26 novembre 2015
Santa Messa nel Campus dell’Università di Nairobi
Dopo aver incontrato nella Nunziatura di Nairobi, dove risiede, i leader delle altre religiosi e confessioni cristiane, papa Francesco ha celebrato la Messa nel campus universitario.
Canti, suoni, balli, colori: perché in Africa la fede si esprime anche con il linguaggio del corpo. A queste latitudini la gioia e la preghiera trovano in queste manifestazioni la loro espressione più naturale. E così il suono dei tamburi e il ritmo dato dai tradizionali kayamba — grandi tavole di legno contenenti sassolini, fagioli e semi — è divenuto la colonna sonora della seconda giornata trascorsa dal Papa in Kenya.
È stata una grande festa di popolo.
La messa celebrata da Papa Francesco giovedì 26 novembre a Nairobi ha raccolto una folla immensa di fedeli nel Campus dell’Università e nel vicino Uhuru Park — quello dove vent’anni fa celebrò Giovanni Paolo II — in cui erano stati allestiti i maxischermi. La gioia dei keniani e la loro riconoscenza per aver potuto ospitare per primi il Pontefice in Africa sono state coinvolgenti. Nonostante il tempo inclemente — ultimo strascico della stagione delle piogge — sin dalle prime ore del mattino si vedevano lunghe file di persone in cammino verso il luogo della messa.
Il prato era stato completamente trasformato in un denso strato di fango, ma in tanti non sono voluti mancare all'appuntamento con il Papa.
Tra canti e balli il pontefice è stato accolto gioiosamente nonostante le condizioni climatiche sfavorevoli e Papa Francesco ha voluto ricambiare l'affetto arrivando a bordo dell'auto scoperta anche sotto la pioggia, accolto dai canti in lingua swahili di un coro composto da elementi provenienti da tutte le parrocchie della capitale.
Il rito, probabilmente il più ampio raduno di massa nel viaggio papale in Kenya, è stato celebrato in inglese e lingue swahili, masai, kiriborana, turkana, e animato da canti africani e della tradizione latina, e da danze. Tutto il rito è stato contrassegnato dalla tipica gestualità liturgica locale: la folla spesso accompagnava ritmicamente a braccia alzate i canti, durante i quali un gruppo di bambine e bambini, vestiti con i colori tradizionali del Kenya, danzavano ai piedi dell’altare. Anche il lezionario, prima della liturgia della parola, è stato portato nel presbiterio a ritmo di musica, adagiato su una cesta che una ragazza danzante teneva in equilibrio sul capo.
Le lingue locali sono usate anche nelle preghiere dei fedeli, mentre la preghiera eucaristica è recitata in latino.
Bergoglio ha celebrato sotto una struttura realizzata per questa occasione, una specie di gazebo aperto sormontato da una tettoia che ricorda quella di una chiesa.
Il rito si è svolto nel Central Park, ma la folla seguiva anche nel vicino Uhuru Park, grazie ai maxischermi. Presente anche il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, mentre il saluto al Papa è stato affidato all'arcivescovo di Nairobi, cardinale John Njue.
Francesco lo aveva detto durante la messa crismale del primo Giovedì Santo: i pastori della Chiesa devono avere addosso «l'odore delle pecore». Cioè devono essere capaci di guidare il proprio gregge ma anche stare in mezzo ai fedeli che gli sono affidati.
Fin da quel momento il vescovo Virgilio Pante, pastore di Maralar, missionario della Consolata di origini bellunesi, ha avuto l'idea di regalare al Papa la sua mitria confezionata con pelle di pecora. Giovedì mattina, prima dell'inizio della Messa celebrata al Central Park di fronte all'università di Nairobi davanti a circa un milione di persone, il vescovo ha potuto donare l'originale copricapo liturgico al Pontefice, che ha voluto indossarlo durante la celebrazione. Monsignor Pante guida la diocesi nel territorio del Kenya dove vivono i pastori nilo-hamitici.
"Mungu abariki Kenya!", Dio benedica il Kenya. Papa Francesco ha concluso con queste parole in swahili la sua prima omelia in Africa.
