che non ci riguarda e non si "deve" vedere...
Soluzione:
eliminare i testimoni!!!
(Occhio non vede cuore non duole)
Strage di migranti sulle coste della Libia.
Affondano due barconi e annegano in 150
Le imbarcazioni partite da Al-Khoms. Medici senza frontiere: i 135 sopravvissuti in stato di choc e ipotermia
Il naufragio di un barcone il 25 maggio del 2016 nel quale vennero salvate 500 persone da parte della Marina italiana |
Il bilancio ufficiale fornito dalla Guardia costiera libica conta 115 dispersi e 135 salvati. Fonti umanitarie si spingono a dire che i dispersi - leggi, morti annegati - sarebbero 150. Di certo c’è che ieri, davanti alle coste della Libia, si è consumata «la peggior tragedia del Mediterraneo di quest'anno», per dirla con le parole dell’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi.
Cosa sia accaduto 5 miglia al largo di Al-Khoms, città a 120 km a est di Tripoli, è ancora poco chiaro. Il naufragio di disperati, partiti dalla Libia per tentare di raggiungere l’Italia, l’Europa, in realtà sarebbe stato un doppio naufragio. Lo stesso portavoce della Marina libica, Ayoub Qassim, a un certo punto ha parlato di due imbarcazioni in legno con a bordo circa 300 persone, molti eritrei ma anche palestinesi e sudanesi, e tra loro tante donne e bambini. Anche qualcuno dei sopravvissuti avrebbe riferito questo particolare agli operatori umanitari che li hanno assistiti a terra. Ma non ci sono certezze; l’unica è che si è trattato di un’ecatombe, l’ennesima nel Mediterraneo centrale dove altri naufragi si sono verificati in passato, con centinaia di morti annegati e dove in questo momento la presenza di soccorritori è quasi nulla. Non ci sono navi delle Ong in quel terribile tratto di mare che Oim e Unhcr continuano a definire il più mortale. E, di fatto, nemmeno navi militari da quando è stata chiusa l’operazione Sophia-Eunavformed che ora si limita a controllare dall’alto con aerei, elicotteri e droni ma senza alcuna possibilità di un rapido intervento. Una situazione che le Ong continuano a denunciare, sottolineando come non sia la presenza della navi umanitarie a favorire le partenze dalla Libia e che molti altri naufragi senza testimoni possono essere avvenuti. D’altronde sempre ieri, un motopesca di Sciacca, l’«Accursio Giarratano», soccorreva un gruppo di 50 persone su un gommone in difficoltà, in un tratto di mare tra Lampedusa e Malta di competenza Sar della Valletta. È rimasto per ore in attesa che arrivassero soccorsi «ufficiali». Si parla anche di almeno altri 6 eventi Sar nella zona, con decine di migranti a rischio. E sempre ieri a Lampedusa ci sono stati 4 sbarchi, 56 persone; in una barca c’erano 10 adulti e 11 bambini; altre 77 persone erano giunte mercoledì.
Il mese scorso c’era stato un naufragio con un’ottantina di morti davanti alla Tunisia, ma per arrivare a oltre 150 vittime bisogna andare indietro di 2 anni: 157 morti e 4 sopravvissuti davanti a Tripoli. Era il 19 maggio 2017.
Per il naufragio di ieri, i testimoni sono gli stessi naufraghi. Medici senza frontiere, che ha assistito a Khoms 135 sopravvissuti arrivati in due gruppi di 82 e 53 persone, dice che «i pazienti sono sotto choc e hanno sintomi da pre-annegamento, come ipossia e ipotermia» . La capo missione Msf in Libia, Julien Raickman, ha detto che «ci sono oltre 100 dispersi. I naufraghi sono stati soccorsi da pescatori e riportati a Khoms. Testimoni oculari coinvolti nel soccorso parlano di almeno 70 cadaveri in acqua».
(fonte: LA STAMPA, articolo di Fabio Albanese 26/07/2019)
Ancora strage di migranti:
più di 150 morti al largo delle coste libiche
Due imbarcazioni, con circa 300 persone stimate a bordo, si sono capovolte nelle acque davanti a Khoms, circa 120 km a est di Tripoli. A intervenire in loro soccorso sono stati soltanto alcuni pescatori. I gesuiti del Centro Astalli chiedono alle istituzioni nazionali e sovranazionali, di ripristinare immediatamente le operazioni di ricerca e soccorso in mare e di attivare un piano di evacuazione dei migranti dalla Libia
Uno dei tanti migranti morti recuperati dalla guardia costiera libica (ANSA) |
Le equipe di Medici Senza Frontiere in Libia, hanno soccorso al porto di Khoms i sopravvissuti del nuovo naufragio di ieri, che ha causato almeno 70 morti e 100 dispersi. "La terribile notizia di questo nuovo, tragico naufragio, dimostra per l'ennesima volta l'altissimo costo umano dell'attuale situazione in Libia e della mancanza di un'adeguata capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale", dichiara Julien Raickman, capomissione di Medici Senza Frontiere (Msf) in Libia. "Ci sono oltre 100 dispersi, - racconta - di cui molti potrebbero essere annegati, stando alle prime testimonianze dei sopravvissuti visitati da Msf. Le équipe di Msf hanno fornito cure mediche a due gruppi di sopravvissuti, rispettivamente di 82 e 53 persone. Abbiamo dato prima assistenza e stabilizzato le condizioni più urgenti e abbiamo trasferito 7 persone in ospedale per cure mediche salvavita. I pazienti sono sotto shock e hanno sintomi da pre-annegamento, come ipossia e ipotermia.
