FIAMMETTA BORSELLINO:
«HANNO TRADITO PAPÀ ANCHE DA MORTO»
La figlia del magistrato ucciso il 19 luglio 1992 ricorda la figura paterna e denuncia i depistaggi. «Per me quella di via D’Amelio fu una strage di stato. Non a caso la sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta del 2017 dice che indagini e processi sono stati caratterizzati da gravissime anomalie»
La verità sulla strage di via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta è ancora nascosta nel buio fitto di un mistero infinito. Da quella tragica domenica (era il 19 luglio 1992), diventata la data di uno dei più sanguinosi attentati mafiosi, la famiglia del magistrato diventato il simbolo, con Giovanni Falcone, della lotta contro Cosa Nostra, continua a cercare la verità. Una verità disattesa e forse “scomoda”, che sarebbe purificatrice delle coscienze e sedimento civile per onorare il sacrificio di uomini che hanno servito lo Stato.
Salvatore Borsellino (secondo da sinistra) , fratello di Paolo, il magistrato ucciso in un agguato mafioso il 19 luglio 1992, tra i nipoti Lucia, Fiammetta e Manfredi. |
Fiammetta Borsellino, 46 anni, porta nell’animo lacerato il profondo dolore per la morte di suo padre e le inquietudini, i turbamenti per una giustizia talvolta inquinata e perversa, non sempre fedele ai principi di equità e uguaglianza. «Le indagini e i processi sono stati caratterizzati da depistaggi e da gravissime anomalie sia da parte di alcuni poliziotti che di certi giudici», dice la figlia più piccola del magistrato che nel maggio scorso ha ricevuto a Massafra, in provincia di Taranto, il premio “Eccellenza Franco Salvatore” nell’ambito del Magna Grecia Awards, un progetto ideato e diretto dallo scrittore regista Fabio Salvatore, giunto alla sua 22esima edizione. «La sentenza Borsellino quater, nel 2017, pronunciata dalla Corte di Assise di Caltanissetta, ha definito quella di via D’Amelio (per me una strage di Stato) uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria del Paese», puntualizza Fiammetta Borsellino. «Questa è una grande offesa non soltanto della nostra famiglia ma anche dell’intero popolo italiano. Ma non bisogna arrendersi. Oggi grazie al lavoro di nuove Procure, come quelle di Messina e di Caltanissetta, si sta cercando di dipanare l’ingarbugliata matassa e di capire attraverso ulteriori approfondimenti e accertamenti perché tutto questo sia avvenuto. C’è stato un tradimento nei confronti di mio padre quand’era in vita che poi è continuato anche dopo la sua morte».
Paolo Borsellino lasciato solo, come lo fu anche Giovanni Falcone. «Le menti raffinate della mafia avevano deciso di colpire mio padre, ma chi doveva fungere da sentinella della giustizia per proteggerlo, mi riferisco ai magistrati e ai poliziotti, non lo ha fatto. Non c’è stato solo il braccio armato a compiere la strage, ma anche elementi esterni a Cosa Nostra come alcuni politici. Tutto questo getta ombre inquietanti sull’intera vicenda. Mio padre ripeteva spesso: “La mafia mi ucciderà quando mi avranno isolato”. Una consapevolezza sconvolgente, quasi un segno premonitore di quello che poi sarebbe accaduto».
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme ai colleghi magistrati del pool, con coraggio e determinazione, allargarono il fronte delle indagini sul malaffare squarciando il velo omertoso sulle connessioni tra mafia e politica per la gestione della cosa pubblica. «Nello Stato italiano, parallelamente alle istituzioni, cammina una parte malata e malvagia che si nutre di un indissolubile connubio tra la politica, poteri forti, potentati economici e mafia. Mio padre diceva che “la mafia e la politica sono due poteri che agiscono per il controllo dello stesso territorio; di conseguenza o si fanno la guerra oppure si mettono d’accordo attraverso il voto di scambio e la gestione illegale degli appalti”. Il mafioso da tempo si è introdotto nelle istituzioni. Cosa Nostra non va più identificata con la coppola e la lupara. Ormai ha assunto una sua elevata capacità di occupare posti chiave all’interno della pubblica amministrazione allargando da tempo i suoi interessi anche nel Nord Italia. Di fatto ha raggiunto un altissimo livello di continuità e di contiguità con il potere politico ed economico».
Le organizzazioni criminali alzano il tiro per incrementare gli affari illeciti. Si alimentano e proliferano facendo proseliti tra i giovani che spesso vivono nell’emarginazione e nel disagio sociale. «La lotta alla criminalità organizzata richiede un forte impegno civile da parte di tutti. Dopo la morte di Falcone e di mio padre è sbocciata quella rivoluzione culturale e morale che lui stesso auspicava. Solo quando le nuove generazioni negheranno il consenso alla mafia, ci saranno più possibilità per sconfiggerla».
Fiammetta Borsellino, che ha dedicato il premio Magna Grecia Awards a insegnanti e docenti, è diventata la paladina di una battaglia civile per la giustizia e l’equità. «Cerco di trasmettere ai giovani l’esempio di mio padre. Condivido con loro la mia esperienza personale che sento come un dovere civile. La scuola è un importante avamposto educativo dove far lievitare la consapevolezza della legalità e del rispetto delle regole. Quando parlo ai ragazzi colgo la loro attenzione, il loro desiderio di costruire una società migliore. Vado spesso anche nelle parrocchie che aprono le loro porte ai cittadini perché credo sia indispensabile poter dialogare nella maniera più ampia possibile per scuotere le coscienze e arrivare al cuore della gente. Bisogna abbattere il muro dell’omertà, della paura». L’eredità lasciata da Paolo Borsellino ha tracciato un solco indelebile per edificare un futuro migliore, nell’attesa che venga fatta chiarezza sui punti oscuri che ancora avvolgono la strage di via D’Amelio. Fiammetta con un filo di emozione dice: «I lunghi anni delle indagini e dei processi hanno scandito l’inesorabile passare del tempo, che in casi come questo compromette quasi per sempre la possibilità di arrivare alla verità. Ma non si deve smettere di tendere a essa perché significherebbe veramente perdere la speranza. Non è ammissibile. Mio padre era un cristiano vero, un fervente cattolico, ma soprattutto era una persona credibile, che ha fatto dell’impegno costante e quotidiano nell’antimafia la sua ragione di vita. Io porto dentro i valori positivi che mi ha insegnato: il senso di giustizia, la legalità, la comprensione dell’uomo. È questa la vera strada da seguire per diffondere e far sentire il fresco profumo della libertà a chi si oppone all’onestà».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Nicola Lavacca 17/07/2019)