ABITARE LE PAROLE / RINUNCIA
Per sconfiggere l’«ego»
di Mons. Nunzio Galantino,
della Conferenza Episcopale Italiana,
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio
pubblicato su "Il SOLE 24 ORE"
26.02.2017
«Il segreto della vita felice sta nella rinuncia. Rinuncia è vita. Cedimento significa morte» (M.Gandhi). Dal latino renuntiare (composto di re e nuntiare: «annunciare») la rinuncia è l’atto di non rivendicare il possesso di un oggetto o un’azione che si avrebbe il diritto di avere o di compiere. Insomma, la rinuncia è l’atto di non esercitare un potere. Tale mancata rivendicazione, secondo Gandhi, è il segreto della felicità. Il prefisso latino re indica il ripetersi di un’azione nello stesso senso o in senso contrario. Talvolta il prefisso (re) non ha valore di ripetizione ma ha, si dice, una funzione derivativa, che cambia cioè il significato del termine. “Rinuncia” quindi, oltre a essere, l’atto di non rivendicare può anche avere il significato negativo di “sacrificio” imposto dalle circostanze, dalla necessità, dalla povertà. In questo caso, la rinuncia è sinonimo di privazione, non certo di felicità. Va ricordato comunque che nel contesto religioso, nel mondo degli antichi miti e nelle stesse filosofie orientali, con le dovute differenze, la rinuncia al possesso non è vista come perdita, ma come segno di sconfitta dell’ego e quindi come via per la purificazione. La storia, la letteratura, la filosofia e le religioni sono colme di esempi di rinunce, di sacrifici, di gesti eroici contro l’apparente supremazia e potere, contro l’orgoglio e la sopraffazione a favore di un ritorno all’essenziale. Agamennone, Sansone, Abramo, Francesco d’Assisi sono solo alcuni esempi di storie di rinunce, a volte anche solo virtuali, in cambio – spesso – della “sola” promessa di un bene maggiore. Forse è questo il contesto nel quale va letto quanto amava dire J. W. Goethe: «Tutto il nostro trucco sta in questo, che per esistere rinunciamo alla nostra esistenza». Nella società contemporanea la rinuncia è associata semplicemente alla perdita. E la rinuncia, intesa come perdita, è priva di valore. Modelli culturali, economici e sociali ci “impongono” di non rinunciare mai a qualcosa che desideriamo veramente. Ci inducono persino a non desiderare, ma ad ottenere “subito” tutto, a soddisfare anche le aspirazioni più insignificanti. È difficile aspettare … figuriamoci rinunciare! Ed è proibito rimpiangere. «Ciò ci rende privi di compassione verso le rinunce copiose e persistenti degli altri. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera» (Papa Francesco).