e svilupparsi, le conferenze abbiano ascoltato la voce delle industrie del fossile. Abbiamo raccolto molte promesse e accordi al ribasso. Ma dove eravamo arrivati?

Facciamo un riassunto della COP precedente

L’ultima COP di Baku, in Azerbaijan, ci ha lasciato con solo alcuni punti chiusi che qui riassumo brevemente:
  • è stato approvato un testo che regola il mercato dei crediti di carbonio per compensare la CO2, meccanismo previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi del 2015 e già attivo, anche se rappresenta più un modo per rinviare la transizione ecologica pagando per inquinare.
  • Lancio della Green Digital Action Declaration, un primo passo per riconoscere l’enorme impatto delle tecnologie digitali sull’ambiente. Ma in un mondo che si lancia senza freni nello sviluppo delle tecnologie basate sull’Intelligenza artificiale, fortemente energivora, cosa vorrà dire questa dichiarazione?
Molte questioni sono rimaste aperte:
  • L’accordo sul New Collective Quantified Goal (NCQG) che dovrà disciplinare i flussi finanziari dai paesi ricchi ai Paesi poveri per finanziare la transizione ecologica, con un incremento richiesto a 1.300 miliardi, da trattare assieme alla Nationally Determined Contributions, piani quinquennali di contrasto alla crisi climatica di ogni nazione.
  • La revisione dell’Adaptation Committee, un organismo che si occupa di promuovere un’azione rafforzata sull’adattamento ai cambiamenti climatici.
  • La revisione del “Meccanismo internazionale di Varsavia”, stabilito alla COP19 del 2013, e non ancora implementato. Il “Loss and Damage” era stato rinviato alla COP29 dopo le prime decisioni prese alla COP27 di Sharm el-Sheikh e l’istituzione del fondo, senza regole su come gestirlo, alla COP28 di Dubai. Ora toccherà alla COP30, forse.
  • Il Global Stocktake (GST), il Bilancio Globale per valutare i progressi ottenuti dai vari Paesi per rispondere alla crisi climatica in atto secondo le misure dell’Accordo di Parigi del 2015. La COP29 lo ha ignorato come strumento importante di valutazione e azione.
  • Il programma di lavoro sulla mitigazione e superamento delle fonti fossili non è stato sviluppato, ma rimandato.
La COP30 che si svolgerà in Brasile, nonostante le buone intenzioni presentate dal presidente Lula, è un paese che sta investendo e puntando sulle fonti fossili con Petrobras, l’azienda petrolifera di stato. Come i tre precedenti paesi ospitanti, la sua presidenza come potrà spingere per l’uscita dal fossile? Cosa potrà cambiare nei fatti? Cercherò di rispondere di seguito, ma prima la premessa internazionale è doverosa.

Il contesto internazionale, multilateralismo in crisi

Il contesto internazionale è sempre più unilaterale, segnato da una grande crisi del multilateralismo. Gli Stati Uniti si sono uniti alla Federazione Russa nel minare l’ordine internazionale. Le guerre in Ucraina, Siria, Libano, Gaza, Cisgiordania, Iran, Libia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, India e Pakistan, assieme alle altre guerre civili e tensioni internazionali non lasciano spazio alla creazione di un contesto internazionale di fiducia fra le parti.

Lo sforzo maggiore dei Paesi, in questo contesto mondiale, si concentra sempre di più sulle spese per la guerra, investendo in armi. Un’economia di guerra non si concilia con la conversione ecologica.

La strada verso la COP30

Il percorso per arrivare a Belem per la COP30 è stato, come sempre, molto articolato. Ma conoscerlo aiuta a capire cosa aspettarci nei prossimi giorni dal 10 al 21 novembre.

Bonn, i negoziati tecnici in preparazione della COP di Belem

La 62ª conferenza intermedia sul clima delle Nazioni Unite (SB62), passaggio fondamentale per preparare i lavori della COP di Belem, si è tenuta tra il 16 e il 26 giugno 2025. Oltre 190 Paesi si sono riuniti per i negoziati tecnici sui temi rimasti aperti alla COP29.

Tutti i temi rimasti aperti a Baku sono rimasti tali anche a Bonn, ma alcuni sono stati oggetto di dibattito acceso lasciando presagire un prosieguo delle discussioni anche a Belem.

La questione più discussa è stata quella sui New Collective Quantified Goal (NCQG). L’India ha chiesto anche in nome del Gruppo dei 77 (G77) impegni vincolanti per il finanziamento climatico verso i paesi in via di sviluppo secondo quanto stabilito dall’Accordo di Parigi. Infatti, sono stati presentati pochi National Determined Contribution dai paesi parti della conferenza. Un risultato raggiunto è stato quello relativo all’aumento del bilancio della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) portandolo a 81,5 milioni di euro per il biennio 2026-2027. A Bonn, inoltre, non è stata ancora decisa la sede della COP31, contesa da due Paesi, la Turchia e l’Australia.

