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sabato 4 gennaio 2025

"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 8 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


II DOMENICA DOPO NATALE

Vangelo:

Il Prologo del Vangelo di Giovanni è come l'ouverture di una sinfonia, una meravigliosa sintesi del suo Vangelo, un canto d'amore alla Parola, fonte di tutte le cose, vita e luce per il cammino dell'uomo. La Parola sarà l'argomento principe di tutto il Vangelo di Giovanni nel corso del quale l'autore svilupperà i temi che nel prologo sono accennati. «Dio nessuno lo ha mai visto!». Non abbiamo di Dio alcuna immagine e nemmeno possiamo farcene una (cfr.Es 20,4). «Solo l'Unigenito Dio che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato », ne ha fatto l'esegesi, la spiegazione, attraverso la sua Parola e le sue opere, con la sua intera esistenza. La Gloria di Dio, prima inaccessibile, «si è manifestata e noi l'abbiamo veduta» (1Gv 1,1-3), ha piantato la sua tenda tra di noi e in noi assumendo la nostra carne, la nostra fragilità, il nostro limite, prendendo un volto e un nome: Gesù, salvezza e vita per tutti coloro che lo accolgono. E' questo il Mistero nascosto da secoli di cui ci parla Paolo (cfr.Col 1,26), il grande progetto d'amore del Padre: fare di ogni uomo un figlio se solo accoglierà il Figlio come unico modello di vita (cfr.Fil 2,6). A Filippo che gli domanda di voler vedere il Padre, Gesù risponde: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). L'evangelista ci dice così che non è Gesù ad essere uguale al Padre, ma è il Padre ad essere uguale a Gesù, perché chi vuole conoscere il Padre deve guardare solo a Gesù e a nessun altro. Anche noi perciò siamo invitati a mettere da parte tutte quelle immagini di Dio che non trovano riscontro nella persona e nel vissuto di Gesù. «Quel Gesù che con la Parola e i segni s'è manifestato a noi nel Vangelo, ci racconta quel Dio che nessuno mai ha potuto vedere, Dio stesso che si fa carne per dimorare tra di noi e in noi» (cit.).


E LA TENEREZZA ERA DIO La creazione è un atto d’amore sussurrato. ... Cristo nasce perché io nasca, nuovo e diverso. ... Ama la vita, abbine cura, falla fiorire. - II DOMENICA DOPO NATALE anno C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

E LA TENEREZZA ERA DIO
 

 La creazione è un atto d’amore sussurrato. ... 
Cristo nasce perché io nasca, nuovo e diverso. ... 
Ama la vita, abbine cura, falla fiorire.


In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebree le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carnee venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:«Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Giov. 1, 1-18

 
E LA TENEREZZA ERA DIO
 
La creazione è un atto d’amore sussurrato. ... Cristo nasce perché io nasca, nuovo e diverso. ... Ama la vita, abbine cura, falla fiorire.

Giovanni comincia il Vangelo con un canto che ci chiama a volare alto, un volo d’aquila che proietta Gesù verso i confini del tempo. In principio, bereshit, prima parola della Bibbia. Ma poi il volo d’aquila plana fra le tende dell’accampamento umano: E venne ad abitare, letteralmente “piantò la sua tenda” in mezzo a noi.

Poi Giovanni apre di nuovo le ali e vola verso l’origine, con parole assolute: Tutto è stato fatto per mezzo di lui. Non solo gli umani, ma il filo d’erba e la pietra e il canarino giallo, tutto viene dalle sue mani. «Nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno e di vita la pietra si riveste» (G. Vannucci). La creazione è un atto d’amore sussurrato. Creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel bambino, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme.

I primi versetti del Vangelo di Giovanni io li capisco vorrei così: “In principio era la tenerezza, e la tenerezza era presso Dio, e la tenerezza era Dio… e la tenerezza si è fatta carne e ha messo la sua tenda in mezzo a noi”.

Questo ci assicura che un’onda amorosa viene a battere sulle rive della nostra esistenza, che c’è una vita più grande e più amante di noi, alla quale attingere. Cristo non è venuto a portarci una nuova teoria religiosa, ci ha comunicato vita, pulsante di desiderio. Sono venuto perché abbiate la vita, in pienezza (Gv 10,10). Gesù non ha compiuto un solo miracolo per punire o intimidire qualcuno. I suoi sono sempre segni che guariscono, accrescono, sfamano, fanno fiorire la vita in tutte le sue forme. Il Vangelo ci insegna a sorprendere perfino nelle pozzanghere della vita il riflesso del cielo. E in noi, il suo volto.

“Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo”, nessuno escluso. “La luce splende nelle tenebre, ma esse non l’hanno vinta”. Ripetiamolo a noi e agli altri, in questo mondo duro: le tenebre non vincono. Mai.

“Venne fra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto”. Dio non si merita, si accoglie. Facendogli spazio in te, come una donna fa spazio al figlio che le cresce in grembo.

Dopo il suo, è ora tempo del mio Natale: Cristo nasce perché io nasca, nuovo e diverso. Sta a noi camminare e cercare dietro una stella, come i Magi. E anche ringraziare chi ci ha aiutato a viaggiare verso Dio, chi è stato per noi una stella: forse un libro, un prete, un amico, una mamma.

“E la vita era la luce”. Cerchi luce? Ama la vita, abbine cura, falla fiorire. Amala, con i suoi turbini e le sue tempeste ma anche con il suo sole e i suoi fiori appena nati, in tutte le Betlemme del mondo.

Amala! È la tenda del Verbo, il santuario che sta in mezzo a noi.

Giuseppe Savagnone Due storie parallele e una disparità inquietante

Giuseppe Savagnone
Due storie parallele e una disparità inquietante


L’assurda prigionia di Cecilia Sala

In prima pagina, su tutti i quotidiani, è apparsa la notizia del commosso incontro tra due madri, quella di Cecilia Sala, e la nostra premier, Giorgia Meloni, che le ha assicurato l’impegno concreto del governo italiano per la pronta liberazione della giovane giornalista, arrestata il 19 dicembre dalle autorità iraniane «per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran».

Un’accusa che, per la sua stessa genericità, evidenzia il carattere arbitrario della misura detentiva a cui la nostra connazionale è stata sottoposta, e giustifica pienamente l’unanime condanna da parte delle forze politiche e dell’opinione pubblica italiane.

Da qui la convocazione urgente di un vertice tra la presidente del consiglio, il ministro degli Esteri Tajani e quello della Giustizia Nordio e la convocazione alla Farnesina dell’ambasciatrice italiana a Teheran. «Immediata liberazione» e «trattamento rispettoso della dignità umana», è la perentoria richiesta rinnovata ieri dal nostro governo alla Repubblica iraniana.

E, sulla stampa, i commenti sono unanimi nel sottolineare la gravità di ciò che sta accadendo e la sua rilevanza, non solo per una questione prestigio dell’Italia sul piano internazionale, ma soprattutto perché il comportamento del governo iraniano evidenzia lo scontro tra due concezioni della persona e della vita associata.

Una vicenda parallela stranamente dimenticata

In questo coro di giustissime proteste colpisce, tuttavia, lo strano silenzio sull’evidente parallelismo tra la vicenda giudiziaria di Cecilia Sala e quella di Ilaria Salis, un’altra italiana arrestata e detenuta all’estero, in Ungheria, il cui caso è stato fino a poco tempo fa anch’esso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e che sì è risolto solo con l’elezione della Salis al Parlamento europeo nel giugno scorso.

Nessuno sembra ricordare che molte delle cose che si stanno verificando in questi giorni corrispondono in modo impressionante a ciò che è accaduto allora.

Entrambi gli arresti sono stati motivati da argomenti molto discutibili. Nel caso di Cecilia Sala, la sola ragione plausibile dell’accusa di «aver violato la legge» può essere stata la sua attività di giornalista. Era in Iran per un servizio, in cui tra l’altro non sembra avesse avuto contatti con ambienti dell’opposizione al regime. Ma forse è la semplice verità che fa paura ai regimi dittatoriali. Perciò sono tanti, in questi giorni, a manifestare in suo favore al grido: «Il giornalismo non è reato».

Più articolata, ma non meno paradossale, la vicenda che ha portato all’incriminazione della Salis in Ungheria. In febbraio, a Budapest, si celebra tutti gli anni il Giorno dell’Onore: neonazisti di tutto il mondo, soprattutto dalla Germania, dall’Austria e dall’Ungheria, si riuniscono per celebrare i caduti di un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’accerchiamento dell’Armata Rossa. Nella sfilata commemorativa i partecipanti marciano vestiti da nazisti.

