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mercoledì 29 dicembre 2021

La Chiesa del futuro - Dialogo intergenerazionale tra mons. Luigi Bettazzi e i giovani.

La Chiesa del futuro

Dialogo intergenerazionale tra mons. Luigi Bettazzi e i giovani.
La Chiesa dal Concilio Vaticano II ai tempi nostri.


L’anno prossimo ricorrerà il sessantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, un momento molto importante che lei ha vissuto in prima persona.
Quanto di quel Concilio è ancora attuale oggi? Quali conseguenze concrete ha effettivamente avuto e che cosa invece non si è realizzato?

Il Concilio Vaticano II è stata una grande grazia, anche per il fervore e l’entusiasmo dei vescovi. Alcuni dei risultati raggiunti sono molto importanti. La cosa più evidente è la riforma liturgica, cioè il fatto che si dica la messa nella lingua della gente, anche se non c’è uno sforzo sufficiente perché sia davvero partecipata. Un altro risultato è stato consegnare la Bibbia nelle mani delle persone. Una volta era proibito leggerla: si poteva studiare il catechismo, ma non la Bibbia.

Questo era lo spirito del Concilio, anche se alcuni vescovi hanno espresso perplessità circa la messa in pratica delle novità. Alcuni in Vaticano ritenevano che bisognasse preservare la tradizione. Non tenevano presente che il verbo latino tradere (da cui tradizione) significa “tramandare”, cioè aiutare a vivere le verità di sempre in modo adatto alla mentalità della gente che cambia.

Una cosa che il Concilio non ha realizzato è stato ascoltare le richieste del movimento della “Chiesa dei poveri”. Con la Guerra fredda in corso, Paolo VI temeva che insistere troppo sui poveri potesse sembrare un voler prendere parte al conflitto. Per cui ha deciso di scrivere un’Enciclica – la Populorum Progressio (1967) – che insiste più sulla pace che sulla povertà. I Papi successivi hanno portato ciascuno qualcosa di importante. Giovanni Paolo I ha fatto capire che il Papa è un uomo come gli altri; Giovanni Paolo II ha portato la Chiesa nel mondo; Benedetto XVI ha precisato alcuni elementi dottrinali e a distanza di cinquant’anni dal Concilio Vaticano II è stato papa Francesco – il primo che non ha partecipato in alcun modo al Concilio – a riprendere e a portare avanti due importanti intuizioni: la sinodalità, cioè l’idea che la Chiesa è del popolo di Dio, e l’attenzione per i poveri, che non sono solo i destinatari dei nostri aiuti, ma coloro che ci fanno capire che cosa sia veramente l’essere umano, cioè un essere bisognoso di Dio e degli altri. Papa Francesco fa rivivere il Concilio Vaticano II con queste due particolari attenzioni.

Di recente due fatti che hanno dimostrato una certa chiusura della Chiesa: la dura presa di posizione da parte del Papa contro l’aborto e lo scontro sui temi proposti dal DDL Zan (omofobia, misoginia e abilismo). Crede che siano i segnali di una Chiesa che non sa (o che non vuole) dialogare con il presente?

Penso che la Chiesa voglia dialogare, ma che debba trovare la terminologia adatta. Con la sua affermazione, il Papa ha voluto porre l’attenzione alla vita umana, cosa che non si tiene mai in considerazione. Si considera sempre la libertà della donna, non parlando tra l’altro mai della responsabilità dell’uomo. La frase gli è uscita così in aereo, perché in seguito ha precisato che anche se non è sempre omicidio è sempre una responsabilità e una colpa. Cioè, ci può essere un motivo di egoismo, di superficialità.

Per quanto riguarda il DDL Zan, il fatto è che il decreto proposto andava al di là della sola difesa della dignità delle persone omosessuali, perché ne avevano “approfittato” per obbligare le scuole a discutere di queste cose, cosa che forse in ambito cattolico creava qualche problema circa i modi e i tempi secondo cui la discussione doveva essere articolata. Probabilmente, si poteva trovare un modo più adatto per dialogare: quella che è apparsa come una ostilità di principio o un’opposizione di fondo era soltanto una richiesta di precisazioni più puntuali circa le modalità.

Lei crede che la direzione indicata da Francesco per la Chiesa possa mantenersi anche dopo il suo pontificato?

Qualcuno potrebbe dire: “Vediamo chi nominano dopo di lui”. Tuttavia, poiché Francesco ha ricordato dei principi evangelici – come l’attenzione alla persona umana al di là di qualsiasi calcolo, soprattutto economico – credo che questo non possa essere abbandonato una volta che il Papa non lo richiami più direttamente. L’insistenza del Papa per il Vangelo e per i poveri ormai non può essere più eliminata. Potrà avere delle accentuazioni diverse, ma all’interno della Chiesa questo messaggio rimarrà.

Pare che il dialogo tra le giovani generazioni e la Chiesa si stia esaurendo. È una sensazione che condivide anche lei?

Sì, è vero. Credo che il grande problema sia stato che la Chiesa era una gerarchia che teneva sotto di essa i laici. Il Concilio Vaticano II ha rovesciato la prospettiva, innalzando il popolo di Dio e mettendo la gerarchia ecclesiastica al suo servizio. Abbiamo abituato troppo i laici ad ascoltare: ora invece tocca a noi, alla gerarchia, imparare a farlo. Ascoltare soprattutto i giovani, perché se si accorgono che vogliamo sentire davvero quello che hanno da dire, allora possiamo coinvolgerli e renderli responsabili all’interno della Chiesa. Lo spirito della sinodalità sta nell’ascolto e nella consapevolezza che lo Spirito Santo non opera solo attraverso i cardinali. La gerarchia deve coordinare, ma deve anche imparare ad ascoltare e a credere che lo Spirito Santo lavori in tutta la Chiesa. Sarà un lavoro lungo e difficile, ma una sinodalità vissuta realmente, con fiducia, può risolvere anche questi problemi.

Che cosa cambierebbe nella Chiesa di oggi e su che cosa invece questa dovrebbe insistere? Magari ha già dato qualche suggerimento nel suo ultimo libro, “Sognare eresie”…

Io non ho dei suggerimenti particolari. Nel mio libro ho provato a dire “eresie”. Ad esempio, presentando l’Antico Testamento abbiamo sempre definito Adamo come “un uomo”. Oggi ci chiederemmo se si tratta di un uomo di Neanderthal o di un uomo Sapiens o Sapiens Sapiens. La genealogia dei Vangeli va indietro di 7000 anni, mentre sappiamo che i Sapiens sono molto più antichi. Allora si capisce che Adamo è un simbolo dell’umanità intera, e che quindi Adamo sono anch’io. Ecco, questa può sembrare un’eresia, ma non lo è. Significa leggere la parola di Dio con la mentalità e la cultura di oggi. Bisognerebbe incoraggiare a vedere le verità eterne nel modo più adatto al presente. E la sinodalità è la strada migliore per farlo. Credo che una sinodalità compresa e vissuta veramente sia il mezzo attraverso cui la Chiesa possa annunciare a noi e agli esseri umani di domani la Verità con la stessa fiducia e con la stessa gioia con cui l’ha presentata agli esseri umani di ieri.
(fonte: Mosaico di pace, articolo di Gacomo Ferri e Lucia Mora Dicembre 2021)

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