L’Africa Climate Summit 2

L’Etiopia ha ospitato il secondo summit africano sul clima dall’8 al 10 settembre 2025. Questo incontro ha dato vita ad una linea comune fra i Paesi del continente coerente con l’Agenda 2063. Ad Addis Abeba, tutti i Paesi hanno ribadito che il NCQG deve ambire ad un trilione e 300 miliardi di dollari, cifra annuale necessaria per finanziare i piani di adattamento al cambiamento climatico africano. Questa richiesta nasce dalla constatazione che producendo meno del 4% delle emissioni globali di gas serra, il continente paga in termini di PIL le catastrofi climatiche provocate da USA, UE e Cina. In questo contesto, i Paesi hanno messo in evidenza che l’Africa ha le potenzialità per guidare la transizione ecologica, attraverso investimenti e non prestiti, con il riconoscimento del giusto ruolo del mercato delle emissioni e del corretto riconoscimento dei fondi “Loss and damage”. L’Africa ha compreso che la crisi del multilateralismo potrebbe essere anche un grande problema per il continente. Una visione nazionale dei rapporti fra paesi potrebbe scaricare sul continente africano i problemi climatici creati dalle grandi potenze economiche mondiali.

Unione Europea, il Consiglio straordinario dei ministri dell’Ambiente

L’Unione Europea ha trovato una linea comune all’ultimo momento utile per trovarsi pronta il 6 novembre, per il summit prima della COP30, dopo un primo fallimento del Consiglio dei ministri dell’ambiente di settembre. Le difficoltà sono dovute ai Paesi scettici verso le scelte europee per affrontare la crisi climatica, come i Paesi del gruppo di Visegrad, a cui si è avvicinata l’Italia. La Francia si è unita a questa linea di revisione dei pilastri europei della transizione ecologica in quest’ultimo periodo. L’accordo finale è stato trovato con la conferma dell’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti dell’Unione Europea del 90% nel 2040 rispetto ai livelli del 1990. Ma questo obiettivo potrà ora essere raggiunto aumentando la percentuale dei crediti internazionali fino al 5% da altri Paesi extra UE. Inoltre sono stati concessi rinvii di alcune decisioni sull’uso di carburanti più inquinanti e sull’entrata in vigore di un obbligo di produzione di auto a zero emissioni dal 2035.

L’assenza degli USA

Gli Stati Uniti, dopo l’elezione di Trump, hanno subito manifestato il loro rifiuto del multilateralismo, a partire dalle convenzioni internazionali sul clima. Il presidente Trump si è ritirato per la seconda volta dall’Accordo di Parigi, facendo mancare uno dei Paesi determinanti per contrastare la crisi climatica. Gli Stati Uniti sono stati i creatori di questo sistema di governo mondiale, attraverso la proposta di creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a Yalta nel febbraio del 1945. La loro assenza alla COP30 non rappresenta un segnale positivo. Le decisioni prese senza la maggiore potenza economica e militare del pianeta pone un macigno sull’esito della conferenza brasiliana.

Il climate summit di Belem, assenti USA, Cina, Russia e India

Il 6 e 7 novembre si è svolto il summit prima della COP30. L’assenza dei paesi responsabili nel 2024 di più del 50% delle emissioni di CO2, anno in cui sono stati registrati livelli record di anidride carbonica nell’atmosfera, è un’assenza pesante. In questo contesto devono essere comprese le parole del presidente del Brasile Lula, il quale ha sottolineato che questa COP sarà quella della verità, affermazione che sostiene quanto detto dal Segretario Generale dell’ONU, Guterres, che ha chiarito che non ci potrà essere più greenwashing e scappatoie per trasformare in azione l’impegno a limitare ad 1,5° il riscaldamento globale.

Lula, comunque, ha centrato nel suo discorso il problema: il mondo trova i soldi ipocritamente per la guerra ma non li trova per l’ambiente. La corsa al riarmo richiede il doppio di quanto si spende per la conversione ecologica, conducendo tutti verso un’apocalisse climatica. Il presidente brasiliano ha messo in contrapposizione la guerra e la lotta al cambiamento climatico, sostenendo che il mondo dovrà scegliere se sostenere l’una o l’altra.

Proprio in quest’ottica, la presidenza brasiliana della conferenza ha fatto chiarezza sui punti su cui lavoreranno. Non ci sarà un tema centrale, ma verranno affrontati tutti i temi rimasti aperti nelle conferenze precedenti. Unico tema originale della COP30 potrebbe essere il fondo per prevenire la distruzione delle foreste tropicali, denominato “Tropical Forests Forever Facility”.