Guarda il video dell'omelia
Ecco il testo:
La parola di Dio parla alle profondità del nostro cuore. Oggi Dio ci dice che gli apparteniamo. Egli ci ha fatti, noi siamo la sua famiglia e per noi Lui sarà sempre presente. “Non temete – Egli ci dice –: io vi ho scelti e prometto di darvi la mia benedizione” (cfrIs 44,2-3).
Abbiamo ascoltato questa promessa nella prima Lettura. Il Signore ci dice che farà sgorgare acqua nel deserto, in una terra assetata; Egli farà sì che i figli del suo popolo fioriscano come erba e come salici lussureggianti. Sappiamo che questa profezia si è adempiuta con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Ma vediamo anche che essa si compie dovunque il Vangelo è predicato e nuovi popoli diventano membra della famiglia di Dio, la Chiesa. Oggi ci rallegriamo perché si è realizzata in questa terra. Mediante la predicazione del Vangelo, tutti noi siamo diventati partecipi della grande famiglia cristiana.
La profezia di Isaia ci invita a guardare alle nostre famiglie e a renderci conto di quanto siano importanti nel piano di Dio. La società del Kenya è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini. La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità, la fede nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione all’interno della società, ad accogliere i bambini come una benedizione per il nostro mondo e a difendere la dignità di ogni uomo e di ogni donna, poiché tutti noi siamo fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana.
In obbedienza alla Parola di Dio, siamo anche chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati. Siamo chiamati a rispettarci e incoraggiarci a vicenda e a raggiungere tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le famiglie cristiane hanno questa missione speciale: irradiare l’amore di Dio e riversare l’acqua vivificante del suo Spirito. Questo è particolarmente importante oggi, perché assistiamo all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura dell’egoismo e dell’indifferenza verso gli altri.
Qui, nel cuore di questa Università, dove le menti e i cuori delle nuove generazioni vengono formati, faccio appello in modo speciale ai giovani della nazione. I grandi valori della tradizione africana, la saggezza e la verità della Parola di Dio e il generoso idealismo della vostra giovinezza vi guidino nell’impegno di formare una società che sia sempre più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana. Vi stiano sempre a cuore le necessità dei poveri; rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio.
Tutti conosciamo bene la parabola di Gesù a proposito dell’uomo che costruì la sua casa sulla sabbia invece che sulla roccia. Quando soffiarono i venti, essa cadde e la sua rovina fu grande (cfr Mt 7,24-27). Dio è la roccia sulla quale siamo chiamati a costruire. Egli ce lo dice nella prima Lettura e ci chiede: «C’è forse un dio fuori di me?» (Is 44,8).
Quando Gesù Risorto afferma, nel Vangelo di oggi: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18), ci dice che Lui stesso, il Figlio di Dio, è la roccia. Non c’è nessuno oltre a Lui. Unico Salvatore dell’umanità, desidera attirare uomini e donne di ogni epoca e luogo a Sé, così da poterli portare al Padre. Egli vuole che tutti noi costruiamo la nostra vita sul saldo fondamento della sua parola.
Questo è il compito che il Signore assegna a ciascuno di noi. Ci chiede di essere discepoli missionari, uomini e donne che irradino la verità, la bellezza e la potenza del Vangelo che trasforma la vita. Uomini e donne che siano canali della grazia di Dio, che permettano alla sua misericordia, benevolenza e verità di diventare gli elementi per costruire una casa che rimanga salda. Una casa che sia un focolare, dove fratelli e sorelle vivano finalmente in armonia e reciproco rispetto, in obbedienza alla volontà del vero Dio, che ci ha mostrato, in Gesù, la via verso quella libertà e quella pace a cui tutti i cuori aspirano.
Gesù, il Buon Pastore, la roccia sulla quale costruiamo le nostre vite, guidi voi e le vostre famiglie sulla via del bene e della misericordia per tutti i giorni della vostra vita. Egli benedica tutti gli abitanti del Kenya con la sua pace.
«Siate forti nella fede! Non abbiate paura!». Perché voi appartenete al Signore.
Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)
Mungu abariki Kenya! (Dio benedica il Kenya!)
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