Ilaria Salis, battagliera insegnante antifascista, il 10 febbraio 2023 era lì a protestare contro questa manifestazione, e il giorno dopo è stata arrestata, con l’accusa di avere aggredito e picchiato due militanti neonazisti (due uomini), arrecando loro «lesioni potenzialmente mortali», un reato per cui è prevista una pena massima di ventiquattro anni.

Anche se in realtà, stando ai referti dei medici ungheresi, quelle effettivamente riscontrate in ospedale alle due vittime sono state giudicate guaribili in un caso in otto giorni e nell’altro in cinque.

Ovviamente diversi sono i tempi della detenzione delle due donne in attesa del processo. Per Cecilia Sala dura da meno di venti giorni; quella di Ilaria Salis è stata di quindici mesi. Anche solo per l’inizio del processo che doveva accertare la sua eventuale colpevolezza, l’insegnante italiana ha dovuto attendere il 29 gennaio 2024, quasi un anno dall’arresto.

Le era stato offerto un patteggiamento per cui, se si fosse dichiarata colpevole, la pena sarebbe stata solo di undici anni, ma lei ha rifiutato, dichiarandosi sempre estranea ai fatti che le erano contestati.

Molto simili, invece, le condizioni dell’assurda prigionia delle due donne. La giornalista italiana ha potuto telefonare alla sua famiglia solo il 1 gennaio. Si sapeva della sua detenzione in un famigerato penitenziario, destinato ai dissidenti e dove è abituale il regime carcerario più duro. Il suo racconto lo ha confermato. Si trova in una cella di isolamento, freddissima, dove deve dormire senza un materasso o una brandina, sul pavimento, con le luci sempre accese. È stata privata anche dei suoi occhiali da vista. Non le è stato neppure dato il pacco consegnato sabato dall’ambasciata alle autorità del carcere iraniano, che conteneva alcuni articoli per l’igiene, quattro libri, sigarette, un panettone e una mascherina per coprire gli occhi.

Anche la Salis è stata trattenuta in un carcere di massima sicurezza, in condizioni disumane. Era richiusa in una cella non areata assieme ad altre sette persone e non tutte donne. «Sono trattata come una bestia al guinzaglio, da tre mesi sono tormentata dalle punture delle cimici nel letto, l’aria è poca, solo quella che filtra dallo spioncino», ha fatto sapere, appena ha potuto, ai suoi familiari e ai suoi amici. «Nei primi tempi, in carcere» – ha raccontato Gianluca Tizi, del Comitato “Liberiamo Ilaria Salis”, nato su iniziativa di compagni e compagne di università della donna – , Ilaria davvero è stata «trattata come un animale: vestiti maleodoranti tenuti per giorni senza possibilità di cambiare nemmeno la biancheria intima. Non aveva nemmeno il necessario per lavarsi. Aveva le mestruazioni ma non aveva gli assorbenti e nemmeno la carta igienica».

Per non parlare del suo isolamento. Il primo colloquio con la famiglia è avvenuto a settembre, sette mesi dopo l’arresto.

Infine, ha fatto il giro del mondo l’immagine dell’imputata, portata finalmente in aula, il 29 gennaio, con le manette ai polsi e i piedi legati da ceppi di cuoio con lucchetti, mentre una donna delle forze di sicurezza la trascinava con una catena. E questo prima ancora di stabilire se fosse o no colpevole.

Sono evidenti i punti di contatto tra i due percorsi. In entrambi i casi siamo davanti a una totale violazione dei diritti umani e della dignità personale. Violazione resa più grave dalla insussistenza o dalla relativa futilità delle imputazioni.

Due reazioni politiche molto diverse

Alla luce di queste evidenti corrispondenze, appare stupefacente la diversità delle reazioni del nostro governo e di parte della stampa. Nel caso di Cecilia Sala, come abbiamo visto, c’è – giustamente – una unanime mobilitazione e una fermissima presa di posizione.

Fin dall’inizio, in una nota verbale che la Farnesina, attraverso l’ambasciatrice Paola Amadei, ha consegnato al governo iraniano, sono state richieste al governo di Teheran «garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecilia Sala» e la sua «liberazione immediata».

Le cose sono andate molto diversamente nel caso della Salis. Rispondendo a voci di protesta per quello che appariva un disinteresse delle autorità italiane, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva spiegato, a inizio gennaio, che l’ambasciata aveva sempre lavorato accanto alla famiglia, dando tutto il supporto necessario per la soluzione del caso.

Si parlava soprattutto dell’ipotesi di ottenere dall’Ungheria che la Salis scontasse gli arresti domiciliari in Italia, pur con tutte le garanzie necessarie per evitarne la eventuale fuga.

E tutto lasciava sperare che questa soluzione fosse possibile, dati i rapporti di amicizia che da sempre legano i partiti del nostro governo, e in particolare la Meloni, ad Orbán, il presidente ungherese.

Tanto più che in Ungheria, dopo la riforma costituzionale 2012, la magistratura dipende strettamente dal potere politico, attraverso un organo – l’Ufficio giudiziario nazionale (OBH) – il cui vertice è di nomina parlamentare e quindi controllato da Fidesz, il partito del premier.

E invece, a febbraio, è uscito un comunicato, congiunto di Tajani e del ministro della Giustizia Nordio, dove si diceva che «i principi di sovranità giurisdizionale di uno Stato impediscono qualsiasi interferenza sia nella conduzione del processo sia nel mutamento dello status libertatis dell’indagato».

Inoltre, aggiungeva la nota, «una interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e l’organo giurisdizionale straniero sarebbe irrituale e irricevibile», lasciando capire che ogni iniziativa del governo avrebbe avuto come solo effetto quello di irritare la controparte e peggiorare le cose.

Su questa linea è stata anche la posizione del nostro ministro degli Esteri nel corso dell’informativa sul caso Salis alla Camera: «Evitiamo di trasformare una questione giudiziaria, regolata da norme nazionali ed europee, in un caso politico che regala sicuramente grandi titoli sui giornali, ma non fa il bene della signora Salis».

La famiglia della detenuta non l’ha presa bene. «Sono furibondo» – ha commentato Roberto Salis, padre di Ilaria -. «Ci hanno preso in giro: mia figlia è stata torturata e dal nostro governo non è arrivata nemmeno una nota. Adesso dobbiamo continuare a fare da soli perché non abbiamo alcun supporto dal nostro Stato».

Anche la stampa di destra, pur condannando il trattamento disumano della Salis, si è prodigata per evidenziare le ragioni che motivavano l’arresto e la detenzione. «Il Giornale» ha ospitato una lunga lettera dell’ambasciatore ungherese, che difendeva la linea del suo paese. E su «Il Tempo» Vittorio Feltri rispondeva polemicamente all’indignazione di molti per le drammatiche condizioni in cui si trovava la prigioniera: «Noi italiani non possiamo di sicuro giudicare i sistemi penitenziari degli altri Stati del continente europeo. Le nostre prigioni sono tra le peggiori in Europa».

Verissimo. Ma è strano che in questi giorni, a proposito della violenza subìta da Cecilia Sala, nessuno (per fortuna!) ripeta questi argomenti, così come è strano che il governo in questo caso non parli della necessità di «evitare ogni interferenza», per rispetto dei «principi di sovranità giurisdizionale di uno Stato». Anche l’Iran è uno Stato sovrano. E se la sua magistratura è inaffidabile, dipendendo dal potere politico, lo è anche quella ungherese. E non si dica che in questo caso non c’è il rischio di politicizzare la vicenda giudiziaria, aggravando la situazione dell’imputata!