Qualche considerazione prima che si inizi

Se la COP21 di Parigi aprì alla speranza di un mondo migliore, con la firma degli accordi sul clima che fissavano entro i 2 gradi il limite massimo da raggiungere per il riscaldamento medio del pianeta, nel 2025, a 10 anni da quello storico accordo, potremmo celebrare l’inversione di tendenza. Troppo pesante l’assenza degli Stati Uniti, con un’Europa indebolita dalla guerra in Ucraina e dal cambiamento di priorità, dal Green New Deal al Rearm EU. In questo contesto la Cina si presenta come un Paese che ha stabilito un piano per la transizione energetica, anche se rimane il maggior Paese inquinante con una forte propensione alla crescita ad ogni costo.

La scelta di tornare in Brasile, dove tutto iniziò nel 1992, e fare la conferenza in Amazzonia è fortemente simbolico. Ma anche questa scelta è piena di contraddizioni. Belem non era una città adatta ad ospitare questo grande evento. Ha dovuto subire molte trasformazioni, consumando il territorio e la foresta amazzonica, andando in direzione opposta a quello sviluppo sostenibile figlio della conferenza di Rio de Janeiro.

Vedremo cosa succederà, ma il clima non è dei migliori, in tutti i sensi.
(Fonte: Città Nuova, articolo di Domenico Palermo 10/11/2025)


Sessant’anni dopo il Concilio. Dalla primavera dello Spirito allo Spirito di fraternità

Sessant’anni dopo il Concilio.
Dalla primavera dello Spirito allo Spirito di fraternità


Dal Concilio a oggi, tra Tradizione e Vangelo, la Chiesa riscopre nella misericordia e nella fraternità la sua vera giovinezza


A dicembre ricorreranno i sessant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, l’evento che più di ogni altro ha segnato il volto della Chiesa contemporanea. Non si tratta di un semplice anniversario storico, ma di una sfida teologica e antropologica: ritrovare nella trama complessa del mondo contemporaneo la trascendenza dell’essere umano, la sua dignità, la sua libertà e la sua vocazione alla comunione.

Tra i frutti più fecondi del Vaticano II c’è senza dubbio il protagonismo dei laici nella vita della Chiesa. La Lumen gentium dedica loro un intero capitolo, la Apostolicam Actuositatem ne esplicita la missione nel mondo. Il laico cristiano non è più il semplice “collaboratore” del sacerdote, ma il soggetto pieno della missione ecclesiale. Vive nel mondo, ma non si confonde con esso. È chiamato a testimoniare il Vangelo dentro la storia concreta, nei luoghi del lavoro, della cultura, della politica, dell’economia e oggi anche della tecnologia e dell’ambiente digitale.

UN NUOVO CAMMINO

Il Concilio aveva aperto un cammino nuovo: la Chiesa non più come società perfetta, chiusa e autosufficiente, ma come comunione viva, popolo di Dio in cammino nella storia.

Eppure quella spinta di rinnovamento è stata a lungo frenata. La stagione post-conciliare, invece di fiorire in dialogo e creatività, si è spesso rinchiusa in una restaurazione dottrinale che ha posto la Tradizione al di sopra del Vangelo. Molti ambienti ecclesiali, impauriti dalle aperture conciliari, hanno scelto la via della difesa identitaria: la liturgia è tornata a essere terreno di scontro, la teologia sospettata di modernismo, il laicato ridotto a spettatore. È qui che la Chiesa tradizionalista ha mostrato il suo limite più grande: aver confuso la fedeltà alla Tradizione con la paura del futuro, dimenticando che il cuore della Tradizione è il Vangelo stesso, non la sua forma immobile.

La fedeltà al Concilio non consiste nel replicare le sue formule, ma nel lasciarsi ancora sorprendere dallo Spirito che lo ha generato.

UNA CHIESA CHE CURA

Con Francesco la tensione tra Vangelo e Tradizione ha trovato una nuova chiave di lettura. Il suo pontificato ha segnato il ritorno a una Chiesa misericordiosa, che non teme di sporcarsi le mani, una Chiesa che abbraccia le fragilità del mondo contemporaneo e si definisce “ospedale da campo” della società. Non più una Chiesa preoccupata di difendere confini o privilegi, ma una Chiesa che cura le ferite, che ascolta prima di giudicare, che accompagna invece di condannare.

Francesco ha incarnato fino in fondo lo spirito conciliare della Gaudium et Spes: essere nel mondo senza appartenere al mondo, parlare con il linguaggio della misericordia più che con quello della condanna. Con lui il Vangelo ha riacquistato la sua forza disarmante e universale, capace di toccare anche chi non crede, di aprire spazi di dialogo dove altri vedevano barriere. Il suo magistero ha mostrato che la fedeltà alla Tradizione passa attraverso il ritorno costante al Vangelo, non attraverso la sua imbalsamazione.

