Sant'Egidio ricorda con affetto l'arcivescovo Desmond Tutu,
uomo di pace, che si è spento a Capetown all'età di 90 anni
La Comunità di Sant'Egidio ricorda con affetto Desmond Tutu, arcivescovo anglicano sudafricano, premio Nobel per la Pace, che si è spento questa mattina a Capetown, all'età di 90 anni.
Noto in tutto il mondo per il suo impegno non violento contro l'apartheid e la sua testimonianza di incessante impegno per la pace, la riconciliazione e la giustizia in Africa, è stato per lunghi anni amico della Comunità, con cui ha condiviso in tante occasioni momenti di preghiera e battaglie per la pace e il futuro dell'Africa.
Il 26 maggio del 1988 aveva inaugurato la "Tenda di Abramo", la prima casa della Comunità dedicata ai profughi. Tappa di un lungo legame di amicizia, fatto di impegno comune per la pace, la salute, i diritti umani, la lotta contro la pena di morte.
"Quando a Natale vi vede con i poveri a pranzo, nella basilica di Santa Maria in Trastevere, Dio sorride" disse l'arcivescovo Tutu nel corso di una sua visita a Roma. Ci è dolce ricordare queste sue parole, proprio mentre la Comunità accoglie tanti poveri in ogni parte del mondo, consapevoli della forza dell'eredità di pace che egli ci lascia.
(fonte: Comunità di Sant'Egidio 26/12/2021)
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Il ricordo del cardinale Zuppi:
“Desmond Tutu ha insegnato a tenere insieme giustizia e perdono”
L'arcivescovo di Bologna conobbe il Nobel per la pace morto a 90 anni nella Comunità di Sant’Egidio: "Combatteva contro tutte le apartheid, anche quelle più invisibili, che diventano pregiudizi, abitudine, che crescono nell'omologazione"
Il cardinale Matteo Zuppi nel 1985 insieme a Desmond Tutu dopo una veglia di preghiera per la pace
organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio in Santa Maria in Trastevere
"Ci ha insegnato a lottare contro tutte le apartheid e, nel farlo, a tenere insieme l'impegno per la giustizia con il perdono". Matteo Zuppi, cardinale e arcivescovo di Bologna, ha conosciuto Desmond Tutu poco dopo che era diventato Nobel per la pace nella Comunità di Sant'Egidio: a una veglia di preghiera per la pace in Santa Maria in Trastevere e, nel 1988, all'inaugurazione della Tenda di Abramo, la prima casa di accoglienza per stranieri della Comunità.
Che cosa più ricorda di lui, di questo gigante che ha contribuito a forgiare il Sudafrica di Mandela?
"I suoi occhi sorridenti, la sua forza: piccolino di statura, era travolgente, di enorme simpatia umana e di incredibile energia, ma anche di grande spiritualità. Era molto diretto, viveva il Vangelo non come spiritualità astratta, ma incarnato nelle vicende del suo popolo: uomo di preghiera e al tempo stesso molto attento alla storia, alle ingiustizie che contrastava. Lo ricordo combattente per la libertà di tutti, un uomo di Dio che difendeva la dignità della persona perché in tutti vedeva l'immagine di Dio. E, poi, fu arcivescovo del dialogo ecumenico".
Vi siete incontrati di nuovo?
"Non più, non negli ultimi anni. I contatti sono rimasti via email. Era grato per l'impegno speso per la pace in Mozambico e ci diceva: quando a Natale vi vedo coi poveri a pranzo nella basilica, Dio sorride. Fece molta amicizia con la Comunità, due cose lo colpirono tantissimo a Roma".
Quali?
"Si commosse alla vista del mosaico al monastero di San Tommaso sul Celio in cui Gesù libera un bianco e un nero. Ecco, era quello che lui voleva: tutti subiscono la schiavitù e hanno bisogno di essere liberati. La liberazione è interdipendente: è una delle lezioni che ci è rimasta, così come la grande indicazione che diede, e che fu esperienza importante per il Sudafrica, di non far mancare perdono e giustizia, di non permettere che la violenza continuasse con altre violenze. Una via d'uscita importantissima e intelligente che testimoniò nella Commissione Verità e Riconciliazione".
Che cosa rimane della sua amata nazione arcobaleno?
"Desmond Tutu ha saputo far propria l'attesa del popolo sudafricano dentro alla stagione di Mandela, che ha fondato valori di riferimento, esempio per tante situazioni di oppressione e di ingiustizie. Rimangono le contraddizioni, i problemi, anche alcune delusioni. Ma anche un Paese in cui si impara a vivere insieme, a combattere tutte le apartheid, anche quelli più invisibili che diventano pregiudizi, abitudine, che crescono nell'omologazione".
(fonte: Repubblica, articolo di Ilaria Venturi 26/12/2021)