Siamo davanti a un inquietante doppio standard, spiegabile solo con le posizioni politiche del nostro governo e di quella stampa che lo sostiene. E davanti a questo diffuso silenzio che lo copre, vengono in mente le parole dette in questi giorni da qualcuno: «Del giornalismo forte e indipendente di Cecilia abbiamo tutti disperato bisogno». A quanto pare è proprio vero.
(fonte: Tuttavia 03/01/2025)

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I genitori di Cecilia Sala hanno chiesto il silenzio stampa per evitare di complicare l'evoluzione della vicenda. «La fase a cui siamo arrivati - si legge nel messaggio dei genitori della giovane giornalista - è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione. Per questo abbiamo deciso di astenerci da commenti e dichiarazioni e ci appelliamo agli organi di informazione chiedendo il silenzio stampa. Saremo grati per il senso di responsabilità che ognuno vorrà mostrare nell'evitare di divulgare notizie sensibili e delicate».

venerdì 3 gennaio 2025

Giorgio Bernardelli: Debito dei Paesi poveri, questione di giustizia

Giorgio Bernardelli
Debito dei Paesi poveri, questione di giustizia


Venticinque anni dopo la campagna del Duemila, Papa Francesco rilancia l’appello del Giubileo a condonare i prestiti a chi non può restituirli. La denuncia dell’Onu: «Il Sud del mondo ha pagato il conto più salato delle crisi» «Un invito accorato desidero rivolgerlo alle nazioni più benestanti, perché riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia». Nell’appello alla speranza che Papa Francesco lancia al mondo con l’Anno Santo del 2025 appena iniziato, queste parole della bolla di indizione Spes non confundit tornano a porre con forza il tema del debito pubblico dei Paesi più poveri. E lo riprende anche il messaggio di quest’anno del pontefice per la Giornata mondiale della pace, intitolato “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace”. Si tratta di un tema non nuovo per un Giubileo: già nel Duemila, Giovanni Paolo II aveva chiesto di fare propria quest’idea dalla radice biblica nel momento del passaggio da un millennio all’altro. Così 25 anni fa la remissione del debito diventò un tema importante anche per la società civile. Nel nostro Paese prese il volto di una campagna (sostenuta dalla Conferenza episcopale italiana) che portò alla cancellazione del debito bilaterale che due Paesi africani, la Zambia e la Guinea Conakry, avevano contratto con l’Italia e non erano più in grado di ripagare. Altri gesti – anche finanziariamente molto significativi – avvennero contemporaneamente in diversi Paesi. Perché ora Francesco sente il bisogno di rilanciare questo tema? Perché – soprattutto negli ultimi anni, per effetto della crisi globale innescata dalla pandemia e aggravata dalle ripercussioni del conflitto in Ucraina – in tanti Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia la questione del debito pubblico è riesplosa in maniera molto dura. «Ci troviamo di fronte a una crisi che genera miseria e angoscia, privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso – dice Papa Francesco, dando loro voce -. Nessun governo può esigere moralmente che il suo popolo soffra di privazioni incompatibili con la dignità umana». Qualcuno potrebbe domandarsi: ma se sono Pae­si poveri perché si indebitano? Ogni economia per finanziare i propri investimenti si fonda sul credito. Non a caso il Paese con la quota più alta di debito pubblico sono gli Stati Uniti, cioè la prima economia al mondo, seguiti (ma a molta distanza) dalla Cina. Tanto per dare le proporzioni: secondo alcuni dati rielaborati dall’Unctad – l’agenzia dell’Onu per il commercio e lo sviluppo – a fine 2023 il debito pubblico ha raggiunto a livello globale la cifra (record) di circa 97 mila miliardi di dollari. Di questi, però, oltre 33 mila miliardi di dollari sono debito Usa. L’intero debito pubblico italiano supera i 3 mila miliardi di dollari. Quello di tutti i Paesi dell’Africa considerati nel loro insieme supera di poco i 2 mila miliardi di dollari. Ma se in termini assoluti è relativamente piccolo, allora, perché il debito nei Paesi più poveri crea tanti problemi? Perché le condizioni per contrarlo non sono uguali per tutti. Proprio come accade a chi chiede un prestito in banca, anche i Paesi non sono trattati allo stesso modo dagli altri Stati, dagli organismi multilaterali (come il Fondo monetario internazionale, Fmi) o dai privati, i tre grandi soggetti che erogano crediti. Più un’economia è fragile e più i tassi di interesse da ripagare si alzano. A uno Stato africano la stessa cifra chiesta in prestito costa oggi 10 o 12 volte di più rispetto a quanto pagano la Germania o gli Stati Uniti. E proprio su questo divario la situazione negli ultimi anni si sta facendo sempre più insostenibile: i Paesi africani, per gli interessi sul loro debito, pagano attualmente 163 miliardi di dollari l’anno, contro i 61 che pagavano nel 2010. Si tratta di una zavorra sulle possibilità di sviluppo. Lo spiega bene proprio l’Unctad in un interessante rapporto intitolato “Un mondo di debito”, pubblicato alcuni mesi fa. Analizzando le vicende degli ultimi anni, emerge con chiarezza che il conto delle ripetute crisi che dalla pandemia in poi tutti abbiamo vissuto è stato pagato in maniera molto più salata dai Paesi poveri. «Quella del debito è una crisi nascosta – spiega Giovanni Valensisi, economista italiano dell’Unctad che è tra i curatori del rapporto -. Nel quadro complessivo le cifre che coinvolgono i Paesi in via di sviluppo sembrerebbero piccole. Ma se si guarda a che cosa provocano nelle loro società, l’impatto è enorme». Oltre 3,3 miliardi di persone in Africa, America Latina e in Asia, per esempio, oggi vivono in Paesi che sono costretti a spendere più soldi per ripagare gli interessi sui debiti da loro contratti che per finanziare la sanità o l’istruzione. Nella metà dei Paesi in via di sviluppo, oltre il 6,3% di tutte le entrate generate dalle esportazioni sono destinate a ripagare i creditori. Una “tassa” iniqua sui Paesi poveri: l’Unctad ricorda che quando nel 1953 fu stipulato l’Accordo di Londra sul debito di guerra della Germania si stabilì che gli interessi pagati dai tedeschi non dovessero eccedere il 5% delle entrate generate dalle esportazioni, per non minarne la ripresa. Oggi però, per decine di Paesi del Sud del mondo, questo principio elementare di un’economia attenta al futuro non viene fatto valere. Ma durante la pandemia non erano stati previsti aiuti sul debito per i Paesi poveri? «Nel 2020 – risponde Valensisi – i Pae­si del G20 avevano congelato per due anni alle nazioni in via di sviluppo il pagamento degli interessi sul loro debito. Quella pausa, però, è finita proprio quando con la guerra in Ucraina la situazione si era fatta addirittura peggiore, perché le politiche monetarie adottate dagli stessi Paesi economicamente più forti per contenere l’inflazione avevano fatto schizzare alle stelle tutti i tassi di interesse». A quel punto non sono arrivati nuovi interventi. E in un contesto in cui il 61% del debito dei Paesi in via di sviluppo, ormai, non è più prestato da Stati o creditori multilaterali, ma da privati (banche o investitori che acquistano particolari strumenti finanziari), c’è stato addirittura un effetto contrario: «Il problema è la volatilità di queste fonti di finanziamento – commenta l’economista dell’Unctad -. Appena nei Paesi più sviluppati i rendimenti dei titoli pubblici sono saliti, le scelte dei risparmiatori sono cambiate, abbandonando gli altri mercati. Così nel 2022 – proprio nel momento in cui avrebbero avuto più bisogno di risorse- i Paesi economicamente più fragili si sono ritrovati a dover versare in interessi a banche e investitori privati più soldi di quelli che ricevevano in nuovi prestiti». C’è l’osservazione di questi meccanismi perversi, dunque, dietro l’appello di Papa Francesco a riportare sotto i riflettori il tema del debito in occasione di questo Giubileo. Con la consapevolezza, però, che oggi condonarne quote importanti è un’operazione più complessa rispetto a 25 anni fa. Perché il più ampio coinvolgimento di investitori privati moltiplica gli interlocutori con i quali occorrerà negoziare questo atto di giustizia. È il motivo per cui il Pontefice ha esortato anche a compiere un passo in più: immaginare «una nuova architettura finanziaria internazionale, che sia audace e creativa». Per far sì che il peso delle crisi di domani non finisca di nuovo per scaricarsi sulle spalle dei poveri. Sul tavolo alcune idee esistono: «Un primo passo – spiega Valensisi – sarebbe affrontare il tema della rappresentatività: coinvolgere davvero e in maniera significativa i Paesi in via di sviluppo ai tavoli in cui vengono prese le decisioni. Ma si ragiona anche su meccanismi per affrontare il problema dei costi eccessivi del debito: un’ipotesi è potenziare le Banche multilaterali e regionali di sviluppo, sia in termini di capitalizzazione e di conseguente capacità di prestito, sia facendo in modo che siano loro ad ammortizzare parte dei rischi, emettendo una quota dei prestiti in valute locali. Soprattutto, però, occorre far crescere una sensibilità finanziaria nell’erogare crediti che privilegino nei Paesi poveri progetti che creano sviluppo a lungo termine». Esempi di un percorso possibile. Perché – come nell’idea biblica del Giubileo – si possa ripartire davvero tutti insieme.
(fonte: Mondo e Missione 02/01/2025)