Leone XIV ha raccolto il testimone di Francesco e dei suoi predecessori, restituendo centralità al Vangelo più che alle strutture, all’ascolto più che al controllo, alla comunione più che al potere. In lui si compie una vera conversione ecclesiale: riportare l’istituzione alla sua sorgente evangelica, ricordando che la Tradizione non è il culto del passato ma la trasmissione viva dello Spirito nel presente.

Nel mondo di oggi, segnato da crisi ecologiche, guerre e isolamento tecnologico, questa visione può offrire ciò che il tomismo da solo non basta a garantire: calore umano, empatia, cura, prossimità. La fraternità non è una virtù privata, ma la struttura ontologica della realtà, il filo invisibile che tiene insieme persone e popoli, creature umane e non umane, fede e ragione, spirito e materia.

LA PRIMAVERA CONTINUA

Sessant’anni dopo, il Vaticano II non è un capitolo chiuso, ma un cantiere ancora aperto. Il vero anniversario non è la sua chiusura del 1965, ma la sua continua riapertura nelle coscienze dei credenti. La primavera conciliare non è finita: si rinnova ogni volta che la Chiesa sceglie la via della comunione, della sinodalità, della misericordia e della fraternità universale.

Solo nella fedeltà al Vangelo, non a una Tradizione intesa come recinto, la Chiesa potrà continuare a essere nel mondo ciò che Francesco ha sognato e vissuto — un ospedale da campo per l’umanità ferita, segno credibile del Dio che fa nuove tutte le cose.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Pietro Giordano 10/11/2025)


martedì 11 novembre 2025

La piccola grande Scuola ‘La Pace’ di Gaza

La piccola grande Scuola ‘La Pace’ di Gaza


Dall’8 novembre scorso una 60ina di bambini gazawi hanno la possibilità di essere accuditi, di imparare a leggere e scrivere e di venire istruiti nella scuola organizzata per iniziativa di un infermiere palestinese, Mosbah, quotidianamente in contatto con il Comitato Un aiuto per la Palestina.

Denominata ‘Al Salam’ – che significa ‘pace’ – la scuola è allestita in due tende attrezzate con sedie, banchi e lavagne. Nelle aule della tenso-struttura quattro giorni la settimana in due turni di tre ore ciascuno si svolgono le attività didattiche rivolte ai più piccini, dai 3 ai 5 anni, e agli alunni dai 6 ai 12 anni.

Oltre a fornire libri di testo e materiali didattici, la scuola garantisce agli scolari anche merende e pasti.

Dall’inizio dell’assedio, i cicli delle scuole di Gaza sono suddivisi in quadrimestri. Al termine di ciascuno gli alunni della Scuola ‘Al Salam’ sosterranno l’esame di verifica e accertamento della loro istruzione in base al piano educativo svolto. Il programma, che è in corso di validazione del Ministero dell’Educazione e dell’Istruzione Superiore dell’ANP / Autorità Nazionale Palestinese, propone lezioni di lingua araba e lingua inglese, matematica, scienze, tecnologia e salute tenute da due insegnanti.


«La Scuola per la Pace di Torino ha sempre guardato al genocidio in Palestina dal punto di vista politico e culturale, con manifestazioni di piazza, appelli, presidi e progetti didattici, ma non ha mai trascurato la concreta solidarietà – spiega la referente del gruppo di docenti piemontesi, Maria Teresa Silvestrini – Per oltre due anni bambine e bambini di Gaza sono stati privati del diritto all’istruzione a causa della distruzione di scuole e asili e, come è mostrato in un episodio del documentario From Ground Zero, anche della perdita di maestre e maestri. Ora bambine e bambini di Gaza sono per lo più per strada, in giro tra le macerie, e per assisterli in modo efficace anziché interventi calati dall’alto con grande dispendio di energie e risorse adesso è utile sostenere iniziative come questa di una scuola piccola ma accogliente e funzionale perché organizzata e gestita da chi capisce le loro esigenze e problematiche».

La Scuola per la Pace di Torino-Piemonte contribuisce alla realizzazione della Scuola ‘La Pace’ di Gaza cooperando con il Comitato Un aiuto per la Palestina anche alla raccolta fondi necessari a finanziare il progetto, che si sviluppa in due fasi.

Nella prima fase, cioè per l’acquisto e il montaggio delle tende e degli arredi, sono stati sostenuti costi pari a 1˙800 €, e nella seconda, cioè per l’acquisto di libri, quaderni e penne e di prodotti alimentari, per la produzione della documentazione con cui abiltare la scuola a rilasciare certificati e iscrivere gli alunni all’esame e per garantire agli insegnanti almeno un rimborso spese, sono stati preventivati costi di 750 € al mese e, complessivamente, 4˙800 € a quadrimestre.


conti correnti UN AIUTO PER LA PALESTINA

causale versamento: Scuola Al Salam

Banca Territori del Monviso – IBAN IT 76 A 08833 01003 000000013283

Satispay – https://web.satispay.com/download/qrcode/S6Y-SVN–19FF359D-701C-4FB9-A522-F50008F5E53E?locale=it

