Ventimiglia, panini di nascosto e una chiesa aperta:
"Così aiutiamo i migranti nel paese che vieta la carità"
La distribuzione del cibo avviene ogni sera in un parcheggio, in gran segreto: così i volontari francesi dell’associazione Roya Citoyenne sostengono i migranti di Ventimiglia, le persone che la Francia respinge e rimangono bloccate in Italia. Un'ordinanza del sindaco ha vietato la somministrazione di cibo e bevande su area pubblica ai "non autorizzati". Da un mese il campo di transito di Ventimiglia non accetta nuovi accessi per lavori di manutenzione. Così i profughi non sanno dove andare, dormono all’addiaccio lungo il torrente. Ad aiutarli, tra tante difficoltà, la proprietaria di un bar e don Rito Alvarez, che accoglie famiglie e minori, ma senza il supporto della Prefettura. Alle polemiche il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano, Pd, risponde così: "L'ordinanza serve per evitare che certe persone o associazioni abusino della distribuzione di cibo ai migranti per avere visibilità, e per evitare che la città diventi un suq. Ma ai cittadini che portano i panini non diciamo nulla. La situazione in città è peggiorata a causa del blocco degli accessi al campo di transito, speriamo ripartano presto".
Si sono fatte quasi le 19 quando ben lontano dai lampioni centrali del parcheggio del supermercato, nel retro dove di solito si buttano i cartoni, arriva una Panda blu con targa francese. Il bagagliaio e i posti di dietro sono carichi di pacchi e buste, ma non è un trasloco. Ad attendere in silenzio l’auto ci sono una cinquantina di ragazzi di colore. L’appuntamento non è mai in un luogo fisso, meglio non dare troppi punti di riferimento. Dall’auto scendono Jacques — una sessantina di anni, codino bianco da fricchettone, «io comunista? No, sono un cristiano» — e la moglie Marie.
La loro missione è semplice: portare da mangiare ai migranti di Ventimiglia. Oggi hanno 180 panini (salsa, formaggio e tonno)e 100 litri fra acqua, latte al cioccolato e tè. Ma devono distribuirli di nascosto, perché una ordinanza del sindaco della cittadina di confine (Enrico Ioculano, Pd) ha vietato la somministrazione di cibo e bevande su area pubblica ai “non autorizzati”. Il motivo ufficiale? Pericolo di “tossinfezione”. Nel frattempo anche i rubinetti delle fontanelle della stazione sono stati chiusi. Il motivo ufficiale? La legionella. Ogni giorno qui arriva un’automobile o un furgoncino da uno dei paesi limitrofi a nutrire i migranti. Jacques e Marie sono di Breil-sur-Roya. Il loro turno è il giovedì. «Abbiamo un cuore, questi ragazzi hanno fame e sono persone come noi. Ci hanno minacciato il sequestro del mezzo e se anche ci multeranno non importa, continueremo a farlo». Mentre Jacques parla e distribuisce i viveri si avvicina con fare ostile un uomo sulla quarantina, è italiano, fa il meccanico: «Qualcuno dei tuoi amici ha lasciato un osso di pollo per terra giorni fa, il mio cane l’ha mangiato ed è morto. Ve ne dovete andare!». Ogni giorno nel paese di confine con la Francia arrivano in treno un centinaio di persone da Taranto o dalla Sicilia — sono del Sudan, soprattutto — che sperano di fare il grande salto dall’altra parte della frontiera. Qualcuno ha tentato anche dieci volte, senza successo. Dormono sul letto del torrente Roja; qualcuno si infila negli anfratti sotto i piloni del ponte sul fiume, sono più riparati. Il centro della Croce Rossa che ospitava 360 persone fuori dal centro cittadino, ne ha meno di cento e adesso non accoglie più nessuno per via dei “lavori di ristrutturazione” in corso. È in condizioni igieniche drammatiche: dall’alto si vede un laghetto di liquami che esce dai bagni e arriva a due passi dalle tende; pochi giorni fa le fiamme sono divampate in un container bruciando tre casette.