La culla della vita e il silenzio di un bimbo - La lettera del vescovo: «Tutti coinvolti»

Neonato trovato morto a Bari

La culla della vita e il silenzio di un bimbo

Un dramma silenzioso ha scosso Bari: un neonato è stato trovato senza vita in una culla per la vita presso una chiesa della città, un luogo simbolo di accoglienza e protezione. L’episodio, intriso di dolore e domande, non deve oscurare il valore di questi strumenti, che incarnano la speranza e la solidarietà di una società capace di accogliere. Tra sgomento e riflessione, si riafferma l’urgenza di monitorare costantemente le culle e di promuovere una legislazione che le valorizzi come parte integrante di una comunità accogliente

(Foto ANSA/SIR)

La notizia è esplosa con il fragore di un esplosivo, ma è una notizia triste, tanto triste. E amara. Nella culla per la vita installata presso una chiesa di Bari è stato trovato un bimbo senza vita. Una stridente contraddizione: nel luogo adibito a custodire e a proteggere l’esistenza dei più piccoli e fragili degli esseri umani, il corpicino senza vita di un bambino nato da poco. Che contraddizione! Perché? Cosa è successo? Al momento sono in corso le indagini del caso e si avanzano delle ipotesi: potrebbe non aver funzionato il meccanismo di allarme oppure il piccolo era già morto… Quali riflessioni accanto allo sgomento?
Primo: l’amaro episodio non deve assolutamente mettere in ombra il grande significato delle culle, quello di essere espressione di una società che accoglie, che parla di speranza, di solidarietà e di fiducia, di riconoscimento dell’uguale valore di ogni vita umana. Le culle non parlano di “abbandono”, ma di “affidamento”, come si è reso evidente nei molti casi che dall’inizio degli anni ’90 – per quanto riguarda l’esperienza del Movimento per la Vita Italiano – hanno visto neonati e neonate salvati grazie a un’alternativa sicura alla morte per aborto, infanticidio o tragico abbandono o rifiuto in un cassonetto della spazzatura. Questa è anche la via per aprire, pur in situazioni difficili, di miseria morale e materiale, uno spazio di serenità nel cuore della mamma che quel bimbo o quella bimba ha dato alla luce e nei genitori che quel figlio o quella figlia hanno generato: il figlioletto o la figlioletta saranno accolti e amati da chi potrà prendersene cura.

In fondo, anche nella disperazione, questo desiderio alberga nelle profondità dell’animo di una madre e di un padre, anche quando manca la lucidità per decifrarlo in tutti i tratti.

Secondo. Se non avesse funzionato il meccanismo di allarme? Solo il pensiero fa sentire forte la morsa della beffa, ma contiene un monito: non basta installare le culle, le culle vanno periodicamente monitorate. Sono troppo importanti per essere lasciate a se stesse, perché sono chiamate a proteggere il bene più fondamentale di tutti, la vita umana, e non possiamo permetterci sviste. Certo, errori, difetti di costruzione e di manutenzione, possono accadere e di fatto accadono – purtroppo – in tanti contesti che dovrebbero tutelare la vita (edifici, mezzi di trasporto, ambienti di lavoro…), ma proprio per questo l’accortezza deve essere sempre massima. Sempre, in ogni luogo dove gli uomini vivono, abitano, viaggiano, lavorano…
Terzo. E se il bimbo fosse stato deposto già privo di vita? Sarebbe un segnale: che qualcuno si accorga che è esistito, che è uno di noi, che merita una degna sepoltura! Quelle spoglie invocano preghiera, raccoglimento, riflessione… Quanti bambini muoiono nelle guerre senza che vengano ricordati, forse senza neanche una cerimonia funebre… E quanti bambini non nati sono invece considerati “rifiuti speciali” anziché sorelle e fratelli che, come tutti i nati, meritano il rispetto che si deve a chi ha oltrepassato la vita terrena! Che dire poi di quella moltitudine di bimbi cui viene impedito di nascere?

Ecco quante cose ci dice quel piccolo bimbo trovato senza vita nella culla per la vita.
 Abbiamo di che meditare.

Ma c’è ancora un altro aspetto – il quarto, ma non meno importante – che esige una riflessione: forse è davvero giunto il momento di mettere mano a un provvedimento legislativo che disciplini le culle in armonia con il parto in anonimato, nel contesto di una campagna di sensibilizzazione sul significato e la portata delle culle per la vita come autentica espressione di una comunità accogliente che sa prendersi cura dei più fragili.

Infine, l’ultima parola, quella che raccoglie tutte le riflessioni, è lasciata all’abbraccio verso tutti coloro che questa vicenda coinvolge: il bambino che ha raggiunto il Cielo, la sua mamma, il suo babbo, chi è stato ed è loro vicino, il parroco della chiesa che ospita la culla, addolorato e sconcertato, chi sta facendo le indagini, e tutti noi, chiamati idealmente a raccolta da un bimbo piccolo piccolo che dal Cielo sembra dirci: “Non lasciatevi vincere dallo sconforto. Potete migliorare, potete ancora salvare, continuate a fidarvi perché la Vita vince e la Speranza vi accompagna”.
(fonte: Sir, articolo di Marina Casini 02/01/2025)

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La lettera del vescovo sul neonato morto nella culla termica:
«Tutti coinvolti»

È ancora sotto choc, la città di Bari, dopo il ritrovamento del corpicino esanime di un neonato nella culla della vita di una chiesa. Un macabro “gioco”, secondo il parroco don Antonio Ruccia, secondo cui il sistema di allarme legato al dispositivo non sarebbe suonato perché il piccolo vi sarebbe stato deposto già privo di vita, forse perché la madre ne voleva garantire il funerale. O - ma la circostanza dovrà essere dimostrata dopo accurate analisi - un malfunzionamento della culla stessa, che non si è azionata come avrebbe dovuto. Oggi intanto sulla drammatica vicenda ha deciso di intervenire l'arcivescovo della città, Giuseppe Satriano, richiamando ciascuno alla propria responsabilità: «Il neonato senza nome, ritrovato esanime nella culla, è una speranza di vita negata, e rappresenta il culmine di una serie di fragilità e difficoltà sociali, che spesso non emergono alla luce dei riflettori. È un richiamo urgente per tutti noi: nessuna vita, dal concepimento fino all’ultimo respiro, sia abbandonata nell'indifferenza. È un invito a un impegno più forte, collettivo, per dare supporto a chi si trova in condizioni di vulnerabilità, per costruire una società che non lasci indietro nessuno, anche nelle situazioni più difficili. Con amarezza profonda prendiamo coscienza che dietro la vetrina luccicante del Natale, esistono storie di solitudine, di fragilità e di disperazione, che non possiamo ignorare. Simbolo di rinascita, di solidarietà e di vicinanza, il Natale di Gesù ci invita a guardare oltre le apparenze, a cogliere le difficoltà e le sofferenze che talvolta si nascondono dietro a sorrisi forzati e auguri di circostanza».

Ancora, continua Satriano, «come pastore di questa comunità, soffro con voi per la perdita di una tenera vita, e provo dolore per quanto vissuto da chi ha deposto quel corpicino nella culla termica della parrocchia. Entrambi sono il frutto di una cultura dello scarto che inesorabilmente si fa strada in un mondo sempre più avvitato su se stesso e poco attento ai più deboli e fragili. Invito tutti, a partire da me, a un momento di riflessione personale e collettiva, affinché il dolore di oggi diventi un impegno concreto per un futuro più giusto e solidale. Lunedì 6 gennaio, solennità dell’Epifania e giornata dedicata all’infanzia missionaria, si abbia cura nelle celebrazioni eucaristiche di ricordare questo bambino e il tragico evento della sua morte nella preghiera dei fedeli: "Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede per il piccolo fratello che ha sfiorato questa nostra esistenza. La sua drammatica scomparsa ci rattrista il cuore e se con forza gridiamo la nostra indignazione, al tempo stesso avvertiamo il dovere di un maggiore impegno a servizio della vita. Accogli tra le tue braccia questo nostro fratellino e donaci l’audacia di un amore senza misura per chi è fragile ed è smarrito"».