INFORMAZIONI: lascuolaperlapace@gmail.com

 (fonte: Pressenza, articolo di Maddalena Brunasti 10.11.25)

“Esci da quella stanza”. Alberto Pellai e Barbara Tamborini: “Riportiamo i nostri figli nella vita reale”


“Esci da quella stanza”. Alberto Pellai e Barbara Tamborini:
“Riportiamo i nostri figli nella vita reale”

Alberto Pellai e Barbara Tamborini lanciano un appello urgente ai genitori: il mondo digitale sta risucchiando i nostri figli. Tra social, videogame e manipolazioni, occorre restituire loro l’infanzia e l’adolescenza favorendo esperienze e relazioni in presenza per proteggerli dai rischi invisibili e riportarli nel mondo reale

Foto Università Cattolica/SIR

Nel saggio Esci da quella stanza. Come e perché riportare i nostri figli nel mondo (Mondadori, 2025), Alberto Pellai e Barbara Tamborini affrontano con lucidità una delle sfide educative più urgenti del nostro tempo: l’impatto del digitale sulla crescita emotiva, cognitiva e relazionale di bambini e adolescenti. Il libro è un grido d’allarme, ma anche una guida concreta per genitori e educatori che vogliono agire in modo consapevole.

Adolescenza digitale: chiusi in cameretta, lontani dal mondo. Il titolo stesso è una provocazione. Oggi, il comando “va’ in camera tua” non è più una punizione, osservano gli autori, ma un premio. I ragazzi si rifugiano volontariamente nelle loro stanze, immersi in smartphone, social e videogame. Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, e Tamborini, psicopedagogista, marito e moglie genitori di quattro figli, spiegano come questo isolamento volontario nasconda pericolose insidie:

contenuti estremi, relazioni tossiche, esperienze emotive precoci e destabilizzanti.

Le relazioni tra pari, mediate da chat e social, diventano terreno fertile per bullismo, esclusione e vergogna. Il confine tra reale e virtuale si dissolve, e il ritiro sociale si diffonde silenziosamente.

“Adolescence”: quando il virtuale contamina il reale. Gli autori citano la serie TV Adolescence, in cui un tredicenne è sospettato dell’omicidio di una compagna. La trama evidenzia come i giovanissimi della Gen Z siano immersi in dinamiche aggressive, spesso senza comprenderne il senso.

Il virtuale – avvertono – anticipa esperienze che dovrebbero arrivare più tardi, mentre gli adulti, inconsapevoli o distratti, non ne colgono i segnali.

Videogame e dipendenza, la trappola dopaminergica. Una sezione cruciale del libro è dedicata ai videogame, in particolare a titoli come Fortnite. Gli autori spiegano come questi giochi siano progettati per attivare i circuiti della gratificazione istantanea, generando dipendenza.

Il cervello produce dopamina, e il giocatore entra in un circolo vizioso difficile da interrompere.

Le testimonianze di genitori di preadolescenti raccontano di crisi emotive e reazioni violente quando si tenta di limitare il tempo di gioco.

Alberto Pellai (Foto Federica Davoli)
Tra glamour e manipolazione. Pellai e Tamborini analizzano quindi tre processi cognitivi amplificati dai social media. Anzitutto la “desensibilizzazione”, che avviene quando l’esposizione continua a contenuti contrari ai propri valori riduce la sensibilità emotiva. Quindi la “normalizzazione”, quando ciò che è estremo (nudità, turpiloquio, bestemmie) diventa “normale”. Infine la “glamourizzazione” che avviene quando pratiche nocive come chirurgia estetica estrema, gioco d’azzardo, comportamenti pericolosi, alcol e droghe vengono presentate come buone e desiderabili. Secondo i due autori, questi meccanismi alterano la percezione dei giovanissimi, rendendoli vulnerabili a messaggi manipolatori e a modelli distorti.

Il Gatto e la Volpe. Una potente metafora irrompe a questo punto nel libro:

“Gli occhi con cui vengono guardati i nostri figli sono quelli del Gatto e della Volpe”.

Il sistema digitale, con il suo marketing strategico, sfrutta in modo predatorio la vulnerabilità dei minori per generare profitti. I social non sono solo strumenti di comunicazione, ma vere e proprie macchine di manipolazione, avvertono Pellai e Tamborini.

Pensiero critico e consapevolezza. Dopo quest’articolata analisi, gli autori incoraggiano i genitori a mettere in campo una strategia educativa chiara, capace di decodificare i social come strumenti di marketing aggressivo. Il pensiero critico diventa antidoto:

solo comprendendone i meccanismi di manipolazione è possibile contrastare l’insicurezza e la bassa autostima alimentate nei giovanissimi dal mondo digitale.