I sopravvissuti che verranno riportati nei centri di detenzione libici, rischiano la vita
"Serve un'azione immediata per garantire un'efficace capacità di ricerca e soccorso in mare e l'evacuazione dalla Libia di tutte le persone che stanno cercando di fuggirne, solo così potremo prevenire ulteriori morti - continua Raickman - Due giorni fa, 38 persone intercettate in mare dalla Guardia costiera libica sono state riportate nel centro di detenzione di Tajoura, lo stesso che solo tre settimane prima era stato attaccato da un bombardamento aereo che ha causato 60 morti e 70 feriti. Era una tragedia del tutto evitabile.'' ''Ora siamo estremamente preoccupati per i sopravvissuti di questo naufragio. Non possono essere rinchiusi di nuovo in centri di detenzione dove le loro vite sono a rischio - prosegue - Lo hanno ribadito di recente anche l'Oim, l'Unhcr e i leader europei che si sono uniti all'appello di Msf per l'evacuazione immediata e urgente di tutti i rifugiati e migranti intrappolati nei centri di detenzione in Libia''.
Onu: la peggiore tragedia di quest'anno nel Mediterraneo
Per Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si tratta della peggiore tragedia nel Mediterraneo di quest’anno. Grandi ha chiesto anche di “ripristinare il salvataggio in mare, porre fine alla detenzione di rifugiati e migranti in Libia, aumentare i percorsi sicuri fuori dalla Libia deve avvenire ora, prima che sia troppo tardi per molte delle persone più disperate”.
Il Centro Astalli chiede l’evacuazione dei migranti dalla Libia
Anche il Centro Astalli chiede alle istituzioni nazionali e sovranazionali, “di ripristinare immediatamente le operazioni di ricerca e soccorso in mare; di attivare un piano di evacuazione dei migranti dalla Libia, dove la loro vita è in pericolo a causa di violenze e soprusi che sono prassi quotidiana; di prevedere percorsi di ingresso legale in Europa per i migranti oggi costretti a dover ricorrere al traffico di essere umani in assenza di vie sicure e regolamentate; di aprire canali umanitari per chi scappa da guerre, persecuzioni ed estrema povertà e ha diritto a chiedere protezione e accoglienza in Europa".
Save the Children: l’Europa non può rimanere inerme di fronte a tali tragedie
Save the Children ritiene "assolutamente inaccettabile che l'Europa rimanga inerme di fronte alla tragedia che continua a consumarsi alle sue porte. Secondo le ultime stime disponibili, nei primi 5 mesi dell'anno, 1 persona su 14 tra quelle che hanno provato ad attraversare il Mediterraneo ha perso la vita e in questi casi i minori sono i più vulnerabili. Mentre la situazione della sicurezza in Libia peggiora giorno dopo giorno, i rifugiati e i migranti hanno poche opzioni: o rimangono intrappolati nel Paese o fuggono attraverso il Mediterraneo o il deserto nigerino. Tra loro sono tantissimi i minori, adolescenti e talvolta poco più che bambini, spesso in viaggio da soli. Secondo Save The Children "salvare vite umane deve essere la preoccupazione principale degli Stati Membri dell'Ue. E’ inoltre indispensabile che la comunità internazionale, e in primo luogo l'Europa, moltiplichi gli sforzi per realizzare vie di accesso sicure dalle aree di crisi o di transito, per evitare che decine di migliaia di persone continuino a vedersi costrette ad affidarsi ai trafficanti, mettendo in serio pericolo la propria vita, per attraversare il Mar Mediterraneo, come questa ennesima tragedia ci ha purtroppo dimostrato".
(fonte: Vatican news, articolo di Roberto Piermarini 26/07/2019)
MORTI (ANCHE) NOSTRI
150 morti in mare, ma non ce ne frega niente.