La speranza del vescovo è che «questo dramma susciti in noi maggiore attenzione e cura verso la vita, quando è più indifesa, offrendo sostegno concreto a chi vive nell’ombra. Onoriamo il senso profondo del Natale facendo in modo che eventi come questo non rimangano solo segni di dolore, ma anche di riflessione e cambiamento». ...




Sulla scia della marcia della pace a Pesaro: Non farsi risucchiare da una mentalità di guerra - Perché marciare per la pace?

Sulla scia della marcia della pace a Pesaro

Non farsi risucchiare da una mentalità di guerra


L’anno che è appena entrato sia un anno di impegno per tutti, affinché con scelte concrete si mettano a tacere le armi e si percorrano le strade della pace, della nonviolenza, del disarmo, dell’incontro tra popoli. È l’auspicio di don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, all’indomani della Giornata Mondiale della Pace, il primo gennaio 2025, dal titolo scelto da Francesco, «Rimetti a noi i nostri debiti: concedi la tua pace». Un tema sul quale hanno riflettuto i partecipanti alla 57ª marcia della pace, svoltasi il 31 dicembre a Pesaro, organizzata come di consueto da Cei, Pax Christi, Agesci, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari, Azione Cattolica, quest’anno anche da Acli Nazionali e associazione Libera. Tutti in cammino accompagnati dalle parole del Papa che «ci spinge nella direzione della pace», indica don Renato, «lui che non cessa mai di chiedere che tacciano le armi, e di indicare che la guerra è una tragedia e un suicidio». Per questo ai partecipanti alla marcia è stato anche distribuito il numero speciale della rivista «Mosaico di pace», dedicato proprio al messaggio di Francesco.

Mai come in questo anno giubilare, è necessario che la parola pace sia un impegno da declinare anche gli altri 364 giorni, così come chiesto da Paolo VI nel 1968, istituendo per il primo gennaio di ogni anno la Giornata. Per tutto il 2025 si porterà avanti una riflessione sui tre temi posti dal Papa nel suo messaggio per la Giornata: la riduzione, se non proprio il totale condono, del debito internazionale, il disarmo, l’eliminazione della pena di morte.

«Noi, come Pax Christi, siamo più impegnati sul disarmo, ma anche sulla pena di morte, e la motivazione del Giubileo è sempre quella: chi è il padrone della vita? Chi è il Signore della vita? Non siamo noi. Non abbiamo diritto di uccidere, né di condannare nessuno a morte, perché la vita ha un valore assoluto dal concepimento fino al termine dei suoi giorni e la vita non va distrutta con l’investimento in armi». Sacco quindi ribadisce la «sconfortante sproporzione» dichiarata dal presidente italiano Mattarella, nel suo messaggio di fine anno, a proposito dell’aumento della spesa degli armamenti, arrivata alla «cifra record di 2.442 miliardi di dollari», il che significa «otto volte di più di quanto stanziato alla recente Cop29, a Baku, per contrastare il cambiamento climatico, esigenza, questa, vitale per l’umanità». Inoltre, «a livello globale», erano state le parole di Mattarella, «aumenta in modo esponenziale la ricchezza di pochissimi, mentre si espande la povertà di tanti». Le parole del presidente rappresentano «un segno di speranza», aggiunge Sacco, poiché «di solito sono gli attivisti per la pace a dirlo».

Di qui l’augurio che ne conseguano scelte concrete anche da parte dell’Italia che nel 2025 investirà circa 32 miliardi di euro in armamenti. «L’impegno vero — conclude Sacco — deve essere quello di non farci risucchiare da una mentalità di guerra, come indicato da molti che dicono che dobbiamo prepararci alla guerra che, tra l’altro, potrebbe rilanciare l’economia. Invece, la marcia della pace di due giorni fa, e i giorni che seguiranno, devono segnare il no agli investimenti in armamenti, il no agli F35, ai nuovi carri armati, e il no alla morte per le armi nucleari». L’impegno di tutti, e in particolare per i cristiani, deve essere quello di seguire l’annuncio del Vangelo, e, come «fecero i Magi al loro ritorno dall’incontro con il Bambino», di cambiare la strada, per «costruire la pace rimettendo i debiti e creando giustizia».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Francesca Sabatinelli 02/01/2025)


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Perché marciare per la pace?

Nata come segno di contraddizione, la marcia della notte del 31 dicembre promossa dalla Chiesa italiana avviene oggi in uno scenario oscuro. Nel Giubileo della Speranza si può ripartire dalle testimonianze credibili, come quella dei lavoratori che hanno reso possibile le legge 185/90. In onore di Marco Tamborini

Attesa aiuti alimentari a Gaza 2024 EPA/HAITHAM IMAD

«Un appello inutile come tanti altri lanciati da papa Francesco». Non ha usato rituali toni enfatici la teologa Marinella Perroni interpellata a caldo, da Radio 1, dopo l’Angelus di domenica 29 dicembre 2024 che ha invitato a fermare la strage in corso nelle guerre in atto, dall’Ucraina al Medio Oriente, dal nord Kivu fino al Sudan e così via.

È ragionevole chiedersi a cosa servano le marce e le manifestazioni per la pace collegate con la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Quella promossa dalla Chiesa italiana grazie all’azione del movimento Pax Christi aveva un senso preciso quando è nata nel clima sociale del 1968, con il corteo che si fermava sotto le finestre del carcere dove erano reclusi gli obiettori al servizio militare.

Pochi anni prima don Lorenzo Milani fu condannato in appello per aver incitato alla diserzione con le sue lettere ai cappellani militari e ai giudici. Non scontò la pena perché nel frattempo era deceduto per un male inguaribile, ma era consapevole di aver accesso un fuoco destinato ad ardere nel cuore di tante generazioni. Prima di lui era stato condannato penalmente, per gli stessi motivi di incitamento alla disobbedienza, anche padre Ernesto Balducci e lo stesso sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, era stato oggetto di indagine penale per apologia di reato per aver fatto proiettare pubblicamente il film francese di Autant Lara “Non uccidere”, dedicato all’obiezione di coscienza, scatenando polemiche con esponenti del suo stesso partito.

Il primo gennaio 1968 il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, condannò apertamente i bombardamenti Usa in Vietnam, pagandone poi le conseguenze disciplinari ma quella presa di posizione esplicita, dei cristiani che non potevano restare indifferenti davanti al male, è stata citata da Francesco come esempio da seguire quando, nel 2017, si è recato in visita nella città delle due torri.

Non mancano oggi motivi per dare al gesto collettivo della marcia della pace un valore che oltrepassa i confini di una manifestazione di tipo religioso e quindi sostanzialmente innocua.

Il servizio militare obbligatorio è sospeso da anni anche se ormai si fanno insistenti le pressioni per costituire una più cospicua forza in grigioverde, pronta ad operare nella peggiore delle ipotesi di un allargamento del conflitto in Europa. A non essere impreparato è, ad ogni modo, il sistema produttivo italiano che vede il comparto della difesa in costante crescita verso l’esportazione di armi come attesta l’autorevole fonte del Sipri di Stoccolma.

L’indicazione univoca da parte dei vertici dell’Unione Europea è quella, come affermato testualmente, di “trasformare l’economia in assetto di guerra”, mentre il neo segretario della Nato, l’ex premier liberale olandese Mark Rutte, invita ad «assumere una mentalità di guerra».

L’obiettivo del 2% del Pil da destinare alle spese militari è un impegno ormai preso da tempo dai Paesi della Nato, alcuni dei quali lo hanno superato da tempo, come la Polonia. Per non tagliare su altre spese pubbliche necessarie, il ministro della Difesa Crosetto propone di non far entrare le spese militari tra quelle tenute a rispettare i vincoli del patto di stabilità, mentre l’ex presidente del consiglio Enrico Letta, già segretario dem, ha avanzato l’ipotesi di destinare i fondi del Meccanismo europeo di stabilità.

Tutte le cancellerie europee sanno di dover affrontare i sussulti di un gigantesco ottovolante con l’entrata effettiva, tra pochi giorni, nella Casa Bianca di Donald Trump che, da consumato imprenditore dell’azzardo quale è, ha già lanciato proclami sulla necessità di raggiungere addirittura il 5% del Pil in armi.