Barbara Tamborini
Foto da Festival “Pordenone legge”
Indicazioni pratiche. Il volume non si limita alla denuncia, ma offre strumenti concreti: stabilire regole chiare sull’uso di smartphone e social; introdurre il pensiero critico; monitorare i contenuti frequentati dai figli mantenendo un dialogo aperto e non giudicante; promuovere esperienze nel mondo reale: sport, volontariato, oratorio, amicizie vissute in presenza. Importante, inoltre “fare squadra” tra genitori e adulti di riferimento condividendo esperienze educative efficaci per sostenersi reciprocamente. “Esci da quella stanza” è molto più di un libro: è un manifesto educativo, un invito urgente a riaprire le porte delle camerette e a costruire ponti tra generazioni. Non offre soluzioni magiche, ma una bussola per orientarsi nel caos digitale. Pellai e Tamborini ci ricordano che educare oggi significa conoscere il mondo virtuale, decodificarlo e aiutare i nostri figli a viverlo con consapevolezza, senza che diventi un abisso in cui perdersi.
(fonte: SIR, articolo di Giovanna Pasqualin Traversa 07/11/2025)


lunedì 10 novembre 2025

Leone XIV: «Il vero santuario di Dio è il Cristo morto e risorto. ... E, uniti a Lui, anche noi siamo pietre vive di questo edificio spirituale.» Angelus 09/11/2025 (testo e video)


SOLENNITÀ DELLA DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

PAPA LEONE XIV
 
ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 9 novembre 2025


Affacciatosi a mezzogiorno dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostolico vaticano, Leone XIV ha guidato la recita della preghiera mariana con i 35mila fedeli presenti in piazza San Pietro e con quanti lo seguivano attraverso i media, introducendola con una meditazione sulla solennità della Dedicazione della Basilica lateranense, celebrata poco prima a San Giovanni
Dopo la recita dell’Angelus, il Papa rivolge le parole conclusive per ringraziare quanti si spendono per costruire la pace nei Paesi che vivono crescenti ostilità.

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Fratelli e sorelle, buona domenica!

Nel giorno della Dedicazione della Basilica Lateranense contempliamo il mistero di unità e di comunione con la Chiesa di Roma, chiamata ad essere la madre che con premura si prende cura della fede e del cammino dei cristiani sparsi nel mondo.

La Cattedrale della diocesi di Roma e la sede del successore di Pietro, come sappiamo, non è soltanto un’opera di straordinaria valenza storica, artistica e religiosa, ma rappresenta anche il centro propulsore della fede affidata e custodita dagli Apostoli e della sua trasmissione lungo il corso della storia. La grandezza di questo mistero rifulge anche nello splendore artistico dell’edificio, che proprio nella navata centrale accoglie le dodici grandi statue degli Apostoli, primi seguaci del Cristo e testimoni del Vangelo.

Questo ci rimanda ad uno sguardo spirituale, che ci aiuta ad andare oltre l’aspetto esteriore, per cogliere nel mistero della Chiesa ben più di un semplice luogo, di uno spazio fisico, di una costruzione fatta di pietre; in realtà, come il Vangelo ci ricorda nell’episodio della purificazione del Tempio di Gerusalemme compiuta da Gesù (cfr Gv 2,13-22), il vero santuario di Dio è il Cristo morto e risorto. Egli è l’unico mediatore della salvezza, l’unico redentore, Colui che legandosi alla nostra umanità e trasformandoci col suo amore, rappresenta la porta (cfr Gv 10,9) che si spalanca per noi e ci conduce al Padre.

E, uniti a Lui, anche noi siamo pietre vive di questo edificio spirituale (cfr 1Pt 2,4-5). Noi siamo la Chiesa di Cristo, il Suo corpo, le sue membra chiamate a diffondere nel mondo il Suo Vangelo di misericordia, di consolazione e di pace, attraverso quel culto spirituale che deve risplendere anzitutto nella nostra testimonianza di vita.

Fratelli e sorelle, è in questo sguardo spirituale che dobbiamo allenare il cuore. Tante volte, le fragilità e gli errori dei cristiani, insieme a tanti luoghi comuni e pregiudizi, ci impediscono di cogliere la ricchezza del mistero della Chiesa; la sua santità, infatti, non risiede nei nostri meriti, ma nel «dono del Signore, mai ritrattato», che continua a scegliere «come contenitore della sua presenza, con amore paradossale, anche e proprio le sporche mani degli uomini » (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia 2005, 331).

Camminiamo allora nella gioia di essere il Popolo santo che Dio si è scelto e invochiamo Maria, madre della Chiesa, perché ci aiuti ad accogliere Cristo e ci accompagni con la sua intercessione.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sono vicino alle popolazioni delle Filippine colpite da un violento tifone: prego per i defunti e i loro familiari, per i feriti e gli sfollati.

