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mercoledì 4 novembre 2015

La parola che vince la morte di Luigino Bruni

Un uomo di nome Giobbe/7 - 
Il riscattatore del povero serve il fratello e il Dio dei vivi

La parola che vince la morte

di Luigino Bruni






"L'ultimo mio anelito sarà per te, nel tuo nome di mamma vi è tutta la mia vita. Sono sereno e innocente. Del motivo che muoio vai a testa alta e dì pure che il tuo bambino non ha tremato e che è morto per la libertà e ora perdono a tutti, ciao mamma, papà, Stefano, Alberto, ciao a tutti, tutto è pronto sono sereno. Addio mamma, mamma, mamma, mamma … (Lettere dei condannati a morte della resistenza, Domenico, 29 anni)."

Sono molte le fedi rinate da fraternità solidali capaci di accompagnare fino al fondo del suo buio l’uomo che grida verso un cielo che gli appare vuoto o ostile. Ma attorno ai disperati seduti sui mucchi di letame del mondo, non sono meno frequenti le chiacchiere e le persecuzioni di ‘amici’ non solidali, che non vedono la verità che spesso si nasconde dentro i silenzi della fede e i ‘litigi’ con Dio, e vogliono riempire il cielo vuoto degli altri con le loro parole vuote. E così continua a riecheggiare sulla nostra terra il lamento di Giobbe: “Perché mi perseguitate con le vostre chiacchiere?” (Giobbe 19, 2). Anche nel suo secondo dialogo-accusa, Bildad di Shukh ribadisce, con maggiore aggressività, le sue tesi perfette come tutti i teoremi senza carne e sangue. Tu, Giobbe, non puoi cambiare l’ordine del mondo. Il giusto vive ed è premiato, il malvagio perisce e soffre: “Forse per causa tua la terra si spopolerà, o la rupe si sposterà dal suo posto?” (18, 4-6). Gli descrive nei dettagli la sorte dell’empio e del peccatore, che coincide perfettamente con la situazione in cui si trova Giobbe. Con una sola, radicale, differenza: Giobbe è un giusto. E quindi ritorna, con sempre maggiore forza e convinzione, la grande, pazzesca e mirabile ipotesi di Giobbe: “Ebbene, sappiate che è stato Dio a schiacciarmi, catturandomi nella sua rete” (19,6). Anche Giobbe, come Bildad, crede nell’ordine divino del mondo, e per evitare l’ateismo prende Dio talmente sul serio da addebitargli la sua sventura. E urla, in cerca di aiuto: “Ecco, grido: «Violenza!», ma non ho risposta, chiedo aiuto, ma non c'è giustizia!” (19,7).
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Anche l’urlo di pietà umana di Giobbe resta senza risposta. Anche gli amici tacciono. Ma la sua ricerca estrema di giustizia continua, spalancandoci un altro cielo: “Magari si scrivessero le mie parole, magari si incidessero su rame” (19,23). Giobbe desidera che le sue parole siano incise “con scalpello di ferro e con piombo” (19,24), che vengano scolpite nella roccia, che non muoiano con lui. Vuole lasciare il suo testamento, come ultimo messaggio – c’è un immenso amore per l’umanità in tutto il suo dramma. La Bibbia è stata questa roccia. Sta anche qui il mistero della parola: mentre Giobbe pronunciava quel suo grido – ‘Magari si scrivessero le mie parole’ – le sue parole si stavano realmente scrivendo, perché noi potessimo raccoglierle. Ci si svela allora una chiave di lettura profonda di tutto il libro di Giobbe: gli amici capaci di pietas ai quali Giobbe implora solidarietà siamo noi, i lettori destinatari del suo canto, che possiamo raccogliere oggi il suo SOS e rispondere. Ogni grido inascoltato custodito nella Bibbia – compreso il grande grido del Golgota – è rivolto a noi. La Bibbia non è soltanto una grande raccolta di salmi, di verità divine, di preghiere, e non è neanche soltanto un racconto di Dio agli uomini. Prima di tutto questo la Bibbia è un grande racconto dell’uomo all’uomo sotto un cielo abitato. La Bibbia è un umanesimo, che ci invita a cercare di rispondere alle donne e agli uomini quando le risposte di YHWH non ci sono. Tutta la Scrittura è un SOS lanciato alla nostra umanità, una chiamata a diventare veramente umani, a raccogliere il grido di giustizia dell’uomo di nome Giobbe e di tutti i suoi fratelli e sorelle che continuano a gridare nella storia, che hanno arricchito il suo primo canto e che invocano la nostra pietà. All’umanesimo biblico non bastano le risposte di Dio, che spesso tace per far spazio alla nostra responsabilità. Se Elohim non avesse taciuto per quasi tutto il libro, non avremmo avuto le grandi domande di Giobbe, e il suo grido anelante giustizia non avrebbe abbracciato e raggiunto tutta la disperazione della terra, salvandola. Dio deve saper tacere se vuole uomini responsabili e capaci di domande non banali.

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La parola che vince la morte  (PDF)


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- Un uomo di nome Giobbe /6 La memoria viva della terra

- Un uomo di nome Giobbe /5 Attenti ai ruffiani di Dio

- Un uomo di nome Giobbe /4 La responsabilità di Dio

- Un uomo di nome Giobbe /3 L’arca del duro canto

- Un uomo di nome Giobbe /2 La risposta dell’intoccabile

- Un uomo di nome Giobbe / 1 Nudo è il dialogo con Dio