Aperto ad ogni prospettiva appare il conflitto tra Ucraina e Russia, mentre non si fermerà l’orrore a Gaza. La notte di Natale, come ha raccontato Lucia Capuzzi su Avvenire, sono morti di freddo 4 neonati sotto le tende mentre anche l’ospedale Kamal Adwan ha dovuto interrompere ogni attività con i sanitari palestinesi catturati con l’accusa di terrorismo.

Una lenta assuefazione all’orrore che proprio le marce della pace degli anni 60 hanno cercato di impedire e scuotere con un gesto silenzioso nella notte popolata di festeggiamenti rituali e schiamazzi.

Nel 2024, come rilevano tanti sondaggi e indagini sociologiche, sembra prevalere un senso di impotenza che rischia di far apparire inutile ogni più nobile intenzione, come quella espressa nella marcia della pace del 31 dicembre 2024 a Pesaro nelle Marche. In una regione operosa dove, ad esempio, centinaia di lavoratori vivono giorni di angoscia per la perdita del lavoro prevista nel 2025 con la delocalizzazione della produzione di elettrodomestici annunciata dalla multinazionale turca Beko. Un complesso industriale che fino a pochi anni addietro era un punto di forza italiano con il gruppo Merloni.

È quindi forse vero che ormai solo l’economia di guerra è garanzia di occupazione? O non è forse un intero sistema che va messo in discussione?

Ci hanno provato nella storia di questo nostro Paese, lavoratori come Marco Tamborini, scomparso da pochi giorni, che negli anni 80 si esposero apertamente per obiettare alla produzione bellica destinata a Stati repressivi dei diritti umani. Si deve al loro impegno di persone credibili, disposte a mettere in pericolo la loro stessa vita, se poi l’Italia ha adottato la legge 185/90 che ha cercato di porre dei limiti all’esportazione di armi nel mondo. Senza quella legge sarebbe stato impossibile impedire, dal 2019 al 2023, l’invio di migliaia di missili e bombe destinate ad alimentare il disastroso conflitto in Yemen.

Tamborini era uno dei lavoratori dell’Aermacchi, azienda ora confluita nella società Leonardo. Come ricorda il suo amico e sodale Elio Pagani, operai e impiegati elessero direttamente un “Consiglio di Fabbrica” al posto della “Commissione interna” nominata dall’alto dalle organizzazioni sindacali. Tamborini era convinto che non bastasse parlare solo del salario ma di molti altri diritti e del “cosa, come e per chi” produrre in nome dell’internazionalismo e solidarietà tra i popoli. Per questo quei lavoratori diedero vita al “Comitato contro i mercanti di morte” che fu uno dei protagonisti nel raggiungere l’obiettivo della legge 185/90.

Una campagna che proseguì anche dopo l’espulsione dalla fabbrica promuovendo il «Comitato “Cassaintegrati Aermacchi per la Pace e il Diritto al lavoro”.

Una radicalità di vita incomprensibile senza una forte spinta a quella conversione non solo delle persone ma delle strutture ingiuste, che è al cuore del Giubileo iniziato in contemporanea con la fine dei giorni terreni di Marco Tamborini.

Si annuncia ormai a gennaio 2025 lo smantellamento della legge 185/90 approvata grazie a persone come Marco, che almeno le centinaia di persone in marcia a Pesaro non possono dimenticare.

Ad essere inutile tragicamente è solo la guerra.
 (fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 31/12/2024)



giovedì 2 gennaio 2025

Intenzione di preghiera per il mese di Gennaio 2025: Preghiamo per il diritto all'educazione. (commento, testo, video e tweet)

Intenzione di preghiera per il mese di Gennaio 2025 
Preghiamo per il diritto all'educazione.

Preghiamo perché i migranti, i rifugiati e le persone colpite dalla guerra vedano sempre rispettato il proprio diritto all’educazione, necessaria per costruire un mondo migliore.

Papa Francesco: Oggi si sta verificando una catastrofe educativa 
  • Nel video che illustra la sua intenzione di preghiera per il mese di gennaio, il Papa sottolinea che circa 250 milioni di bambini in tutto il mondo non sono scolarizzati.
  • Le migrazioni, gli spostamenti a causa della guerra e la povertà sono le principali cause di questo fenomeno. 
  • Il Pontefice invita a pregare “perché i migranti, i rifugiati e le persone colpite dalla guerra vedano sempre rispettato il proprio diritto all’educazione, necessaria per costruire un mondo più umano”.

Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Oggi si vive una “catastrofe educativa”. E non è un’esagerazione. 

A causa delle guerre, delle migrazioni e della povertà, 
circa 250 milioni di bambini e bambine non hanno accesso all’istruzione.
Tutti i bambini e i giovani hanno diritto a frequentare la scuola, 
indipendentemente dalla loro situazione migratoria.

L’educazione è una speranza per tutti: 
può salvare migranti e rifugiati dalla discriminazione, 
dalle reti criminali e dallo sfruttamento… Tanti minori sfruttati! 
E può aiutarli a integrarsi nelle comunità che li stanno accogliendo.

L’educazione ci apre le porte a un futuro migliore. 
E così, i migranti e i rifugiati possono contribuire alla società, 
sia nel loro nuovo Paese sia nel Paese d’origine, se decidono di tornare.
E non dimentichiamo mai che chi accoglie lo straniero accoglie Gesù Cristo.

Preghiamo perché i migranti, i rifugiati e le persone colpite dalla guerra 
vedano sempre rispettato il proprio diritto all’educazione, 
educazione necessaria per costruire un mondo più umano.


Nella sua intenzione di preghiera per il mese di gennaio, Papa Francesco difende il diritto all’educazione dei bambini e dei giovani che, a causa delle migrazioni, degli spostamenti causati dalle guerre e dalla povertà, sono privi di qualsiasi tipo di istruzione. Nel videomessaggio che la illustra, realizzato dalla sua Rete Mondiale di Preghiera, parla di una vera e propria “catastrofe educativa” che ha lasciato senza scuola circa 250 milioni di bambini.

Educazione per tutti, indipendentemente dalla situazione migratoria

I bambini e i giovani che migrano o si spostano a causa delle guerre affrontano interruzioni nel processo educativo a causa della necessità di fuggire dalla loro terra natale. In molti casi, le scuole in zone di conflitto o nei campi profughi hanno un accesso molto limitato a materiali educativi, infrastrutture adeguate e insegnanti qualificati.

Inoltre, quando i bambini e i giovani si trasferiscono in altri Paesi o regioni, il loro status migratorio può impedire loro di accedere all’istruzione e, di conseguenza, a un futuro migliore. Per questo, Papa Francesco afferma nel video che “tutti i bambini e i giovani hanno diritto a frequentare la scuola, indipendentemente dalla loro situazione migratoria”: una richiesta avanzata anche in precedenti occasioni, quando il Pontefice aveva chiesto che si assicuri ai migranti e ai rifugiati “l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria”, così come “la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare i loro studi”.

La Chiesa in prima linea

Sono proprio i bambini e i ragazzi in fuga da conflitti o povertà i protagonisti delle immagini che accompagnano le parole di Francesco: Il Video del Papa di questo mese testimonia l’impegno in prima linea della Chiesa per garantire loro l’educazione anche nei contesti più complicati. Ci sono i centri educativi realizzati dalla Fondazione AVSI per i bambini rifugiati – in buona parte siriani – in Giordania e Libano. Ci sono le scuole salesiane a Palabek, in Uganda, dove il 60 per cento dei migranti sudsudanesi ha meno di 13 anni. C’è l’Instituto Madre Asunta di Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti, retto dalla famiglia scalabriniana e frequentato dai minori provenienti da vari Paesi latinoamericani. C’è l’impegno in diversi continenti del JRS, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati, presente anche nell’est del Ciad, accanto a intere generazioni nate e cresciute nei campi profughi. Ci sono i volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII che accompagnano nello studio i minori giunti in Grecia e in Italia attraverso le rotte migratorie. E non mancano poi gli sforzi delle organizzazioni internazionali, come l’Unicef, presente con progetti educativi in numerosi Paesi di accoglienza, dove negli ultimi anni molti bambini fuggiti dalla guerra in Ucraina hanno potuto frequentare corsi di lingua.