Oggi la Chiesa in Italia celebra la Giornata del Ringraziamento. Mi associo al messaggio dei Vescovi nell’incoraggiare una cura responsabile del territorio, il contrasto dello spreco alimentare e l’adozione di pratiche agricole sostenibili. Ringraziamo Dio per «sora nostra madre terra» (S. Francesco, Cantico delle creature) e per quanti la coltivano e la custodiscono!

Saluto di cuore tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare i giovani Gesuiti polacchi, i fedeli venuti da Varsavia e Danzica in Polonia, Newark e Kearny negli Stati Uniti d’America, Toledo e Galapagar in Spagna e Londra, come pure il coro dei Regensburger Domspatzen.

Saluto i membri dell’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Genova e i gruppi parrocchiali di Cava Manara, Mede, Vibo Marina, Sant’Arcangelo di Potenza, Noto, Pozzallo e Avola, Cesenatico, Mercato San Severino, Crespano del Grappa e Noventa Padovana. Saluto il gruppo delle Manifestazioni Storiche del Lazio e i volontari del Banco Alimentare, che faranno la colletta alimentare sabato prossimo, vigilia della Giornata Mondiale dei Poveri.

Esprimo il mio vivo apprezzamento per quanti, ad ogni livello, si stanno impegnando a costruire la pace nelle diverse regioni segnate dalla guerra. Nei giorni scorsi, abbiamo pregato per i defunti e tra questi purtroppo ce ne sono tanti uccisi nei combattimenti e nei bombardamenti, benché fossero civili, bambini, anziani, ammalati. Se si vuole veramente onorare la loro memoria, si cessi il fuoco e si metta ogni impegno nelle trattative.

Auguro a tutti una buona domenica.

Guarda il video

Leone XIV: «La Chiesa è un cantiere vivo fondato sulla roccia di Cristo» omelia 09/11/2025 (testo e video)


SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELLA
DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

Basilica di San Giovanni in Laterano
Domenica, 9 novembre 2025

Leone XIV: «La Chiesa è un cantiere vivo fondato sulla roccia di Cristo»


Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il Pontefice ha celebrato la Solennità della Dedicazione, richiamando i fedeli a scavare in profondità nella fede, come operai del grande edificio spirituale di Dio
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OMELIA


Cari fratelli e sorelle,

oggi celebriamo la Solennità della Dedicazione della Basilica Lateranense – di questa Basilica, Cattedrale di Roma –, avvenuta nel IV secolo ad opera di Papa Silvestro I. La costruzione fu realizzata per volontà dell’imperatore Costantino, dopo che, nell’anno 313, egli aveva concesso ai cristiani la libertà di professare la propria fede e di esercitare il culto.

Noi ricordiamo questo evento fino ad oggi: perché? Certamente per richiamare alla memoria, con gioia e gratitudine, un fatto storico importantissimo per la vita della Chiesa, ma non solo. Questa Basilica, infatti, “Madre di tutte le Chiese”, è molto più di un monumento e di una memoria storica: è «segno della Chiesa vivente, edificata con pietre scelte e preziose in Cristo Gesù, pietra angolare (cfr 1Pt 2,4-5)» (Rito della Benedizione degli oli e Dedicazione della chiesa e dell’altare, Premesse), e come tale ci ricorda che noi pure, come «pietre viventi veniamo a formare su questa terra un tempio spirituale (cfr 1 Pt 2,5)» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Dogm. Lumen gentium, 6). Per questa ragione, come notava San Paolo VI, nella comunità cristiana è sorto ben presto l’uso di applicare il «nome di Chiesa, che significa l’assemblea dei fedeli, al tempio che li raccoglie» (Angelus, 9 novembre 1969). È la comunità ecclesiale, «la Chiesa, società dei credenti, [che] attesta al Laterano la sua più solida e evidente struttura esteriore» (ibid.). Pertanto, aiutati dalla Parola di Dio, riflettiamo, guardando a questo edificio, sul nostro essere Chiesa.

Prima di tutto potremmo pensare alle sue fondamenta. La loro importanza è evidente, in modo per certi versi addirittura inquietante. Se chi lo ha costruito, infatti, non avesse scavato a fondo, fino a trovare una base sufficientemente solida su cui erigere tutto il resto, l’intera costruzione sarebbe crollata da tempo, o rischierebbe di cedere ad ogni istante, così che anche noi, stando qui, correremmo un serio pericolo. Chi ci ha preceduto, invece, per fortuna, ha dato alla nostra Cattedrale basi solide, scavando in profondità, con fatica, prima di iniziare ad innalzare le mura che ci accolgono, e questo ci fa sentire molto più tranquilli.

