Il Papa sui migranti
“Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Articolo pubblicato
su "Il Sole 24 Ore"
del 5 marzo 2017
I flussi migratori verso l’Italia non accennano a diminuire, accompagnati dal tragico prezzo di vite umane che spesso comportano e fatti oggetto non di rado da una “chiacchiera” politica deprimente e carica di pregiudizi. Anche per questo mi è parsa una boccata d’ossigeno la riflessione proposta da Papa Francesco ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”, ricevuti in udienza in Vaticano lo scorso 21 febbraio. L’intento delle parole del Pontefice è marcatamente etico e si concentra sulla dignità delle persone in gioco, “fratelli e sorelle che, per ragioni diverse, sono forzati a lasciare il proprio luogo di origine”. Sono quattro i verbi che strutturano l’intervento del Papa, quattro urgenze che devono ispirare l’atteggiamento verso i migranti che arrivano fra noi come un dovere morale, lontano da ogni reazione dettata da calcoli o contingenze del momento. I verbi sono: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Mi soffermo su di essi per sottolineare l’esigenza di giustizia e verità che li ispira, capace di motivare il passaggio ad un’azione che sia autenticamente positiva e propositiva in questo campo. La constatazione di partenza è che la storia dell’umanità è sempre stata una storia di migrazioni: esse hanno segnato ogni epoca, favorendo l’incontro di popoli e culture e consentendo la nascita di nuove civiltà e l’arricchimento di quelle esistenti. “Nella sua essenza - ha affermato il Papa -, migrare è espressione dell’intrinseco anelito alla felicità proprio di ogni essere umano, felicità che va ricercata e perseguita”. Certamente, a spingere oggi i flussi migratori sono per lo più le condizioni drammatiche da cui si desidera fuggire: per gran parte dei casi si tratta di spostamenti forzati, causati da guerre, violenze, disastri naturali, cambiamenti climatici, povertà estrema e condizioni di vita indegne. Proprio queste cause, però, esigono che si sviluppi una riflessione adeguata a motivare risposte articolate ed efficaci. Davanti al vasto fenomeno migratorio in corso il primo verbo cui ispirarsi non può che essere il verbo “accogliere”: a tal fine occorre purificare il nostro sguardo per renderlo capace di riconoscere in chi bussa alle nostre porte un fratello o una sorella da ricevere e non un pericolo da cui difendersi o peggio ancora un concorrente su cui avere la meglio. Egoismi e demagogie incidono sugli atteggiamenti di rifiuto, e vanno superati anzitutto mediante interventi seri sulle vie e i mezzi delle migrazioni, come ad esempio i “corridoi umanitari” attivati dalla Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con le Chiese Evangeliche in Italia. Afferma Papa Francesco: “Per quanti fuggono da guerre e persecuzioni terribili, spesso intrappolati nelle spire di organizzazioni criminali senza scrupoli, occorre aprire canali umanitari accessibili e sicuri. Un’accoglienza responsabile e dignitosa di questi nostri fratelli e sorelle comincia dalla loro prima sistemazione in spazi adeguati e decorosi”. Solo l’apertura di queste porte potrà facilitare l’incontro interpersonale e consentire una migliore qualità di servizi, offrendo maggiori garanzie di successo. Il secondo verbo richiamato dal Pontefice è “proteggere”: non c’è dubbio che l’esperienza migratoria renda le persone più vulnerabili allo sfruttamento, all’abuso e alla violenza. Una Nazione civile deve ritenere “la difesa dei loro diritti inalienabili, la garanzia delle libertà fondamentali e il rispetto della loro dignità” compiti ineludibili per tutti. Occorrono qui strumenti giuridici, internazionali e nazionali, chiari e pertinenti, scelte politiche lungimiranti, programmi tempestivi e interventi mirati nella lotta contro i “trafficanti di esseri umani”. La Chiesa, specie attraverso la rete delle Caritas, fa la sua parte. Resta, però, ineludibile la domanda su che cosa stia facendo l’Europa e su quanto essa dovrebbe e potrebbe ancora fare, anche bollando con misure adeguate i populismi egoisti e velleitari di alcuni dei Paesi che ne sono parte. Si colloca precisamente in questa linea il terzo verbo proposto da Papa Francesco: “promuovere”. Proteggere non basta, occorre consentire a tutti un equo accesso ai beni fondamentali e offrire possibilità di scelta e di crescita. Naturalmente, la promozione dei migranti comincia dalle comunità di origine, “là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza”. Si situano in questo contesto i programmi di cooperazione internazionale e di sviluppo transnazionale in cui i migranti devono essere coinvolti da protagonisti. Il quarto verbo indicato dal Papa è “integrare”: l’integrazione passa attraverso lo scambio e la reciprocità fra accoglienti e accolti, a partire dal mutuo riconoscimento della ricchezza culturale e delle potenzialità dell’altro. Basti qui richiamare la costatazione fatta a più livelli e con autorevolezza che senza l’apporto degli immigrati l’azienda Italia sarebbe già arrivata al collasso, non solo per la forza lavoro che essi rappresentano, ma anche per il contributo di creatività, originalità, imprenditorialità che essi sviluppano, se posti in condizione di farlo. Fra le condizioni necessarie una va in particolare sottolineata: la necessità di privilegiare i ricongiungimenti familiari, che assicurano all’immigrato quell’ambiente di ricchezza relazionale tanto necessario a esprimere il meglio di sé in ambito sociale e lavorativo. Il Papa ha quindi osservato: “Coniugare questi quattro verbi, in prima persona singolare e in prima persona plurale, rappresenta oggi un dovere di giustizia, di civiltà e di solidarietà”. Ed ha aggiunto: “Oggi più che mai è necessario riaffermare la centralità della persona umana, senza permettere che condizioni contingenti e accessorie, come anche il pur necessario adempimento di requisiti burocratici o amministrativi, ne offuschino l’essenziale dignità”. Su questa comune dignità si fondano la fraternità fra gli esseri umani, quale che sia la loro provenienza culturale e geografica, e il dovere di solidarietà, richiesto a tutti per esprimere e realizzare la propria umanità nel modo più pieno. Su questa consapevolezza si basa il valore sacro dell’ospitalità, presente nelle diverse tradizioni religiose. Il “no” da dire alla cultura dello scarto e il “sì” da sviluppare verso l’attenzione ai più deboli, poveri e vulnerabili, sono i presupposti per alimentare la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno che sia migliore per tutti.
(Fonte: Diocesi di Chieti-Vasto)