La preoccupazione del Papa per migranti e rifugiati

L’intenzione di preghiera di Papa Francesco per il mese di gennaio riflette uno dei temi principali del suo pontificato: la preoccupazione per i migranti e i rifugiati, che nasce dalle parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (25,35): “Ero straniero e mi avete accolto”. Per questo, nel suo videomessaggio, il Pontefice sottolinea: “Non dimentichiamo mai che chi accoglie lo straniero accoglie Gesù Cristo”.

Il Santo Padre ha già dedicato in passato diverse intenzioni di preghiera alla crisi dei migranti e dei rifugiati, una delle maggiori sfide del nostro tempo; l’ultima è stata a giugno 2024, quando ha chiesto di pregare “perché i migranti in fuga dalle guerre o dalla fame, costretti a viaggi pieni di pericoli e violenze, trovino accoglienza e nuove opportunità di vita nei Paesi che li ospitano”.

Il Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, P. Cristóbal Fones, S.J., ricorda che “in diverse occasioni, Papa Francesco ha affermato che è necessario accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati: comportamenti che tutti possiamo e dobbiamo coltivare nella nostra vita quotidiana. Vogliamo aiutare durante questo mese a scoprirli e metterli in pratica negli ambienti in cui viviamo. Il Papa ci dice che ogni straniero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, che nel Vangelo si identifica con lo straniero accolto o rifiutato, in qualsiasi epoca della storia”.

“Anche nella Bolla di Convocazione del Giubileo Ordinario che stiamo celebrando, il Papa chiede che si garantisca ai migranti e ai rifugiati non solo sicurezza e accesso al lavoro, ma anche istruzione”, continua il P. Fones. “È bene ricordare, a proposito del Giubileo, che una delle condizioni necessarie per ottenere le indulgenze concesse in occasione di questo Anno Santo è, precisamente, pregare per le intenzioni del Sommo Pontefice, che sono molto concrete e che durante questo mese si concentrano sul rispetto di questo diritto fondamentale di persone molto vulnerabili”.

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Anche nel mese di Gennaio l'intenzione di preghiera del Papa è stata divulgata con un tweet





Papa Francesco «In questo primo giorno dell’anno, dedicato alla pace, pensiamo a tutte le mamme... Quanto è bella la pace! E quanto è disumana la guerra, che spezza il cuore delle mamme!» Angelus 01/01/2025 (testo e video)

SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
LVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Mercoledì, 1° gennaio 2025


Cari fratelli e sorelle, buon anno!

La sorpresa e la gioia del Natale continuano nel Vangelo della liturgia di oggi (Lc 2,16-21), che narra l’arrivo dei pastori alla grotta di Betlemme. Dopo l’annuncio degli angeli, infatti, essi «andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, adagiato nella mangiatoia» (v. 16). Questo incontro riempie tutti di stupore, perché i pastori «riferirono ciò che del bambino era stato detto loro» (v. 17): il nuovo nato è il «salvatore», il «Cristo», il «Signore» (v. 11)!

Riflettiamo su quello che i pastori hanno visto a Betlemme, il bambino, e anche su quello che non hanno visto, cioè il cuore di Maria, che serbava e meditava tutti questi fatti (cfr v. 19).

Anzitutto, il bambino Gesù: questo nome ebraico significa “Dio salva”, ed è proprio ciò che farà. Il Signore, infatti, è venuto nel mondo per donarci la sua stessa vita. Pensiamo a questo: tutti gli uomini sono figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere. Dio invece ha scelto di nascere per noi. Dio ha scelto. Gesù è la rivelazione del suo amore eterno, che porta nel mondo la pace.

Al neonato Messia, che manifesta la misericordia del Padre, corrisponde il cuore di Maria, la Vergine Madre. Questo cuore è l’orecchio che ha ascoltato l’annuncio dell’Arcangelo; questo cuore è la mano di sposa data a Giuseppe; questo cuore è l’abbraccio che ha avvolto Elisabetta nella sua vecchiaia. Nel cuore di Maria, nostra Madre, batte la speranza; batte la speranza della redenzione e della salvezza per ogni creatura.

Le mamme! Le mamme hanno sempre a cuore i loro figli. Oggi, in questo primo giorno dell’anno, dedicato alla pace, pensiamo a tutte le mamme che gioiscono in cuor loro, e a tutte le mamme che hanno il cuore pieno di dolore, perché i loro figli sono stati portati via dalla violenza, dalla superbia, dall’odio. Quanto è bella la pace! E quanto è disumana la guerra, che spezza il cuore delle mamme!

Alla luce di queste riflessioni, ognuno di noi si può domandare: so rimanere in silenzio a contemplare la nascita di Gesù? E cerco di custodire nel cuore questo Avvenimento, il suo messaggio di bontà e di salvezza? E io, come posso ricambiare un dono così grande con un gesto gratuito di pace, di perdono, di riconciliazione? Ognuno di noi troverà qualcosa da fare, e questo farà bene.

Maria, la Santa Madre di Dio, ci insegni a custodire nel cuore e a testimoniare nel mondo la gioia del Vangelo.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

a tutti voi, romani e pellegrini, e a quanti seguono attraverso i media auguro ogni bene per il nuovo anno. Ringrazio il Presidente della Repubblica Italiana per il ricordo nel suo messaggio alla Nazione e ricambio di cuore assicurando la mia preghiera. Buon anno, Signor Presidente!

Il Papa San Paolo VI volle che il primo giorno dell’anno diventasse la Giornata Mondiale della Pace. Quest’anno essa si caratterizza, a motivo del Giubileo, per un tema peculiare: quello della remissione dei debiti. Il primo a rimettere i debiti è Dio, come sempre gli chiediamo pregando il “Padre nostro”, riferendoci ai nostri peccati e impegnandoci a perdonare a nostra volta chi ci ha offeso. E il Giubileo chiede di tradurre questa remissione sul piano sociale, perché nessuna persona, nessuna famiglia, nessun popolo sia schiacciato dai debiti. Incoraggio pertanto i Governanti dei Paesi di tradizione cristiana a dare buon esempio, cancellando o riducendo quanto più possibile i debiti dei Paesi più poveri.

Ringrazio per tutte le iniziative di preghiera e impegno per la pace promosse in ogni parte del mondo dalle comunità diocesane e parrocchiali, da associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali, come la Marcia nazionale per la pace che si è svolta ieri a Pesaro. E saluto i partecipanti alla manifestazione “Pace in tutte le terre” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in diversi Paesi. Saluto la Comunità di Sant’Egidio, che è lì.

Esprimo il mio grato apprezzamento a tutti coloro che nelle tante aree di conflitto lavorano per il dialogo e per i negoziati. Preghiamo perché su ogni fronte cessino i combattimenti e si punti decisamente alla pace e alla riconciliazione. Penso alla martoriata Ucraina, a Gaza, a Israele, al Myanmar, al Kivu e a tanti popoli in guerra. Ho visto nel programma “A Sua Immagine” filmati e fotografie della distruzione che fa la guerra. Fratelli, sorelle, la guerra distrugge, distrugge sempre! La guerra è sempre una sconfitta, sempre.

Saluto di cuore tutti voi, romani e pellegrini, in particolare le bande musicali di alcune scuole degli Stati Uniti d’America: da Michigan, California, Oklahoma e North Carolina. Grazie della vostra musica! Come pure saluto i fedeli di Pontevedra, in Spagna, e i volontari della Fraterna Domus. E saluto i ragazzi dell’Immacolata: lottate per la pace!

A tutti auguro un buon inizio d’anno, con la benedizione del Signore e della Vergine Madre. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video



SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO LVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 01/01/2025 Papa Francesco «Affidiamo a Maria questo nuovo anno giubilare... Lei è mamma, lei è madre! Affidiamo a Lei il mondo intero, perché rinasca la speranza, perché finalmente germogli la pace per tutti i popoli della Terra.» Omelia (cronaca, foto, testo e video)

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
LVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Basilica di San Pietro
Mercoledì, 1° gennaio 2025


"Nato da donna. Quest’espressione ci parla anche dell’umanità del Cristo, per dirci che Egli si svela nella fragilità della carne. Se è disceso nel grembo di una donna, nascendo come tutte le creature, ecco che Egli si mostra nella fragilità di un Bambino". Questo Papa Francesco ha sottolineato nell'omelia della messa celebrata nella Basilica di San Pietro la mattina del primo giorno dell'anno civile in cui la Chiesa festeggia la solennità di Maria Santissima Madre di Dio e la 58esima Giornata Mondiale della Pace.