A cento metri dalla stazione c’è il “Bar Hobby”, che si è trasformato in una specie di centro di resistenza civile contro la sempre maggiore insofferenza di Ventimiglia verso questi ospiti di passaggio. Lo gestisce una signora italiana di 60 anni, si chiama Delia. Dietro al bancone ha un cesto pieno di caricabatterie di cellulare e un sistema di ciabatte che può ricaricare anche venti telefonini nello stesso momento. È l’unico locale che ospita per ore per i migranti. «Per queste persone non c’è un bagno pubblico in paese, le fontane gliele hanno chiuse apposta, non gli si può dare da mangiare alla luce del sole sennò vieni sanzionato. Non so cosa stiamo diventando, si preferisce far finta che non esistano. Io però non me la sento di girarmi dall’altra parte», dice. Gli italiani nel bar non ci mettono più piede: «Non vendo più un aperitivo ormai. Sa cosa mi è successo due o tre volte? Che un bianco è entrato, ha visto tutti questi neri seduti, allora quando dopo il caffè mi chiede un bicchiere d’acqua lo vuole di plastica, non di vetro…».
Poco lontana c’è la chiesa di Sant’Antonio, il parroco colombiano Rito Julio Alvarez sventola una bolletta: oltre 5mila euro di acqua in tre mesi. Lui, che ha alle spalle una vita da film (è scappato anni fa dal suo paese, i narcos gli hanno ucciso i parenti), non ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno. Dà rifugio ad altri 80 migranti, ma solo famiglie e minori non accompagnati. «Andrò a chiedere che almeno mi scontino l’Iva, qui svolgiamo un servizio pubblico e umano, quello che gli altri preferiscono non fare», annuncia ma senza farsi illusioni. È ormai sera tardi quando un Fiat Ducato della polizia fa il giro di Ventimiglia e carica qua e là i migranti senza documenti. Verranno rispediti ai centri del sud da dove sono venuti, costo del servizio: 10mila euro a viaggio. Centri dai quali scapperanno di nuovo tornando ancora una volta a Ventimiglia, sognando di evadere i controlli e raggiungere la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra. «È il gioco dell’oca. Ma non è divertente», spiega Cristina, giovane volontaria di un’associazione umanitaria. Dallo scorso agosto in zona ne sono morti dodici, di ragazzi africani: chi portato via dal torrente in piena, chi investito dai treni sotto la galleria mentre tentavano lo scavallo, chi fulminato sul tetto sempre di un treno diretto a nord. Nella maggior parte dei casi non si è neanche risaliti al loro nome. Ma a commuoversi ormai, qui, sono rimasti davvero in pochi.
La loro missione è semplice: portare da mangiare ai migranti di Ventimiglia. Oggi hanno 180 panini (salsa, formaggio e tonno)e 100 litri fra acqua, latte al cioccolato e tè. Ma devono distribuirli di nascosto, perché una ordinanza del sindaco della cittadina di confine (Enrico Ioculano, Pd) ha vietato la somministrazione di cibo e bevande su area pubblica ai “non autorizzati”. Il motivo ufficiale? Pericolo di “tossinfezione”. Nel frattempo anche i rubinetti delle fontanelle della stazione sono stati chiusi. Il motivo ufficiale? La legionella. Ogni giorno qui arriva un’automobile o un furgoncino da uno dei paesi limitrofi a nutrire i migranti. Jacques e Marie sono di Breil-sur-Roya. Il loro turno è il giovedì. «Abbiamo un cuore, questi ragazzi hanno fame e sono persone come noi. Ci hanno minacciato il sequestro del mezzo e se anche ci multeranno non importa, continueremo a farlo». Mentre Jacques parla e distribuisce i viveri si avvicina con fare ostile un uomo sulla quarantina, è italiano, fa il meccanico: «Qualcuno dei tuoi amici ha lasciato un osso di pollo per terra giorni fa, il mio cane l’ha mangiato ed è morto. Ve ne dovete andare!». Ogni giorno nel paese di confine con la Francia arrivano in treno un centinaio di persone da Taranto o dalla Sicilia — sono del Sudan, soprattutto — che sperano di fare il grande salto dall’altra parte della frontiera. Qualcuno ha tentato anche dieci volte, senza successo. Dormono sul letto del torrente Roja; qualcuno si infila negli anfratti sotto i piloni del ponte sul fiume, sono più riparati. Il centro della Croce Rossa che ospitava 360 persone fuori dal centro cittadino, ne ha meno di cento e adesso non accoglie più nessuno per via dei “lavori di ristrutturazione” in corso. È in condizioni igieniche drammatiche: dall’alto si vede un laghetto di liquami che esce dai bagni e arriva a due passi dalle tende; pochi giorni fa le fiamme sono divampate in un container bruciando tre casette.
