DON POZZA: "LA CAREZZA DI FRANCESCO AL MONDO DELLE CARCERI"
Le meditazioni per la Via Crucis di quest'anno saranno scritte dal carcere di Padova. Ecco com'è nata l'idea che è "l'ennesimo segno di vicinanza del Papa a questa realtà, presa nel suo insieme: dai carcerati alle vittime, dal personale di polizia ai volontari". Lo spiega don Marco Pozza, cappellano del carcere padovano, autore dei testi delle meditazioni assieme alla giornalista Tatiana Mario, volontaria al "Due Palazzi".
“Dentro il travaglio di questi giorni, il carcere e la città di Padova sono stati accarezzati da Papa Francesco. E simbolicamente questa carezza è stata data anche a tutto il grande mondo del volontariato”, dice don Marco Pozza, teologo e cappellano della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova.
La notizia è di ieri e a darla è stato direttamente il Papa, spiazzando ancora una volta tutti, con una lettera al direttore de “Il Mattino di Padova”: la Via Crucis del prossimo Venerdì Santo, che da anni si svolge al Colosseo, sarà condotta da 14 meditazioni preparate dalla “parrocchia della Casa di reclusione di Padova, il Due Palazzi. “Tutta la parrocchia, nessuno escluso: vittime, detenuti, familiari, volontari, educatori, magistrati e agenti di polizia penitenziaria, fino agli innocenti condannati ingiustamente”, precisa don Pozza, che assieme a Tatiana Mario, volontaria al Due Palazzi e giornalista, ha raccolto e scritto le meditazioni.
L’annuncio di Francesco cade in giorni difficili, drammatici, per il mondo carcerario italiano, sconvolto da rivolte, violenze e morti, dopo lo stop imposto ai colloqui coi familiari dei detenuti per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Un caso?
“Direi proprio di no. Papa Francesco ha voluto rendere pubblica la notizia proprio ieri per dare un segnale di distensione, quasi inserendosi, a suo modo, nella difficile trattativa in corso. E’ come se avesse detto: la fatica e disperazione di voi carcerati e di voi operatori nei penitenziari è anche la mia. Vi apro le porte di casa, proviamo a parlarne perché mi state a cuore”.
Ma com’è nata l’ idea di affidare le meditazioni della via crucis proprio al Due Palazzi, alla tua parrocchia?
“Approfittando del bel rapporto d’amicizia che intercorre tra me e il Papa, gli giro spesso gli scritti dei carcerati. Ha apprezzato a tal punto uno degli ultimi che gli ho trasmesso, quello di un giovane detenuto, da propormi: 'perché non mi aiutate voi a scrivere la Via Crucis di quest’anno?' In quell’istante è come se avessi sentito attorno a me il sorriso di tutto il mondo carcerario”.
Qual è stato il tuo apporto?
“L’ho solo aiutato a realizzare il progetto, individuando le 14 storie più significative assieme a Tatiana, con la quale ci siamo divisi le 14 stazioni. Abbiamo consegnato i testi dei Vangeli della Passione a ciascuno delle persone che hanno accettato di raccontarsi alla luce della Parola, quindi, le abbiamo raccolte sotto forma di intervista. Una volta consegnate, Papa Francesco in modo molto discreto, quasi in punta di piedi, vi ha operato pochissime correzioni, sostituendo in matita solo qualche sinonimo. Anche in questo mi è sembrato eccezionale. Per me è stata un’ulteriore lezione di vita. Ho visto veramente all’opera la parola usata da Pietro”.
Non è certo la prima volta che Papa Bergoglio si piega sull’umanità sofferente delle carceri. Giusto?
“E’ assolutamente così. Iniziò all’esordio del suo pontificato con la “lavanda dei piedi nel carcere di Casal del Marmo. Quel giorno si è celebrato il fidanzamento tra Francesco e il carcere. Il matrimonio sarebbe avvenuto all’apertura del Giubileo della Misericordia, quando trasformò la porta delle celle in porta santa. E poi aggiungerei quella indimenticabile telefonata ricevuta la domenica 6 novembre 2016, alla fine del Giubileo delle persone carcerate, in cui venivamo invitati ad incontrarlo”.
A cosa è dovuta, secondo te, questa sua particolare predilezione con questo mondo?
“A una frequentazione pluridecennale con il mondo delle carceri, fin dai tempi in cui era sacerdote e vescovo in Argentina. Dietro c’è la convinzione che il centro lo capisci meglio se lo guardi dalla periferia. E cos’è una prigione se non uno dei posti più marginali della terra, dove si danno appuntamento tutte le periferie di questa società? E, per dialogare con questo mondo, ha scelto un prete di galera come me”.
Perché Papa Francesco ha scritto proprio a Padova?
“Perché coglieva, così, anche un secondo obiettivo: oltreché parlare al mondo delle carceri, si sarebbe rivolto anche a quello del volontariato, visto che Padova proprio quest’anno è città capitale europea del volontariato in Europa. Simbolicamente la città abbraccia tutti coloro che si impegnano gratuitamente per gli altri, tutti compresi, a partire da quei medici che in questi giorni negli ospedali stanno lavorando 24 ore su 24, ben oltre il loro stretto dovere, per superare l’epidemia”.
Don Marco Pozza e Papa Francesco (photo@vaticanmedia) |
Un’ultima domanda. Da cappellano delle carceri come leggi quanto sta avvenendo in questi giorni nelle case di pena italiane?
“Prima ancora che un sovraffollamento di detenuti, nelle carceri italiane c’è un sovraffollamento ancor più grave di disperazione. E’ certamente una situazione preoccupante, perché quando la disperazione entra in contatto con un’emergenza grave come questa, il concentrato rischia di trasformarsi in una bomba, capace di deflagrare e sconvolgere intere città. Le immagini di Foggia sono purtroppo eloquenti. La situazione nelle carceri è penosa e non è pensabile che persone che si trovano in situazioni del genere possano reagire sempre con razionalità. Non escluderei, infine, che in questo caos abbia agito per i propri interessi la criminalità organizzata, dentro e fuori delle prigioni”.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Alberto Laggia 11/03/2020)