Il tema Giornata Mondiale della Pace di quest'anno: “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace” è stato illustrato nel Messaggio del Papa per l'occasione e oggi invece il Pontefice ha parlato della umanità di Gesù sottolineando che questa solennità «ci immerge nuovamente nel Mistero del Natale: Dio si è fatto uno di noi nel grembo di Maria e a noi, che abbiamo aperto la Porta Santa per dare inizio al Giubileo, oggi viene ricordato che “Maria è dunque la porta per cui Cristo entrò in questo mondo”». Il Pontefice invita ad affidare il 2025, anno giubilare, «a Maria, Madre di Dio, perché anche noi impariamo come Lei a trovare la grandezza di Dio nella piccolezza della vita; perché impariamo a prenderci cura di ogni creatura nata da donna, anzitutto custodendo il dono prezioso della vita, come fa Maria: la vita nel grembo materno, quella dei bambini, quella di chi soffre, la vita dei poveri, la vita degli anziani, di chi è solo, di chi è morente».

I riti all’altare sono presieduti dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
Come ogni anno tra coloro che hanno portato i doni all' offertorio c'erano alcuni dei " Cantori della stella" i bambini che secondo la tradizione germanica nei giorni dell' Epifania portano canti e doni di casa in casa.












OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


All’inizio di un nuovo anno che il Signore concede alla nostra vita, è bello poter elevare lo sguardo del nostro cuore a Maria. Ella infatti, essendo Madre, ci rimanda alla relazione con il Figlio: ci riporta a Gesù, ci parla di Gesù, ci conduce a Gesù. Così, la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio ci immerge nuovamente nel Mistero del Natale: Dio si è fatto uno di noi nel grembo di Maria e a noi, che abbiamo aperto la Porta Santa per dare inizio al Giubileo, oggi viene ricordato che «Maria è dunque la porta per cui Cristo entrò in questo mondo» (S. Ambrogio, Epistola 42, 4: PL, VII).

L’Apostolo Paolo sintetizza questo Mistero affermando che «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Queste parole – “nato da donna” – risuonano oggi nel nostro cuore e ci ricordano che Gesù, nostro Salvatore, si è fatto carne e si svela nella fragilità della carne.

Nato da donna. Questa espressione anzitutto ci riconduce al Natale: Il Verbo si è fatto carne. L’Apostolo Paolo specifica che è nato da donna, sente quasi la necessità di ricordarci che Dio si è fatto veramente uomo attraverso un grembo umano. C’è una tentazione, che affascina oggi tante persone ma che può sedurre anche tanti cristiani: immaginare o fabbricarci un Dio “astratto”, collegato a una vaga idea religiosa, a qualche buona emozione passeggera. Invece, è concreto, è umano: è nato da donna, ha un volto e un nome, e ci chiama ad avere una relazione con Lui. Cristo Gesù, il nostro Salvatore, è nato da donna; ha carne e sangue; viene dal seno del Padre, ma si incarna nel grembo della Vergine Maria; viene dall’alto dei cieli ma abita le profondità della terra; è il Figlio di Dio, ma si è fatto Figlio dell’uomo. Egli, immagine del Dio Onnipotente, è venuto nella debolezza; e pur essendo senza macchia, «Dio lo fece peccato in nostro favore» (2Cor 5,21). È nato da donna ed è uno di noi. Proprio per questo Egli può salvarci.

Nato da donna. Quest’espressione ci parla anche dell’umanità del Cristo, per dirci che Egli si svela nella fragilità della carne. Se è disceso nel grembo di una donna, nascendo come tutte le creature, ecco che Egli si mostra nella fragilità di un Bambino. Per questo i pastori andando a vedere con i loro occhi quanto l’Angelo ha loro annunciato, non trovano segni straordinari o manifestazioni grandiose, ma «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). Trovano un neonato inerme, fragile, bisognoso delle cure della mamma, bisognoso di fasce e di latte, di carezze e di amore. San Luigi Maria Grignion de Montfort dice che la Sapienza divina «non volle, benché potesse farlo, darsi direttamente agli uomini, ma preferì darsi per mezzo della Vergine Santa. Né volle venire al mondo all’età d’uomo perfetto, indipendente dagli altri, ma come povero e piccolo bambino, bisognoso delle cure e del sostentamento della Madre» (Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, 139). E così in tutta la vita di Gesù possiamo vedere questa scelta di Dio, la scelta della piccolezza e del nascondimento; Egli non cederà mai al fascino del potere divino per compiere grandi segni e imporsi sugli altri come gli aveva suggerito il diavolo, ma svelerà l’amore di Dio nella bellezza della sua umanità, abitando tra noi, condividendo la vita ordinaria fatta di fatiche e di sogni, mostrando compassione per le sofferenze del corpo e dello spirito, aprendo gli occhi dei ciechi e rinfrancando gli smarriti di cuore. Compassione. I tre atteggiamenti di Dio sono misericordia, vicinanza e compassione. Dio si fa vicino e misericordioso e compassionevole. Non dimentichiamo questo. Gesù ci mostra Dio attraverso la sua umanità fragile, che si prende cura dei fragili.

Sorelle e fratelli, è bello pensare che Maria, la fanciulla di Nazaret, ci riconduce sempre al Mistero del Figlio suo, Gesù. Ella ci ricorda che Gesù viene nella carne e, perciò, il luogo privilegiato dove poterlo incontrare è anzitutto la nostra vita, la nostra fragile umanità, quella di chi ogni giorno ci passa accanto. E invocandola come Madre di Dio, affermiamo che il Cristo è stato generato dal Padre, ma è nato veramente dal grembo di una donna. Affermiamo che Egli è il Signore del tempo ma abita questo nostro tempo, anche questo nuovo anno, con la sua presenza d’amore. Affermiamo che Egli è il Salvatore del mondo, ma possiamo incontrarlo e dobbiamo cercarlo nel volto di ogni essere umano. E se Lui, che è il Figlio di Dio, si è fatto piccolo per essere preso in braccio da una mamma, per essere curato e allattato, allora vuol dire che ancora oggi Egli viene in tutti coloro che hanno bisogno della stessa cura: in ogni sorella e fratello che incontriamo e che ha bisogno di attenzione, di ascolto, di tenerezza.

Questo nuovo anno che si apre, affidiamolo a Maria, Madre di Dio, perché anche noi impariamo come Lei a trovare la grandezza di Dio nella piccolezza della vita; perché impariamo a prenderci cura di ogni creatura nata da donna, anzitutto custodendo il dono prezioso della vita, come fa Maria: la vita nel grembo materno, quella dei bambini, quella di chi soffre, la vita dei poveri, la vita degli anziani, di chi è solo, di chi è morente. E oggi, Giornata Mondiale della Pace, questo invito che sgorga dal cuore materno di Maria siamo chiamati a raccoglierlo tutti: custodire la vita, prendersi cura della vita ferita – tanta vita ferita, tanta –, ridare dignità alla vita di ogni “nato da donna” è la base fondamentale per costruire una civiltà della pace. Per questo, «chiedo un impegno fermo a promuovere il rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro» (Messaggio per la LVIII Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2025).

Maria, Madre di Dio e Madre nostra, ci attende proprio lì nel presepe. Anche a noi mostra, come ai pastori, il Dio che ci sorprende sempre, che non viene nello splendore dei cieli, ma nella piccolezza di una mangiatoia. Affidiamo a lei questo nuovo anno giubilare, consegniamo a Lei le domande, le preoccupazioni, le sofferenze, le gioie e tutto ciò che portiamo nel cuore. Lei è mamma, lei è madre! Affidiamo a Lei il mondo intero, perché rinasca la speranza, perché finalmente germogli la pace per tutti i popoli della Terra.

La storia ci racconta che a Efeso, quando i vescovi entravano in chiesa, il popolo fedele, con i bastoni in mano, gridava: “Madre di Dio!”. E sicuramente i bastoni erano la promessa di quello che sarebbe accaduto se non avessero dichiarato il dogma della “Madre di Dio”. Oggi noi non abbiamo bastoni, ma abbiamo cuori e voci di figli. Per questo, tutti insieme, acclamiamo la Santa Madre di Dio. Tutti insieme, forte: “Santa Madre di Dio!”, per tre volte. Insieme: “Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!”.

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