100 anni dalla nascita di Primo Levi,
guida nell’abisso più profondo mai toccato dall’uomo.
«Molte lettere che ricevo ammirano la forza con cui ho sopportato un anno di prigionia (nel Lager di Auschwitz, ndr); ma era una forza passiva, quella con cui uno scoglio sopporta l’urto dell’acqua di un torrente. Io non sono un uomo forte. Affatto». Nel 1987 quando Primo Levi dice di sé queste cose al giornalista Roberto Di Caro, è già uno scrittore affermato a livello internazionale e, per la maggioranza dei suoi lettori, è considerato il testimone per eccellenza del sistema concentrazionario nazionalsocialista; il sopravvissuto che più di altri ha saputo restituire al mondo dei vivi la storia degli ebrei sterminati.
Aveva avuto la «fortuna» di essere rinchiuso nel campo di lavoro più grande del complesso concentrazionario di Auschwitz, associato a una grande fabbrica chimica, la I.G. Farbenindustrie, e lui era un chimico, uno schiavo ebreo utile ai nazisti. Fortuna, dunque, non coraggio. Quello gli servì dopo, quando fece ritorno a casa, con il «veleno di Auschwitz» nel cuore. E a casa, nei primi mesi, si sentiva schiacciato dal peso dei ricordi, più vicino ai morti che ai vivi. Soffriva per gli amici che non erano tornati.
La poesia fu il suo primo rifugio nella parola scritta. Poi cercò notizie di coloro che sapeva tornati e soprattutto di Lorenzo, il muratore che lo aveva salvato, portandogli ogni giorno del cibo e parole di speranza. A novembre di quel 1945, cominciò a scrivere alcune parti di quella che doveva essere la sua storia raccontata al mondo: un libro di ricordi e riflessioni, sul male estremo e radicale che aveva visto e subito.Se questo è un uomo, una testimonianza e insieme un modo di fornire a tutti i lettori «documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano», scrisse nella prefazione.
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Cento anni fa, il 31 luglio 1919, nasceva Primo Levi, considerato soprattutto nel mondo anglosassone il più grande scrittore italiano del Novecento. Il suo libro-testimonianza sulla prigionia ad Auschwitz, Se questo è un uomo, apparso nel 1947 è tra i testi più tradotti al mondo, la testimonianza di un sopravvissuto ai lager nazistinella quale per lunghi passaggi l’autore-testimone scompare, lasciando sotto i nostri occhi una cronaca di minuti, quanto tragici, eventi.
Nell’introduzione a Se questo è un uomo, inserita nell’edizione del 1958, si dice a proposito del libro: “Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi atti di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”. Primo Levi diventa la nostra guida nell’abisso più profondo mai toccato dall’uomo. Quasi un’inchiesta su come persone normali arrivino a trasformarsi in crudeli aguzzini. Un quesito incessante che drammaticamente lega Se questo è un uomo con l’ultima opera del 1986, I sommersi e i salvati, un testamento in forma di riflessione estrema, un monito che ci mette in guardia su quanto sia facile, anche per un uomo normale, per ognuno di noi, scivolare sotto la pressione dell’ambiente circostante nella pratica della violenza inutile, eseguita al solo scopo di provare piacere nell’umiliare il proprio simile.
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Un palinsesto dedicato in ricordo del grande scrittore
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