Benvenuti nell’epoca del sovranismo del dolore
Ci si indigna giustamente per la questione Rackete, ma ogni volta che muoiono i migranti pochi chilometri oltre le nostre acque territoriali nessuno dice nulla. Ecco come siamo diventati sovranisti del dolore
Ma che ce ne fotte dei centocinquanta che sono morti ieri su un barcone al largo delle coste libiche. Che poi, se ci pensate, centocinquanta è un numero arrotondato, più o meno all’incirca, perché quei morti lì si arrotondano come se fossero prosciutto al bancone della salumeria - “signora sono un etto e mezzo che faccio, lascio”? E che ce ne fotte di quegli altri centocinquanta che invece si sono salvati (forse, non si sa, si presume, come al solito) e sono state riportati in Libia dove se vengono ammazzati non vengono nemmeno contabilizzati, spariscono, semplicemente? Nulla, non ce ne fotte nulla.
Chissà cosa ci si è conficcato nel cuore per insegnarci così bene a preoccuparci dei morti solo quando sono prossimi a noi, una sorta di sovranismo del dolore per cui se accade a più di qualche chilometro riusciamo a viverlo con la leggerezza di un safari. Chissà perché (giustamente) ci indigniamo per gli accaldati che stavano sulla nave di Carola Rackete e invece gli annegati riusciamo a scavalcarli come se fossero un semplice starnuto.
Centocinquanta morti (se sono veramente centocinquanta) sarebbero la peggiore tragedia di quest’anno nel Mediterraneo, roba da pelle d’oca, roba che dovrebbe rizzare i capelli a tutti e invece finisce nelle colonnine dei giornali dove si discute delle inezie. I politici, pronti a salire su una nave attraccata, non riescono a vederci nessuna opportunità nel farsi fotografare mentre parlano di Libia: non tira, non funziona, non va.
E allora tutti a convergere su questo infeltrimento generale, tutti a restringersi un po’ in un nuovo sovranismo emozionale che ci impone di occuparsi solo delle cose più vicine, dei nostri figli, dei nostri parenti più prossimi, della nostra famiglia, al massimo dei nostri vicini, tutti ad accontentarsi che la nostra regione sia tranquilla, che ce ne fotte del Paese, che la nostra città sia potabile, che il nostro quartiere sia edibile, che il nostro condominio sia sereno o addirittura che il nostro pianerottolo non ci dia troppi pensieri. Tutti chiusi come isole, senza nemmeno bisogno del Mediterraneo intorno, che al massimo cozzano tra di loro per un secondo nel lavoro o nella quotidianità, si frastagliano, si usurano. Sarebbe da capire come sia successo che non riusciamo più a sentire un lutto oltre a una certa distanza: siamo noi i naufraghi, quelli che hanno bisogno di essere asciugati.
Chissà quando riusciremo ad avere occhi per leggere i numeri, quei numeri che qui vengono violentati, anche loro, dalla propaganda che serve per rassicurare i biliosi in un gioco perverso che calpesta i cadaveri per aspirare voti: dice il ministro dell’interno (minuscolo) Matteo Salvini che quest’anno sono stati recuperati solo due corpi nel Mediterraneo, l’ha detto con un sorriso sardonico da Bruno Vespa che sardonico mimava un’intervista, e invece Missing Migrants (fonte ritenuta affidabile da tutta la comunità internazionale) parla di seicentoottantasei morti nel Mediterraneo - più centocinquanta, circa, quando saranno contabilizzati - 486 dei quali (più centocinquanta) nella rotta libica, alla faccia di chi racconta che senza le Ong non parte più nessuno. Alla faccia di chi pensa che bastino le spacconate di Salvini a fermare i fenomeni migratori. Chissà come abbiamo fatto a cedere alla propaganda che lucra sui morti come si rubano i soldi agli anziani distratti sull’uscio di casa.
Ma quei morti, no, non contano perché in fondo i morti che non arrivano cadaveri sulle nostre coste, che non vengono fotografati, in fondo sono morti che non lasciano macchie sul tappeto del nostro salotto e quindi si possono anche non contare. E non è questione solo di questo governo, no: rinchiudere i morti nel sacchetto dell’umido che chiamiamo Libia (e le sue coste e le sue porzioni di mare) è una pratica che funziona da anni qui da noi, dove ci illudiamo che i cadaveri conti o solo se ne sentiamo l’odore, ne vediamo gli occhi di vetro o ce ne commuoviamo mentre ci interrompono l’aperitivo vacanziero sulla spiaggia.
Chissà se in fondo il sovranismo non sia solo un provincialismo sentimentale che ci impedisce di vedere il mondo, il resto del mondo, e ci consente di rimanere tranquilli per i morti che possiamo mettere in carico agli altri, mica nostri.
Ieri sono morte (circa, che è una parola che taglia come una lama) centocinquanta persone e noi non abbiamo detto beh, concentrati com'eravamo sui capezzoli di Carola che sono avvenuti a casa nostra e quindi ferocemente ci riguardano. E continuiamo a scrivere di un mondo giusto ma non sappiamo nemmeno guardare un po' più in là del cancellino del nostro giardino. Beati noi che abbiamo imparato a disinfettarci dal dolore. Duri come sassi.
(fonte: LINKIESTA, articolo di Giulio Cavalli 26/07/2019)