LE DONNE DEL VANGELO
di Alberto Maggi
In un mondo nel quale si affermava che "Chiunque discorre molto con una donna, è causa di male a se stesso, trascura lo studio della Legge e finisce nella Geenna", la rivoluzionaria normalità con la quale Gesù si rapportava con le donne non doveva essere ben vista, come appare nel vangelo di Giovanni dove i discepoli, colto il Signore in colloquio con una samaritana, "si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna" (Gv 4,27). Perché mai parlare con una donna? Non insegna la tradizione che "una donna non ha da imparare che a servirsi del fuso", e che "l’uso della donna è di stare in casa", mentre "l’uso dell’uomo è di uscire e di apprendere dagli uomini"? La donna era esclusa dall’istruzione religiosa.
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L’emarginazione della donna ebrea non riguardava solo la sfera religiosa ma la sua intera esistenza fin dal primo apparire. Infatti, secondo il Libro del Levitico, la nascita di una bambina rende impura la madre per circa tre mesi (Lv 12,-25). Per la sua particolare condizione fisiologica la donna viveva inoltre in una situazione di perenne impurità (Lv 15,19-30), e per questo era considerata l’essere umano più distante da Dio. Se in tutte le culture la nascita di una bambina non è mai stata auspicabile ("Auguri e figli maschi!"), nel mondo giudaico l’arrivo di una figlia era considerato un’autentica sciagura, come scrive sconsolato l’autore del Siracide: "Una figlia è per il padre un’inquietudine segreta, la preoccupazione per lei allontana il sonno: nella sua giovinezza, perché non sfiorisca, una volta accasata, perché non sia ripudiata. Finché è ragazza, si teme che sia sedotta e che resti incinta nella casa paterna; quando è con un marito, che cada in colpa, quando è accasata, che sia sterile" (Sir 42,9-10). Questa pessimista visione veniva confermata dal Talmud: "Il mondo non può esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi e guai a colui i cui figli sono femmine", e codificata nella preghiera recitata tre volte il giorno da ogni maschio ebreo che così ringrazia Dio: "Benedetto Colui che non mi ha fatto pagano, non mi ha fatto donna, non mi ha fatto bifolco".
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In questo contesto culturale non può pertanto non sorprendere l’eccezionale rilievo che le donne hanno nei vangeli.
Mentre i protagonisti maschili del vangelo sono quasi tutti negativi, i personaggi femminili sono tutti positivi, eccezione fatta per le due donne che gli evangelisti ci presentano in relazione con il potere: colei che lo detiene, Erodiade, adultera e assassina, e colei che lo desidera per i suoi figli, l’ambiziosa madre dei figli di Zebedèo.
Le donne nei vangeli vengono presentate come coloro che per prime hanno saputo accogliere e comprendere il Signore: dalla madre, grande non perché ha dato alla luce Gesù, ma perché ha saputo diventare discepola del figlio, a Maria di Magdala, prima testimone e annunciatrice della risurrezione del Cristo. Nella lingua ebraica non si conosceva un termine per indicare discepola, che esisteva solo al maschile, e al tempo di Gesù la tradizione insegnava che "un discepolo dei saggi non deve parlare con una donna per strada neanche se è sua moglie, sua figlia, sua sorella". Ma per Gesù non "c’è più né maschio né femmina" (Gal 3,28), c’è la persona umana, che come tale merita rispetto e dignità indipendentemente dalla sua identità sessuale. Per questo, contravvenendo tradizione e morale, Gesù associa al suo gruppo anche "alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità" (Lc 8,1), e nei vangeli sono le donne le privilegiate protagoniste delle azioni del Signore. La prima persona alla quale Gesù si manifesterà come il Messia atteso sarà una samaritana, essere umano che come donna, adultera e impura era il meno credibile cui affidare l’importante rivelazione. Ugualmente l’unico fatto che il Signore chiede espressamente venga fatto conoscere ovunque è l’unzione compiuta su di lui da una donna: "In verità io vi dico: dovunque sarà predicato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che essa ha fatto" (Mc 14,9). Se i discepoli maschi scomparvero di scena al momento della crocifissione, le uniche testimoni della sua morte "erano alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme" (Mc 15,40-41). Gli evangelisti affermano che le donne oltre che seguire Gesù lo servono. Di nessun discepolo è detto questo. Nella concezione religiosa del tempo Dio abitava in una "luce inaccessibile" (1 Tm 6,16). Gli esseri che gli erano più vicini erano gli angeli del servizio, gli unici che stavano sempre davanti al Signore per servirlo. Nei vangeli gli unici esseri che servono Gesù sono gli angeli ("e gli angeli lo servivano", Mc 1,13) e le donne. Per gli evangelisti le donne non solo sono uguali agli uomini, ma svolgono un ruolo superiore, lo stesso degli angeli.
L’azione di "annunziare", esclusiva prerogativa degli angeli, i nunzi di Dio, è infatti nei vangeli compito privilegiato delle donne. Per questo solo le donne sono incaricate dall’Angelo del Signore di annunciare la risurrezione di Gesù: "Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,7-8). E proprio la donna, che la Bibbia definiva responsabile della morte ("Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo", Sir 25,24), sarà la prima testimone della vita: "Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore!»" (Gv 20,18)
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