Ci aiuta però anche a riflettere. Anche noi, infatti, operai della Chiesa vivente, prima di poter erigere strutture imponenti, dobbiamo scavare, in noi stessi e attorno a noi, per eliminare ogni materiale instabile che possa impedirci di raggiungere la nuda roccia di Cristo (cfr Mt 7,24-27). Ce ne parla esplicitamente San Paolo, nella seconda Lettura, quando dice che «nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (3,11). E questo vuol dire tornare costantemente a Lui e al suo Vangelo, docili all’azione dello Spirito Santo. Il rischio, altrimenti, sarebbe di sovraccaricare di pesanti strutture un edificio dalle basi deboli.

Perciò, cari fratelli e sorelle, nel lavorare con ogni impegno al servizio del Regno di Dio, non siamo frettolosi e superficiali: scaviamo a fondo, liberi dai criteri del mondo, che troppo spesso pretende risultati immediati, perché non conosce la sapienza dell’attesa. La storia millenaria della Chiesa ci insegna che solo con umiltà e pazienza si può costruire, con l’aiuto di Dio, una vera comunità di fede, capace di diffondere carità, di favorire la missione, di annunciare, di celebrare e di servire quel Magistero apostolico di cui questo Tempio è la prima sede (cfr S. Paolo VI, Angelus, 9 novembre 1969).

In proposito, è illuminante la scena presentataci nel Vangelo che è stato proclamato (Lc 19,1-10): Zaccheo, uomo ricco e potente, sente il bisogno di incontrare Gesù. Si accorge, però, di essere troppo piccolo per poterlo vedere, e così si arrampica su un albero, con un gesto insolito e inappropriato per una persona del suo rango, abituata a ricevere quello che vuole su un piatto, al banco delle imposte, come un tributo dovuto. Qui, invece, la strada è più lunga e quel salire tra i rami per Zaccheo significa riconoscere il proprio limite e superare i freni inibitori dell’orgoglio. In questo modo può incontrare Gesù, che gli dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). Da lì, da quell’incontro, comincia per lui una vita nuova (cfr v. 8).

Gesù ci cambia, e ci chiama a lavorare nel grande cantiere di Dio, modellandoci sapientemente secondo i suoi disegni di salvezza. È stata usata spesso, in questi anni, l’immagine del “cantiere” per descrivere il nostro cammino ecclesiale. È un’immagine bella, che parla di attività, creatività, impegno, ma anche di fatica, di problemi da risolvere, a volte complessi. Essa esprime lo sforzo reale, palpabile, con cui le nostre comunità crescono ogni giorno, nella condivisione dei carismi e sotto la guida dei Pastori. La Chiesa di Roma, in particolare, ne è testimone in questa fase attuativa del Sinodo, in cui ciò che è maturato in anni di lavoro chiede di passare attraverso il confronto e la verifica “sul campo”. Ciò comporta un cammino in salita, ma non bisogna scoraggiarsi. È bene, invece, continuare a lavorare, con fiducia, per crescere insieme.

Nella storia dell’edificio maestoso in cui ci troviamo non sono mancati momenti critici, soste, correzioni di progetti in corso d’opera. Eppure, grazie alla tenacia di chi ci ha preceduto, possiamo radunarci in questo luogo meraviglioso. A Roma, pur con tanto sforzo, c’è un bene grande che cresce. Non lasciamo che la fatica ci impedisca di riconoscerlo e celebrarlo, per alimentare e rinnovare il nostro slancio. Del resto, la carità vissuta modella anche il nostro volto di Chiesa, perché appaia sempre più chiaramente a tutti che ella è “madre”, “madre di tutte le Chiese”, o anche “mamma”, come ebbe a dire San Giovanni Paolo II parlando ai bambini proprio in questa festa (cfr Discorso per la Dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, 9 novembre 1986).

Vorrei, infine, accennare a un aspetto essenziale della missione di una Cattedrale: la liturgia. Essa è il «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e […] la fonte da cui promana tutta la sua energia» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 10). In essa ritroviamo tutti i temi cui abbiamo accennato: siamo edificati come tempio di Dio, come sua dimora nello Spirito, e riceviamo forza per predicare Cristo nel mondo (cfr ibid., 2). La sua cura, pertanto, nel luogo della Sede di Pietro, dev’essere tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità di chi partecipa, secondo il principio di una sapiente inculturazione (cfr ibid. 37-38) e al tempo stesso nella fedeltà a quello stile di solenne sobrietà tipico della tradizione romana, che tanto bene può fare alle anime di chi vi partecipa attivamente (ibid., 14). Si ponga ogni attenzione affinché qui la bellezza semplice dei riti possa esprimere il valore del culto per la crescita armonica di tutto il Corpo del Signore. Sant’Agostino diceva che la «bellezza non è che amore, e amore è la vita» (Discorso 365, 1). La liturgia è un ambito in cui questa verità si realizza in modo eminente; e mi auguro che chi si accosta all’Altare della Cattedrale di Roma possa poi partire pieno di quella grazia con cui il Signore vuole inondare il mondo (cfr Ez 47,1-2.8-9.12).

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