A cento metri dalla stazione c’è il “Bar Hobby”, che si è trasformato in una specie di centro di resistenza civile contro la sempre maggiore insofferenza di Ventimiglia verso questi ospiti di passaggio. Lo gestisce una signora italiana di 60 anni, si chiama Delia. Dietro al bancone ha un cesto pieno di caricabatterie di cellulare e un sistema di ciabatte che può ricaricare anche venti telefonini nello stesso momento. È l’unico locale che ospita per ore per i migranti. «Per queste persone non c’è un bagno pubblico in paese, le fontane gliele hanno chiuse apposta, non gli si può dare da mangiare alla luce del sole sennò vieni sanzionato. Non so cosa stiamo diventando, si preferisce far finta che non esistano. Io però non me la sento di girarmi dall’altra parte», dice. Gli italiani nel bar non ci mettono più piede: «Non vendo più un aperitivo ormai. Sa cosa mi è successo due o tre volte? Che un bianco è entrato, ha visto tutti questi neri seduti, allora quando dopo il caffè mi chiede un bicchiere d’acqua lo vuole di plastica, non di vetro…».
Poco lontana c’è la chiesa di Sant’Antonio, il parroco colombiano Rito Julio Alvarez sventola una bolletta: oltre 5mila euro di acqua in tre mesi. Lui, che ha alle spalle una vita da film (è scappato anni fa dal suo paese, i narcos gli hanno ucciso i parenti), non ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno. Dà rifugio ad altri 80 migranti, ma solo famiglie e minori non accompagnati. «Andrò a chiedere che almeno mi scontino l’Iva, qui svolgiamo un servizio pubblico e umano, quello che gli altri preferiscono non fare», annuncia ma senza farsi illusioni. È ormai sera tardi quando un Fiat Ducato della polizia fa il giro di Ventimiglia e carica qua e là i migranti senza documenti. Verranno rispediti ai centri del sud da dove sono venuti, costo del servizio: 10mila euro a viaggio. Centri dai quali scapperanno di nuovo tornando ancora una volta a Ventimiglia, sognando di evadere i controlli e raggiungere la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra. «È il gioco dell’oca. Ma non è divertente», spiega Cristina, giovane volontaria di un’associazione umanitaria. Dallo scorso agosto in zona ne sono morti dodici, di ragazzi africani: chi portato via dal torrente in piena, chi investito dai treni sotto la galleria mentre tentavano lo scavallo, chi fulminato sul tetto sempre di un treno diretto a nord. Nella maggior parte dei casi non si è neanche risaliti al loro nome. Ma a commuoversi ormai, qui, sono rimasti davvero in pochi.
(fonte: Panini di notte e un bar rifugio nel paese che vieta la carità di Matteo Pucciarelli - La Repubblica)
Niente più pasti per i migranti per impedire la nascita di una nuova "giungla" a Calais. La proposta è del sindaco della cittadina francese famosa per il grande accampamento di fortuna allestito dai migranti; simbolo di un'emergenza che dura da più di 17 anni e smantellato qualche mese fa.
Distribuire cibo mette in pericolo la sicurezza
Il primo marzo il ministro dell'Interno francese, Bruno Le Roux, durante la sua visita a Calais aveva assicurato che "non ci saranno più nuovi accampamenti" ma non a costo di "impedire la distribuzione dei pasti". Non dello stesso avviso il sindaco della cittadina, Natacha Bouchart, che si è detta "personalmente contraria, anche se è difficile da dire a livello umano" a tutti i dispositivi umanitari, per la paura di rivivere le passate tensioni nel campo migranti. "Abbiamo sofferto troppo", ha spiegato. L'ordinanza del sindaco mira a interrompere la distribuzione dei pasti e la fornitura delle docce; pratiche che, sostiene, minacciano la sicurezza della zona. Vietati anche i ripetuti e prolungati assembramenti.
Le associzioni umanitarie insorgono
Le associazioni umanitarie, riporta il quotidiano francese La Voix du Nord, non erano a conoscenza delle intenzioni del sindaco. "Per due mesi, giorno e notte, è stato distribuito il cibo e continueremo a farlo per un semplice motivo: la gente ha fame", ha fatto sapere Gael Monzy, dell'associazione Utopia 56. Stessa risposta da Vincenzo de Coninck, di Secours Catholique - Caritas Francia: "Ci prenderemo le nostre responsabilità, sono stupito che un politico possa arrivare a vietare ai bambini di lavarsi e di magiare".
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